John e Mia Form sono una giovane coppia felice, che ha tutte le ragioni per guardare al futuro con ottimismo: lui sta completando il suo tirocinio in medicina, ed è in attesa di iniziare la professione di medico chirurgo, lei è incinta di una bambina, per cui i due hanno già predisposto una stanza nella loro grande, bellissima casa. A coronamento di un matrimonio felice, John decide di fare un regalo a sua moglie: una rara bambola che verrà ribattezzata Annabelle, dal design vintage, vestita di un bianco abito da sposa. Per la donna, appassionata collezionista di oggetti simili, è un dono prezioso.
Una notte, però, la tranquillità della coppia viene sconvolta: la famiglia che abita nell'appartamento di fronte è vittima di una brutale aggressione in casa, finita in un sanguinoso, duplice omicidio; gli aggressori, penetrati poi in casa dei Form, vengono neutralizzati appena prima di essere riusciti a mettere fine alla vita di Mia, e a quella della sua bambina. I responsabili dell'atto sono, incredibilmente, la figlia della coppia uccisa e il suo fidanzato, affiliati ad una setta satanica; ma John e Mia scopriranno che il peggio, purtroppo, deve ancora venire. La ragazza, infatti, prima di morire ha compiuto una sorta di maleficio sulla bambola; questa è diventata, letteralmente, un tramite per l'ingresso in casa della coppia di un'entità demoniaca. Un'entità apparentemente implacabile e impossibile da fermare.
Cuore di bambola
Dall'indimenticato episodio con il pupazzo-feticcio Zuni di Trilogia del terrore di Dan Curtis, alla sterminata saga dedicata al bambolotto Chucky di Bambola assassina, passando per i giocattoli killer di Stuart Gordon e del suo Dolls - Bambole, sono innumerevoli i pupazzi giocattolo che l'horror ha sfruttato, nel corso dei decenni, per le sue inquietanti visioni. Come spiegato dai titoli di testa di questo Annabelle, d'altronde, la bambola rappresenta per molte culture un tramite, un varco che può mettere in comunicazione il nostro mondo con quello ultraterreno, portando con sé anime benigne o maligne; in più, bambole e pupazzi antropomorfi di vario genere rappresentano anche la personificazione di un universo (quello infantile) che, coi suoi misteri e le sue inquietudini, è da sempre territorio prediletto per il cinema della paura. Non c'è da stupirsi, quindi, che periodicamente si torni a sfruttare questo vecchio topos del genere, nonostante il suo uso sia praticamente vecchio quanto l'horror stesso: la bambola, tanto quanto mostri come il vampiro, il licantropo e lo zombie, è un elemento-cardine della paura cinematografica, dal potenziale di inquietudine praticamente infinito. Basta la sua mera apparizione sullo schermo a suscitare una paura atavica, inesplicabile quanto il miscuglio di innocenza, inquietudini e terrori infantili che la sua figura evoca. Gioca quindi, in un certo senso, sul sicuro, il film di John R. Leonetti, che ha in più dalla sua la (presunta) ispirazione a fatti reali: così come il suo predecessore L'Evocazione - The Conjuring (di cui rappresenta una sorta di spin-off) il film di Leonetti si ispira a eventi raccontati da Ed e Lorraine Warren, noti e discussi esperti di fenomeni paranormali.
Annabelle, centro della scena o tramite?
L'inquietante bambola che dà il titolo al film (ci si domanda, a latere, come un oggetto del genere possa essere considerato davvero un bel regalo) in questo caso viene utilizzata invero in modo diverso dal solito: coerentemente a quanto annunciato in apertura, Annabelle non è che un tramite, uno strumento utilizzato dalla giovane assassina per proseguire, dopo morta, quanto aveva iniziato da viva. La sua figura, piuttosto che una concreta minaccia, diviene così emblema del male, personificazione di una forza che opera al di fuori e indipendentemente da essa: la bambola sembra essere, infatti, un semplice catalizzatore di eventi che si sviluppano intorno alla coppia protagonista, e che da subito prendono di mira la figlia neonata, Lia. Il fulcro della storia, a dire il vero, diventa a un certo punto un po' confuso, visto che la stessa bambola, nella parte centrale del film, sparisce quasi dal radar della sceneggiatura: dopo il trasferimento della coppia protagonista, infatti, cuore della narrazione diventano gli eventi inquietanti che iniziano a verificarsi intorno a Mia, spesso indipendenti dalla stessa figura di Annabelle. Il ruolo di tramite di quest'ultima, a tratti, sembra venire quasi dimenticato dagli sceneggiatori; ma non è questo l'unico limite che il film, a livello di scrittura, mostra. Più in generale, infatti, lo script sembra tenere insieme in modo un po' precario le varie sequenze-shock che il film inanella: i due personaggi protagonisti presentano psicologie solo abbozzate, le azioni di Mia risultano spesso poco comprensibili, la questione cruciale della nascita della bambina viene gestita con una ellissi narrativamente difficile da giustificare. Una scrittura poco organica si rivela così il principale limite del film di Leonetti.
Mettere in scena la paura
Eppure, come pura macchina per suscitare spaventi, non si può dire che Annabelle fallisca il suo obiettivo. Leonetti, finora noto soprattutto come direttore della fotografia (gli ultimi lavori di James Wan - qui produttore - portano quasi tutti la sua firma) dimostra una notevole capacità di gestire gli spazi, valorizzando al meglio il loro potenziale di inquietudine, giocando abilmente sulla claustrofobia degli interni in cui il film, per gran parte, è ambientato. Alcune soluzioni visive, che mescolano un lavoro non banale sugli ambienti e sulla profondità (per una volta senza l'uso del 3D) con il più classico effetto-shock, colgono decisamente nel segno; così come la trasfigurazione, in chiave onirica, di alcuni ambienti quotidiani che divengono una trappola da incubo (le scale di un condominio, una soffitta). Più in generale, la messa in scena rivela un gusto inaspettato (e in questo periodo di voluta sciatteria e di dilagare del found footage, non è particolare da poco) che va a valorizzare i momenti più spaventosi, riuscendo anche ad evitare il kitsch in quelle sequenze (le apparizioni) in cui il rischio si affaccia più prepotentemente. Unitamente a questo, il film ha dalla sua l'abbozzo di riflessione su un periodo (i primi anni '70) in cui i sogni all'insegna del peace&love del movimento hippie si stavano tramutando nell'incubo dei Charles Manson e dei titoli delle canzoni vergate col sangue, e in cui le famiglie borghesi trovavano spesso i "mostri" (veri o presunti) al loro interno, nelle figure irriconoscibili della propria prole. Elementi appena accennati, ma sicuramente tali da conferire un motivo di interesse in più a una classica storia dell'orrore.
Conclusioni
Annabelle soffre, innanzitutto, dei limiti di una sceneggiatura approssimativa, che non riesce a organizzare la sua tessitura macabra in un insieme coerente. Tuttavia, il film di Leonetti riesce, senza troppi fronzoli, a suscitare inquietudine e, in alcune scene, genuina paura. Malgrado i limiti narrativi, chi cerca spaventi (non necessariamente dozzinali) potrà dirsi soddisfatto.
Movieplayer.it
3.0/5