Re per una notte non è l'unico film di Martin Scorsese che si è tradotto in un flop al botteghino, ma è forse l'unico a distinguersi e a brillare anche per quelle stesse ragioni che hanno portato al suo insuccesso. Per comprenderne i motivi è utile sottolineare, prima di tutto, quanto male sia stato accolto alla sua uscita nel 1983. Re per una notte non è stato solo un fiasco che ha costretto Scorsese a tornare, al suo nono film, alla soluzione della produzione indipendente per girare il successivo Fuori orario. È stato anche, prima della sua rivalutazione tardiva, un passo falso secondo quanto decretato all'unanimità dalla critica (soprattutto statunitense). Basti citare le parole di Roger Ebert, che definì il lavoro di Scorsese uno dei più "aridi" mai concepiti e un'opera apparentemente "pronta a esplodere", ma che alla fine "non esplode mai".
Un pensiero condiviso con quello di un'altra voce fondamentale, quella di Pauline Kael, che fu ancora meno generosa: il film è per Kael "così - deliberatamente - vacuo" che non fornisce neppure quel diversivo "stupido ma utile a fare da intrattenimento per il pubblico davanti a un film brutto". Eppure, a distanza di quarant'anni, Re per una notte resiste. Allo scorrere del tempo resiste meglio di altre opere del regista e, come specificato poco sopra, gode oggi di un prestigio che gli fu negato quando avrebbe potuto cambiare del tutto la traiettoria della carriera di Scorsese (possiamo ipotizzare che Fuori orario non sarebbe mai esistito se non ci fosse stato, dopotutto, il disastroso e odiato Re per una notte). Ma perché il più pericoloso fallimento di Scorsese si è trasformato nel suo "oggetto" di culto più salvaguardato? Cosa, nel frattempo, è cambiato nel pubblico a cui il film stava cercando di parlare?
Re per una notte: genesi di un film sgradito
La sceneggiatura di Re per una notte, scritta da Paul D. Zimmerman, circolava già da diversi anni quando Robert De Niro, reduce da Il padrino - Parte II, la intercettò e la portò al regista. Non fu amore a prima lettura: nemmeno Scorsese, che al tempo stava girando Alice non abita più qui, riuscì a trovare una connessione con il testo che gli si presentò davanti agli occhi. Nemmeno lui ne comprendeva il senso ("I didn't understand it, I was too close to it"), e per questa ragione lo archiviò. Nella stesura Zimmerman s'ispirò alla cronaca (testimoniata da un articolo di Esquire) di un fanatico-stalker di Carson, oltre che a uno show di David Susskind incentrato sul fenomeno dei cosiddetti "autography-hunters". Ciò che comincia a prendere forma è l'idea di una storia in cui il cacciatore di autografi, inquadrato come fenomeno violento, assume i tratti tipici dell'assassino, soprattutto per le modalità del suo comportamento e per la sua tendenza a manifestarsi in modo seriale. De Niro accantonò la proposta ma non si arrese: sei anni dopo, in seguito alle riprese e all'uscita di Toro Scatenato, l'attore tornò a presentare la sceneggiatura al regista, che stavolta accettò di farsene carico e di mettere in scena la visione di Zimmerman.
Martin Scorsese: quel bravo ragazzo che è ancora il più bravo di tutti
"Better to be king for a night than schmuck for a lifetime"
E in effetti, come alcune critiche rimarcavano, è vero che Re per una notte rimane doloroso, quantomeno difficile, anche nel momento in cui si materializza in forma di commedia. Il ritratto è quello di Rupert Pupkin (De Niro), disadattato sociale che sogna di diventare uno stand-up comedian. Malgrado non abbia mai ottenuto riconoscimenti, risultati nel campo o anche solo una formazione professionale come comico, Pupkin crede di essere bravo. No, non crede di essere bravo: sa di esserlo, e deve solo riuscire a trovare un modo per farlo capire anche al resto del mondo. Oh, se solo avesse un'opportunità: e l'opportunità arriva, quando il comico Jerry Langford (Jerry Lewis) viene assalito da una folla di fan e cacciatori di autografi e Pupkin è lì, a proteggerlo e a farsi strada fino al sedile posteriore dell'auto di Langford, dove riesce finalmente a improvvisare un pitch al comico che, di risposta, gli suggerisce di passare nel suo ufficio in un altro momento. Quando però Pupkin si presenterà a un appuntamento fantasma, dopo essere stato ignorato e poi umiliato da Langford in persona, cospirerà insieme all'amica Masha (Sandra Bernhard) per rapire Jerry e costringerlo, in ostaggio, a garantirgli un piccolo spazio nel suo show televisivo.
