Dietro le quinte di un artista
1977, nonostante appartengano a mondi diversi ed abbiano età diverse, c'è subito attrazione tra il rinomato pianista e uomo di spettacolo Liberace, noto agli amici come Lee, e l'aspirante veterinario Scott Thorson: portato dietro le quinte dello spettacolo dall'amico Bob, Scott si imbarca in una relazione con l'artista che sarebbe durata ben cinque anni. Una relazione sessuale, che successivamente si sviluppa in qualcosa di diverso, quasi un rapporto padre/figlio.
Ne sono riprova molti degli atteggiamenti del pianista nei confronti del ragazzo, che Steven Soderbergh ci mostra nel suo Dietro i candelabri, secondo lavoro del regista per quest'anno e portato in concorso all'edizione 2013 del Festival di Cannes.
Il film, basato sul libro omonimo dello stesso Thorson e di Alex Thorleifson, è un dietro le quinte della relazione tra i due che si sviluppa tra il 1977 ed il 1984, per protrarsi fino alla successiva coda drammatica che ha seguito la fine del loro amore, dalla battaglia legale tra i due alla successiva morte di Liberace.
La messa in scena scelta da Soderbergh non risparmia gli eccessi dei comportamenti e della vita dell'artista, un uomo di spettacolo nel senso più moderno del termine, capace di tenere il palco come una popstar dei giorni nostri, con costumi stravaganti e sfarzo eccessivo. Un aspetto che sconfina anche nella vita privata del pianista, dal lusso dell'abitazione ai vizi, e che lo spaccato offerto dal regista ci propone con pochi filtri.
Eccessi che hanno reso il film troppo gay per gli studios, secondo l'opinione di Soderbergh che è stato prodotto per questo lavoro dalla HBO Films (la messa in onda in USA è prevista già per il prossimo 26 Maggio). Se sia vero o meno poco importa, ciò che è certo è che la televisione via cavo americana è sempre più sinomino di libertà creativa e permette agli autori di operare senza le limitazioni imposte in altri ambiti. Non manca di (auto)ironia il racconto di Dietro i candelabri, e questo permette a Soderbergh di non rendere macchiette personaggi e situazioni sopra le righe; figure che il cast tratteggia con discreta efficacia: pur non gridando al miracolo, è riuscito il ritratto che fa il protagonista Michael Douglas per il ruolo di Liberace, alternando la pomposa sicurezza dell'artista di successo alla tenerezza e fragilità di alcuni suoi momenti privati. Lo stesso valore si può dare alla prova di un Matt Damon al suo ennesimo ruolo sotto la direzione di Soderbergh, ed è un piacere ritrovare Dan Aykroyd nella parte dell'agente dell'artista. Meno approfonditi gli altri comprimari, da Rob Lowe a Scott Bakula.
In evidenza e molto curato, ovviamente, l'aspetto scenografico e costumistico per riprodurre lo stile di vita dell'artista, mentre è relativamente poco lo spazio dato alla musica in un film che racconta di un pianista del calibro di Liberace. E' una scelta fatta a monte più che un difetto, avendo scelto di partire dal libro di Thorson, ma che (auto)limita il film ad un aspetto molto ben definito del personaggio.
Movieplayer.it
3.0/5