Recensione Carta bianca

Il secondo lungometraggio di fiction di Andrés Arce Maldonado è un riuscito esempio di cinema indipendente, che coniuga l'immediatezza dello sguardo, e l'attitudine alla descrizione senza filtri della realtà, con uno script in cui nulla è lasciato al caso.

In una Roma grigia, dominata dall'acciaio e dal cemento, rispettivamente quelli dei capannoni industriali e dei mostri architettonici che si stagliano nella sua estrema periferia, si intrecciano tre storie di solitudine e difficoltà economiche. Sono quella di Kamal, immigrato marocchino che spaccia droga per sopravvivere, ma è in realtà uomo di cultura e amante dei libri, che sogna di integrarsi e vivere una vita normale nella metropoli; quella di Vania, badante moldava in fuga da un passato di prostituzione e violenza, ancora vittima di allucinazioni frutto della vita appena lasciatasi alle spalle, che si affida alla fede e agli psicofarmaci per alleviare il suo costante senso di paura; e infine quella di Lucrezia, imprenditrice dal carattere duro, apparentemente forte e indipendente, ma in realtà vittima di un terribile senso di solitudine, che colma solo con l'amicizia del suo cane; ma, soprattutto, caduta nel vortice dei prestiti ad usura, perseguitata da individui senza scrupoli la cui presenza mette ormai a rischio la sua stessa vita.

Tre vicende tra loro distinte, ma intrecciate attraverso gli impercettibili fili del caso, del destino e della marginalità, fotografate nelle 24 ore che precedono il giorno di San Valentino. Ma non c'è spazio per l'amore, nelle vite di Kamal, Vania e Lucrezia, anche se ognuno di loro ne avrebbe un disperato bisogno; ci sarà spazio, invece, per una scossa che cambierà per sempre la loro condizione, nel bene e nel male.

La narrazione del reale

Mohamed Zouaoui nel film  Carta Bianca
Mohamed Zouaoui nel film Carta Bianca

Al suo secondo lungometraggio di fiction, ma con alle spalle una discreta esperienza nel corto e nel documentario, il regista italo-colombiano Andrés Arce Maldonado sceglie stavolta di partire da un fatto di cronaca. Lo spunto iniziale di Carta bianca è infatti un tragico evento avvenuto a Ferrara nel 2010: la scomparsa del giovane marocchino Sahid Belamel, lasciato morire di freddo sul ciglio di una strada, nell'indifferenza generale, la mattina del 14 febbraio. Arce, rispetto al suo precedente Falene, decide di privilegiare la sua attitudine documentarista, di ricostruzione e restituzione del reale, pur calata nel contesto di un cinema fortemente narrativo. Ha infatti un peso fondamentale, in questa nuova opera, lo script di Andrea Zauli, così pregnante nel delineare i caratteri, diversi ma complementari, dei tre protagonisti; ma anche così preciso nel sottolineare gli incastri narrativi che legano le tre differenti vicende, i giochi del caso, le connessioni non conosciute e non volute, gli importanti personaggi secondari. Carta bianca vive, innanzitutto, proprio di questa sinergia tra un cinema improntato al racconto, frutto di una sceneggiatura attentamente studiata, in cui nulla è lasciato al caso, e l'attitudine all'immediatezza visiva, all'istantanea priva di filtri, alla restituzione quasi istintiva, e senza sovrastrutture, di una realtà che parte del cinema italiano lascia, spesso, fuori dal suo obiettivo. Una realtà colta in un preciso istante del suo dipanarsi, durante una ricorrenza il cui nome suona ormai come una beffa; valorizzata dalle prove attoriali dei versatili Mohamed Zouaoui, Tania Angelosanto e Patrizia Bernardini, e immobilizzata nelle immagini, dal taglio naturalistico, della direttrice della fotografia Maura Morales Bergmann.

