Il primo 11 settembre, 300 anni fa
Ci sono voluti dodici anni prima che Renzo Martinelli riuscisse nell'impresa di portare al cinema la storia dell'altro 11 Settembre, il primo consegnato ai libri di storia, e come quello più recente del 2001, anch'esso legato al conflitto tra il mondo cristiano e quello musulmano. L'11 Settembre 1683, giorno in cui partì la controffensiva con la quale le truppe dell'Imperatore Asburgico Leopoldo I e del Re Jan Sobieski di Polonia, alla guida della Lega Santa sbaragliarono l'esercito musulmano del Gran Visir Kara Mustafa (Enrico Lo Verso) dopo due mesi di assedio alle porte di Vienna, evitando il trionfo dell'Islam e la sottomissione dell'Europa cristiana. Figura fondamentale è quella di Marco d'Aviano (F. Murray Abraham), un frate predicatore e taumaturgo di origini friulane, che nel corso di questi eventi che hanno cambiato la storia si erge a grande difensore della cristianità. Venerato come un santo ancora oggi nelle sue terre, fu lui il consigliere e la guida spirituale che avvertì i re cristiani dell'est Europa del pericolo spingendoli a ricompattarsi, e sempre lui durante i giorni dell'assedio a incitare le truppe con i suoi appassionati sermoni affinché resistessero per impedire che Vienna cadesse, ultimo baluardo che impediva allo stendardo verde del Profeta Maometto di arrivare fino a Roma.
Secondo le intenzioni del regista e del co-sceneggiatore Valerio Massimo Manfredi, l'idea di partenza era quella di fare un film per il cinema, e solo successivamente vista l'enorme quantità di materiale girato e la complessità del soggetto, si è pensato ad una versione televisiva lunga che vedremo tra circa due anni su RaiUno. In realtà tutta l'operazione sembra davvero più adatta a un contesto di fiction televisiva piuttosto che al grande schermo: l'ambizione da kolossal epico cinematografico si scontra con evidenti limiti produttivi che condizionano pesantemente il risultato, anche in termini di scelte narrative, vista l'esigenza distributiva di tenere il film sotto le due ore. C'è da sperare per esempio, che negli oltre duecento minuti previsti per lo sceneggiato televisivo in due puntate, oltre ai preannunciati flashback dell'infanzia di Marco e Mustafa, ci sia modo di restituire un'opera che sia decisamente più in grado di cogliere sfumature e dettagli che consentano un'analisi più profonda rispetto ad un tema così complesso come quello dello scontro tra le religioni e le culture cristiana e musulmana. Il regista predica l'urgenza della riaffermazione della matrice cristiana dell'Europa e della necessità di ribadirne i valori e l'identità contrapponendola a quella islamica, ma rischia in questo caso di produrre un manicheismo evidente più o meno volontario. L'insensatezza delle guerre di religione, che secondo Martinelli rappresenta il senso profondo del film, rimane davvero in secondo piano rispetto alle battaglie, al turbinio di personaggi i cui caratteri sono tagliati con l'accetta e agli apologhi su quale sia l'unico vero Dio. Il tutto si riduce alla scena dell'incontro notturno dove i due protagonisti si dicono disposti in nome della fede a fare tutto finanche a morire, e l'unico spunto di pietas e di riflessione sulla carneficina di uomini immolati sull'altare delle religioni, è relegato al pianto di Marco alla fine della battaglia sul cadavere dell'amico Abdu'l (Yorgo Voyagis). Colui che dovrebbe incarnare l'anello di congiunzione tra le due culture, si ritrova invece a rappresentare l'emblema di una visione molto riduttiva e appunto manichea: "Tra il cuore e la fede, noi musulmani scegliamo la fede: è questo che ci rende diversi da voi occidentali". Peggio ancora quando si tenta di riscattarlo per liberare Lena, la donna ariana che lo ha seguito per amore (Federica Martinelli) : "A volte la fede non basta neanche a noi musulmani". Nonostante gli intenti e l'indubbio merito di raccontare fatti storici di un periodo importante con la consueta puntigliosa documentazione, dal punto di vista cinematografico, il mestiere di Martinelli deve poi fare i conti con l'ambizione dei toni da kolossal che mal si conciliano con i limiti di un budget messo insieme come un puzzle con lodevole sforzo e molte peripezie. Dieci milioni di euro, quattro dei quali investiti dalla Rai, patrocinato dal MiBAC, in collaborazione con il Polish Film Institute, il sostegno della regione Friuli e della Film Commission Torino Piemonte: alla fine una coproduzione italo-polacca, nella quale avrebbero dovuto esserci anche gli altri paesi protagonisti del film, ovvero l'Austria e soprattutto la Turchia, che si è tirata indietro all'ultimo. E si vede, anche perché tra i trecentomila musulmani sul campo di battaglia moltiplicati in digitale grazie alla crowd replication, tra giannizzeri e cavalieri tartari, ce ne fosse uno solo che somigli anche lontanamente a un turco. Un esempio per definire il divario tra l'ambizione d'intenti e il risultato, con il conseguente straniamento d'insieme che si crea, per lo meno nella versione cinematografica, dovuto proprio a questa ricerca dell'epos a tutti i costi, anche attraverso scelte registiche che si rifanno ai classici del genere (battaglie stilizzate, musica enfatica, tramonti e paesaggi patinati, uso del digitale a profusione), senza riuscire mai a raggiungerlo. 11 settembre 1683 è un film che non riesce proprio a restituire emozioni e a risultare credibile, nei volti, nei dialoghi, nei paesaggi e nelle motivazioni, e lascia purtroppo indifferenti.
Movieplayer.it
2.0/5