Forse, come ci dice il regista Matt Reeves, è stato davvero più arduo il compito del suo predecessore Rupert Wyatt, che nel 2011 è riuscito a far ripartire con un successo clamoroso quanto forse imprevisto la saga de Il pianeta delle scimmie con un nuovo franchise, cosa su cui all'epoca pochi avrebbero forse scommesso, oltretutto dopo il flop del dimenticabile remake di Tim Burton, con James Franco scienziato farmaceutico affiancato da uno scimpanzé senziente animato in performance capture e in definitiva vero protagonista del film... Scetticismo, come minimo!
L'alba del pianeta delle scimmie invece si è rivelato un successo planetario con quasi 500 milioni di incasso in tutto il mondo, grazie agli effetti speciali della Weta Digital, all'interpretazione di Andy Serkis ma soprattutto ad una storia profondamente coinvolgente sul piano emotivo. D'altro canto, se difficile era rilanciare, ancora più difficile poteva essere ripetersi percorrendo l'inevitabile quanto impervia strada del sequel, soprattutto dopo il successo del primo film: più aspettative, maggiore budget, maggiore attesa. Se per Wyatt c'era il rischio della scommessa, per Matt Reeves, che lo ha sostituito al timone (e dirigerà anche il prossimo) l'onere invece di un pesante eredità da portare avanti.
Monkey strikes back
Diciamo subito che questo Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie prosegue la strada iniziata dal suo predecessore, non solo per quanto riguarda il successo di pubblico (73 milioni di dollari il primo weekend negli USA), ma anche dal punto di vista creativo e narrativo, con un risultato ancora migliore del precedente. Hollywood Reporter ha scritto che negli annali dei sequel, Apes Revolution - Il pianeta delle scimmie è per L'alba del Pianeta delle Scimmie quello che L'impero colpisce ancora è stato per Guerre stellari, il che rende benissimo l'idea di quali proporzioni abbia raggiunto il nuovo franchise e di quale sia il livello di questo sequel sulla strada verso Il pianeta delle scimmie. Perché è decisamente là che stiamo andando, verso il pianeta delle scimmie, non verso il pianeta degli umani evidentemente, anche se non ci siamo ancora, e l'inappropriato titolo italiano di questo sequel lo anticipa scoordinatamente creando abbastanza confusione.
Apes Evolution
In realtà, L'alba del pianeta delle scimmie era stato usato per tradurre l'originale Rise of the Planet of the Apes, non immaginando che il sequel si sarebbe intitolato in originale proprio Dawn (alba) of the Planet of the Apes, quindi da noi si è pensato bene di rimediare con l'improbabile Apes Revolution. "Ma la rivoluzione è piuttosto nel primo film", fa notare lo stesso Matt Reeves, "per cui sarebbe stato semmai più appropriato Apes Evolution". Infatti il film precedente si era concluso con l'esercito di scimmie liberatosi dalla cattività e in fuga verso la foresta. Lo stesso farmaco T-113 creato in laboratorio che ha reso le scimmie più intelligenti, si è tramutato in un virus letale per l'uomo e si é diffuso rapidamente sterminando quasi l'intera razza umana. Dopo dieci anni, ritroviamo le scimmie guidate da Cesare (Andy Serkis) che si sono invece moltiplicate ed evolute, hanno costruito la loro comunità nella stessa foresta di Muir alle porte di San Francisco, gettando le basi per una nuova società. Le scimmie si imbattono in un drappello di uomini sopravvissuti alla pandemia del virus Simian: un rimasuglio della razza umana che vive in quel che resta della città, un crogiuolo guidato da Dreyfus (Gary Oldman) che vive senza energia elettrica, possibilità di comunicare o cercare i propri simili in giro per il mondo. Nonostante la fiducia che si instaura tra le scimmie e alcuni di loro, come lo scienziato Malcom (Jason Clarke), la sua compagna Ellie (Keri Russell) e il figlio Alexander (Kodi Smit-McPhee), la fragile tregua é destinata a rompersi e la guerra per chi emergerà come specie dominante del pianeta Terra sembra inevitabile.
L'istinto del primate
Il film presenta una scrittura eccellente su vari livelli: oltre ad essere un action movie che riesce a mantenere viva la tensione e l'attenzione dello spettatore per l'intera durata, propone numerose chiavi di lettura e spunti di riflessione tutti egualmente affascinanti e sviluppati in maniera sottile ed intelligente. Sorprendentemente per un film di science fiction, questo è soprattutto un character movie, un film dove sono i personaggi ad essere protagonisti, e che in fondo è una profonda riflessione sugli aspetti della natura umana e sulla sua complessità: e ad un livello più profondo anche un'analisi sottile di come l'istinto di sopravvivenza e la mancanza di fiducia possano generare la rabbia e l'odio da cui nascono le guerre. In questo senso risulta drammaticamente attuale la riflessione sulle cause che sono alla base della deflagrazione e del perdurare di un conflitto tra razze. Sono due specie a confronto, due famiglie, una di umani e una di scimmie, che lottano per la sopravvivenza, e che nonostante la saggezza e il buonsenso dei propri leader, non riescono ad andare oltre le proprie differenze, a non incolpare gli altri per le proprie disgrazie e a non entrare in collisione tra loro. Il film ribalta le prospettive perché il soggetto di studio di questa indagine sulla natura umana non sono gli uomini bensì le scimmie, l'evoluzione della cui specie viene utilizzata come metafora per descrivere quella degli uomini.
