Racconti d'amore e di guerra
Uno scrittore alla sua prima esperienza viene spesso invitato a trattare tematiche a lui note o particolarmente vicine all'attualità. Allo stesso modo, un regista esordiente tende a fotografare un mondo facilmente riconoscibile in cui poter coinvolgere lo spettatore senza troppi sforzi tecnici e narrativi. Partendo da queste considerazioni, dunque, lascia favorevolmente stupiti il doversi confrontare con un'opera prima finalmente diversa nella forma e nel contenuto come Appartamento ad Atene. Un film in cui i rischi affrontati dal regista Ruggero Dipaola e la qualità del prodotto, rintracciabile ad esempio in una fotografia sofisticata e in una direzione tenuta sempre fermamente sotto controllo, dimostrano che il nostro cinema potrebbe avere tutte le possibilità per cercare una nuova dimensione a metà strada tra le storie generazionali e la tradizione del romanzo storico. Ed è in questa terra di mezzo ancora poco esplorata che s'introduce il lavoro di Dipaola che, pur addentrandosi nel complesso passato del secondo conflitto mondiale e affrontando la trasposizione dell'omonimo romanzo di Gleanway Wescott, cerca di trovare un linguaggio autonomo per riprodurre atmosfere belliche ampiamente rappresentate in tutti questi anni dal neorealismo in poi.
Ad aiutarlo in questa impresa è il cambio radicale del punto di vista che, spostando l'attenzione dall'universalità del conflitto verso l'esperienza personale di una singola famiglia, rende l'orrore della sopraffazione ancora più devastante e coinvolgente. Alla guerra, posizionata su uno sfondo in lontananza, non viene lasciato nessun tipo di facile espressione. Anzi, rinunciando alla classica iconografia dello sterminio di massa portato avanti dai nazisti e delle fucilazioni sommarie, il regista lascia all'esterno solo la possibilità di essere intuito, mentre tra le mura circoscritte di un appartamento ricostruisce il dramma degli umili e degli sconfitti. Così, quasi imprigionati nelle stanze della propria casa, gli Helianos assistono all'occupazione tedesca della Grecia e all'appropriazione di uno spazio personale. Costretto ad "ospitare" il Capitano Kalter, il capofamiglia Nikolas, uomo di cultura ed ex editore di libri scolastici, sembra guidare debolmente la propria famiglia verso l'accettazione di una servitù non condivisa da tutti i suoi membri. Ed è proprio nell'individuazione dei diversi caratteri e nella loro espressione che la vicenda assume uno stile inaspettato. In questo modo il perimetro circoscritto dell'appartamento prende le sembianze di un vero e proprio campo di battaglia in cui la fiera madre Zoe e il giovane figlio Alex si schierano in una muta opposizione all'usurpatore. Dall'altra parte la dodicenne Leda cede, con tutta la debolezza di una femminilità romantica, al fascino della divisa, prendendo per mano in questo atteggiamento remissivo un padre forse già vinto dalla morte sul fronte del suo primogenito. In realtà, però, la figura di Helianos racchiude in se le origini di una forza ellenica che, scegliendo un'espressione diversa da quella fisica, continua a resistere attraverso la cura e il mantenimento di una cultura millenaria. Così l'umile pensatore greco, interpretato da Gerasimos Skiadaresis, crede di poter parlare alla sensibilità artistica di un tedesco, anche lui a suo modo piegato dalla guerra. In un confronto apparentemente amichevole, i due mettono in campo la teoria del panta rei (tutto scorre) di Eraclito contro il moderno esistenzialismo di Nietzsche creando l'illusione di un incontro umano finalmente al di sopra delle follie politiche. Ma, mettendosi sullo stesso piano del proprio nemico e riconoscendo in lui un barlume di umanità, ad Helianos non rimane che perdere la sua personale battaglia, lasciando ai membri più "deboli" della propria famiglia il compito di resistere con dignità. In questo modo, cedendo il testimone del coraggio alla figura femminile di una madre caratterialmente impermeabile alla sconfitta e ad un ragazzo votato all'eroismo, Ruggero Dipaola compie forse l'atto più innovativo del film. Considerati dalla cinematografia bellica come delle vittime designate, in questo caso le donne ed i bambini diventano protagonisti attivi del proprio destino, facendosi portavoce di un racconto di guerra fuori dal normale. Per questo motivo, all'essenza totale dell'immagine violenta corrisponde l'altrettanta mancanza di lacrime. Colpiti nell'animo più che nel fisico, ai ragazzi viene affidato il compito di introdurre lo spettatore in un mondo dove la morte può assumere anche l'aspetto di una favola sanguinaria. Mentre lo sguardo granitico e il passo mai esitante di Laura Morante, giustamente contenuta nella sua interpretazione, conducono verso la fine di una storia personale in cui anche il dolore di una inaspettata sconfitta può rappresentare un motivo per rimanere in piedi e ricostruire.
Movieplayer.it
4.0/5