Precarietà esistenziale

Carta bianca: Mohamed Zouaoui in una scena del film con Tania Angelosanto
Carta bianca: Mohamed Zouaoui in una scena del film con Tania Angelosanto

Il punto centrale del film di Arce, più che l'immigrazione o la discriminazione (che pure giocano il loro ruolo nella vicenda) è lo stato di precarietà a cui i tre protagonisti sono condannati. Qualcuno, come Kamal, sogna un futuro diverso, ma la "gabbia" a cui il suo status lo costringe (gabbia che metaforicamente corrisponde a un fuori e non a un dentro, nella sottrazione di un bene fondamentale come l'abitazione) sembra una sentenza definitiva, che si fa beffe della sua ostinazione; qualcun altro, come Lucrezia, copre tale precarietà sotto una scorza di durezza così spinta ed esibita da denunciare, essa stessa, i germi dell'artificialità, di una sostanziale fragilità che non vede (e forse sceglie di non vedere) vie d'uscita dalla sua condizione; e c'è infine chi, come Vania, sconta tale precarietà tanto sul piano esistenziale, nella costrizione a una vita in bilico, e nella flebile speranza del ritorno a un calore familiare negato, quanto su quello psicologico, nei traumi recenti che hanno lasciato ferite che sono solchi, e nella stretta di una fede vista, insieme all'aiuto "chimico" degli psicofarmaci, come unica ancora di salvezza. Come lo stesso regista ha dichiarato, non è il razzismo a condannare tali personaggi, ma l'indifferenza: un sentimento più generale e insidioso, che può racchiudere lo stesso razzismo senza esaurirsi in esso, meno manifesto e quindi più difficile da combattere. Frutto, anch'esso, di una realtà sempre più atomizzata, in cui la scelta, spesso, è tra voltare la testa e restare schiacciati.

Mohamed Zouaoui nel film  Carta Bianca (2013)
Mohamed Zouaoui nel film Carta Bianca (2013)

Continente di carta

La scelta del titolo non è casuale. Un pezzo di carta è infatti l'elemento a cui ognuno dei tre personaggi punta, nel difficile tentativo di modificare la propria condizione: è l'agognato permesso di soggiorno per Kamal, senza il quale quelli come lui sono condannati all'invisibilità, all'assenza di tutele e alla sostanziale "inesistenza" sul piano giuridico; è il passaporto sequestrato dal suo datore di lavoro per Vania, che le permetterebbe di tornare in patria e riabbracciare la sua famiglia; è il puro e semplice denaro per Lucrezia, la cui disponibilità allontanerebbe i suoi persecutori e le consentirebbe di ricostruire la propria esistenza. Ma, almeno a parere di chi scrive, nel titolo si cela anche un ulteriore significato, connesso alle azioni compiute da ognuno dei tre personaggi per raggiungere i propri obiettivi: Kamal, Lucrezia e Vania danno davvero a se stessi "carta bianca" per arrivare ai rispettivi scopi, piegandosi ad azioni moralmente deplorevoli, arrivando a compiere atti che ripugnano alla propria etica. Una logica compromissoria insostenibile, per i tre personaggi, che ne resteranno interiormente devastati. Ma, in un "continente di carta" affine a quello di una vecchia canzone dei Litfiba (lì era l'America, qui l'Europa: ma le differenze, se ci sono, sono davvero minime) questo è probabilmente lo scotto da pagare per la sopravvivenza: terribile quanto inevitabile.

Conclusioni

Carta bianca: Valentina Carnelutti in una scena del film
Carta bianca: Valentina Carnelutti in una scena del film

Carta bianca non è, probabilmente, la "tazza di tè" di chi al cinema cerchi un intrattenimento facile, o storie banalmente consolatorie. La sua riuscita, come abbiamo sottolineato, sta nell'immediatezza del suo sguardo unita alla pregnanza dei contenuti. Considerato il basso budget, e il carattere indipendente dell'intera operazione, si tratta di un'opera da guardare con assoluto interesse. Priva di retorica, e per questo tanto più degna di rispetto.

Movieplayer.it

3.5/5