Ave Cesare
Il protagonista è Cesare, la storia è raccontata da suo punto di vista, è con lui che si crea la maggiore empatia: il senso di protezione per la sua famiglia e per la sua comunità, il suo legame con la razza umana con la quale ha affinità per le sue origini e per come è cresciuto, e di come questo suo background faccia di lui un personaggio combattuto ma allo stesso tempo un leader saggio e progressista. In fondo la differenza tra lui e Koba (uno straordinario Toby Kebbell) è che quest'ultimo non ha una famiglia, affetti o legami da preservare che rendano meno cieca la sua rabbia e lo portino a considerare la tragicità delle conseguenze di una guerra.
Ho scelto di fidarmi di Koba perché pensavo che le scimmie fossero meglio degli uomini ma non è vero, adesso vedo quanto siamo simili a loro
Cesare è un personaggio straordinario pieno di sfaccettature e dal carisma unico: Andy Serkis dà vita ad un personaggio più umano, reale ed empatico di quanto non si possa restituire con una performance live action. Il suo sguardo in camera è ipnotico, il suo carisma palpabile, la libertà creativa ed espressiva dell'attore diventa totale nel definitivo sdoganamento della performance capture.
Più vero del vero
Evidentemente le riprese in 3D nativo, con i macchinari direttamente in location esterna (più dell'85% delle riprese sono state effettuate tra la foreste di Vancouver e New Orleans) invece che di fronte agli schermi verdi portano la ricerca del realismo ad un livello ancora superiore e mai raggiunto, a fronte di una difficoltà esponenziale nella realizzazione: pioggia, fango e pietre, tutto reale, le foresta della British Columbia che si anima di attori che danno vita a scimmie ancora più vere che se fossimo in un documentario. Il realismo è un'altra componente essenziale del film, dove l'unico elemento fantastico è rappresentato dalle scimmie senzienti ed evolute, inserite in un contesto che ambisce ad essere perfettamente reale. In questo senso è particolarmente accurata la ricostruzione della distopia futuribile, per ricreare un idea il più coerente possibile di quello che sarebbe il mondo restituito alla natura senza la presenza dell'uomo, tra i vari riferimenti troviamo sicuramente il romanzo documentale Il mondo senza di noi di Alan Weisman che teorizza su basi scientifiche proprio quale sarebbe l'evoluzione del pianeta un volta scomparso l'uomo e come le tracce della sua presenza, città, edifici, si disfarebbero nel tempo.
Allo stesso modo un altro tema del film è quello dell'analisi dell'evoluzione di una specie, quella delle scimmie, la cui intelligenza rappresenta l'elemento di fantasia, ma che viene trattato con coerenza e pseudo-realismo. Gli animali muti ma intelligenti del primo film emergono come specie dominante della terra, organizzate in una società che presumibilmente dovrebbe evolversi in quella di matrice antropologica del film originale del 1968 di Franklin J. Schaffner basato sul romanzo di Pierre Boulle, chiudendo così il cerchio: ma per ora in maniera molto coerente lo stacco con il film precedente e l'evoluzione dei vari elementi come il linguaggio avviene in modo graduale. Le scimmie comunicano ancora soprattutto con il linguaggio dei segni, hanno sviluppato anche la capacità di parlare ma in modo limitato e plausibile con i soli dieci anni di evoluzione rispetto al primo film.
Blockbuster intelligente
Matt Reeves si conferma regista di attori e autore sorprendentemente sensibile, cosa di cui aveva già dato prova con Blood Story, riesce in una sola scena ad evocare le suggestioni e le emozioni di un mondo che si riaccende da un blackout più di quanto la serie Revolution prodotta dall'amico J.J. Abrams sia riuscita a fare in due stagioni. A discapito del budget da capogiro, degli effetti speciali e del materiale da blockbuster che ha in mano, si dimostra capace di riuscire a realizzare, qui su scala enormemente più ampia, quello che già aveva lasciato intravedere con Cloverfield: ovvero fare in modo che la tecnologia sia asservita completamente al film e alla storia e non li fagociti, creando il prototipo di quello che definiremmo il blockbuster intelligente, merce sempre più rara di questi tempi e per questo il plauso è ancora maggiore.
Conclusione
Blockbuster fatto con il cervello, effetti speciali straordinari al servizio della storia dove non mancano azione e tensione all'insegna del realismo, ma che è anche e soprattutto una profonda riflessione sulla natura umana. Andy Serkis per la prima volta con la performance capture in esterni regala la miglior interpretazione di un personaggio non umano mai vista al cinema.
Movieplayer.it
4.0/5