Viviamo in un periodo di reboot, remake, revival, spin-off e simili, perché le varie case di produzione, cinematografiche e soprattutto televisive, preferiscono andare a ripescare pubblico già assodato con franchise già collaudati piuttosto che sperimentare e rischiare con qualcosa di completamente nuovo. Non poteva quindi parallelamente nascere una branca, soprattutto televisiva, che prendesse in giro proprio questo modus operandi dei dirigenti che ripensano con nostalgia alla propria infanzia e agli show che li hanno fatti crescere. Nel marasma generale a volte però nasce qualcosa che è un ibrido delle due linee d'azione appena spiegate, e quindi riesce a dare un nuovo, inedito e accattivante punto di vista a ciò che viene meta-raccontato sullo schermo. È di questo che parleremo nella nostra recensione di Reboot, la serie originale HULU disponibile su Star di Disney+.
Reboottiamo tutto
Quand'è che un revival diventa qualcosa di più? Se lo chiede Reboot, che come da titolo mette al centro un'operazione oramai abusata - e dal lungo elenco di titoli d'esempio fatto nel primo episodio durante una riunione produttiva si strizza l'occhio proprio a questo. In questo caso Sarah (Rachel Bloom, proprio la Crazy Ex-Girlfriend), una sceneggiatrice celebre per la propria comicità tagliente vuole andare a ripescare una sitcom familiare che aveva fatto la fortuna negli anni '90, Step Right Up, il classico esempio di buonismo tipico di quegli anni in cui tutto alla fine si risolveva per il meglio. Come spesso capita anche nella realtà, Sarah vuole mantenere il genere ma renderlo maggiormente ancorato alla verità del 2022 e al dramma dei personaggi, nel passaggio dalla tv generalista (ABC, di proprietà Disney) alla piattaforma streaming (HULU). Questo è il suo obiettivo ma qual è la reale motivazione a muoverla data la fama di showrunner senza peli sulla lingua? La genialata e novità arriva dal creatore di Reboot, Steven Levitan, che dopo aver raccontato una famiglia allargata e disfunzionale per 11 anni in Modern Family, aggiunge proprio l'elemento familiare a quello meta-televisivo trovando la chiave di lettura scomparsa che mancava per fare centro. È così che - ancor più del previsto - il gioco delle parti si acuisce e infittisce per presentare al pubblico una comedy da leggere su molteplici livelli.
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Che cast!
Spesso, soprattutto a fine riprese o durante le interviste, gli interpreti di una serie, passando molti mesi insieme rispetto al cinema, e ancora di più nelle sitcom familiari girate con pubblico dal vivo, si riferiscono al gruppo di lavoro come ad una famiglia, la work family a tutti gli effetti. In Reboot questo vale a più livelli e il cast è davvero pescato con intelligenza e sagacia dal parterre comico statunitense, per presentare personaggi e situazioni molto vicine a quanto accade nella realtà a queste produzioni. I protagonisti della meta-sitcom sono Keegan-Michael Key, ovvero Reed, che andandosene aveva decretato la cancellazione di Step Right Up per inseguire una carriera cinematografica, mai effettivamente decollata. Judy Greer è Bree Marie Jensen, la protagonista femminile che ora deve sopportare che lo sia un'altra ragazza, la star dei reality Timberly Fox (Alyah Chanelle Scott) sensuale e apparentemente senza cervello: Bree dopo la cancellazione dello show si era sposata con un Duca dei paesi nordici diventando Duchessa ma è ben felice di tornare alla "vita normale" di Hollywood.
Ovviamente Reed e Bree avevano avuto una relazione ai tempi della sitcom come i loro personaggi sullo schermo e, come spesso capita, dopo tanti anni forse quel sentimento non è del tutto spento. Johnny Knoxville (tra i creatori di Jackass) è Clay Barber, il patrigno nella sitcom che ha continuato la propria vita ribelle tra arresti e ordini restrittivi. A chiudere il quadro familiare (parola voluta dato che il cast si ritrova a dover ricreare l'iconica immagine di Step Right Up come succede davvero nei revival) il non-più-piccolo Calum Worthy. Quest'ultimo interpreta Zack, vittima dell'essere stato un baby attore e aver consumato la fama troppo presto, finendo su varie produzioni Disney Channel e pubblicità, che continua ad essere accompagnato sui set dalla madre (una sorprendente Kerri Kenney) dopo il divorzio dei genitori. Zack sarà uno dei personaggi che regala maggiori sorprese, perché è rimasto fin troppo legato al ruolo dei genitori televisivi nella propria vita.
Una grande seduta di terapia comica
Dicono di scrivere di ciò che si conosce quando si crea un'opera artistica. Reboot prende alla lettera questo insegnamento e si presenta, man mano che gli episodi proseguono, come una grande seduta di terapia comica per i protagonisti, costretti a rivivere quanto successo 20 anni prima e allo stesso tempo trovare nuove chiavi di lettura, a partire dalla writers room in cui viene messo in scena un vero e proprio scontro generazionale e culturale. Writers room che diviene luogo simbolico e meta-narrativo per eccellenza, così come il set della sitcom. Nella nuova versione di Step Right Up viene coinvolto infatti anche il creatore originale, Gordon (Paul Reiser) che aveva una visione chiaramente più classica della storia raccontata, in una riscrittura che prende in giro le stesse piattaforme e network dove va in onda (proprio come ha fatto la nostra Boris 4). Non solo la comicità intelligente e legata all'attualità di Steven Levitan che già ci aveva stregato in Modern Family ma anche quel calore che non è semplice e nemmeno scontato trovare in una comedy. Questi sono i due elementi principali che in Reboot prendono vita e non ti lasciano più, grazie alle interpretazioni di un cast in stato di grazia comica. E speriamo lo facciano per molte altre stagioni a venire.
Conclusioni
È davvero un mix sorprendente e riuscito quello che abbiamo cercato di spiegare nella nostra recensione di Reboot. Avrebbe potuto essere una comedy meta-televisiva come tutte le altre ma la forza, il calore, il sentimento, le risate genuine e a volte cattive dell’elemento familiare hanno aggiunto quell’ingrediente che mancava per renderla davvero originale. Completano la ricetta comica un ottimo cast che funziona molto bene insieme, creando una chimica praticamente perfetta col passare degli episodi.
Perché ci piace
- Il mix riuscito di comicità meta-televisiva e familiare.
- L’autoironia sul meccanismo dei reboot e sul funzionamento della comicità oggi.
- La seduta di terapia comica che rappresenta lo show, che ha molteplici livelli di lettura.
- Il cast in stato di grazia comica.
Cosa non va
- Che sono solo otto episodi.
- Non piacerà a chi non ama l’elemento meta-televisivo, ma quello familiare potrebbe sorprendere e catturare nuovi adepti.