L'altra faccia di Taxi Driver
L'arco narrativo del suo protagonista, la sua caratterizzazione, l'epilogo e la circolarità strutturale a cui conduce; tutto suggerisce, insieme al concepimento dell'idea risalente agli anni settanta (e non agli ottanta), un raffronto non solo possibile ma anche doveroso con Taxi Driver, gemello precursore e più fortunato di Re per una notte. In entrambe i casi Scorsese (prima che con Zimmerman con Paul Schrader) offre uno sguardo sulla contemporaneità a partire dalla psiche di un uomo solitario, non funzionante nella società, per indagare i meccanismi della violenza e il rapporto spontaneo (suggerendone una natura quasi consequenziale) fra questa e i mezzi di comunicazione mainstream. Ciò che si evince da questa rappresentazione è, sia in un'opera che nell'altra, l'esistenza di una connessione fra uomo e mass media che è ormai più intima di quella fra uomo e società e che, per questa ragione, si propone al singolo come ammaliante surrogato di tutto quello a cui aspira. Se Lumet con Quinto Potere (uscito proprio nello stesso anno a cui risale la sceneggiatura di Re per una notte) meditava sui processi interni al mondo televisivo, offrendo una satira sull'aggressività dei mezzi di comunicazione e sulla disumanizzazione dei lavoratori, Scorsese e Zimmerman indagano cosa accade al di là di quel luogo ristretto attribuendo ai media un raggio d'azione molto più vasto, preoccupandosi del rapporto che gli spettatori instaurano con le figure che vivono in video.
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Lo spettatore come consumatore
Sia Taxi Driver che Re per una notte raffigurano un mondo in cui l'universo delle immagini e degli slogan sta cominciando a parlare al consumatore in modi molto più efficaci di ogni altro organismo, che fallisce nel dialogo proprio perché il canale di comunicazione è compromesso in partenza dall'esistenza stessa di una società dei consumi. La sgradevolezza che per anni ha allontanato Re per una notte da un riscontro positivo e da una rivalutazione generale, specialmente nella sua stessa epoca, è probabilmente dovuta al suo aver saputo precorrere i tempi, prima anticipando (come Taxi Driver) ciò che sarebbe venuto e poi esponendo al consumatore stesso i suoi difetti e i suoi vizi. Come scrive Bauman, la componente centrale del consumismo nel ventunesimo secolo è l'emulazione: la tendenza è quella che porta l'individuo a voler rassomigliare a coloro che si trovano negli strati più alti della loro gerarchia sociale. Questi strati sono aree occupate non soltanto dai ricchi ma anche, e soprattutto, dalle celebrità. Rupert Pupkin non vuole solo essere un comico qualsiasi, e non vuole solo conoscere Jerry Langford: Rupert Pupkin vuole essere Jerry Langford, perché questo significherebbe emanciparsi dal suo essere nessuno.
Re per una notte mette in scena la violenza della fama e della celebrità
Re per una notte comprende e mette in scena la strettissima correlazione fra adorazione e invidia, fra ossequio e sopraffazione, che costituisce l'adulazione nella sua essenza più pura: il fan desidera possedere il dio-feticcio di cui è infatuato, il che comprende anche la possibilità di annientarlo del tutto (quando questo desiderio di dominio viene negato). E questa è una fantasia che il protagonista, pur rassicurando lo spettatore e il suo ostaggio di non avere altre intenzioni al di fuori di una o più performance in televisione, mette in atto. È una fantasia che nel 1980 l'invidia di Mark David Chapman, assassino di John Lennon e fan di lunga data dei Beatles (che per lui erano "more popular than Jesus", a evidenziare l'aspetto religioso del suo culto), aveva messo in atto.
Contestualizzato ma rivissuto e rianalizzato nell'epoca attuale, Re per una notte appare come una parabola quasi profetica sulla violenza insita nel funzionamento stesso della fama e della celebrità: l'intrusione di Pupkin riflette alla perfezione la pervasività del fan che oltrepassa i confini del privato perché può (oggi più che mai, grazie ai social media: si ricordi il processo Depp-Heard), che s'intrufola nella proprietà del suo idolo, che cambia i propri connotati per assomigliare a lui o che cerca in ogni modo di toccarne il corpo, e tutto questo senza curarsi di ottenere il consenso per farlo, che passa in secondo piano rispetto al desiderio da appagare. Pupkin impiega il mezzo della violenza perché crede addirittura di essere autorizzato al successo e alla carriera di Langford, e solo perché il suo delirio di grandezza supera il bisogno della convalida. Re per una notte parla di una televisione che ha accorciato le distanze e trasfigurato il rapporto con la notorietà. È ora la disponibilità di mezzi e non più il talento, le competenze, l'esperienza a garantire il lasciapassare per la fama: non c'è più bisogno di essere bravi finché si hanno altri strumenti a disposizione, finché l'importante è arrivare a ogni costo.
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Una cringe comedy in anticipo sui tempi
Il tono che Scorsese adotta per la storia di Pupkin è un altro fattore che senza dubbio sarà risultato critico nell'accoglienza da parte di qualsiasi spettatore, nonché determinante per il suo insuccesso. Re per una notte è infatti un dramma travestito da commedia o una commedia che decostruisce la commedia, oppure è inserito in una dimensione speciale in cui coesistono entrambe le verità. È una sorta di anti-commedia, nozione a cui oggi siamo avvezzi ma che nel 1983 denominava un esperimento non così diffuso e in grado di sfidare la concezione stessa di umorismo e intrattenimento: Re per una notte dichiara, o meglio ricorda, che il centro della commedia può non essere la risata. Certo, non mancano nel film le sequenze divertenti, ma impossibile ignorare come siano tutte immerse in una tonalità nera e in un clima di costante tensione che però non viene rilasciata mai, a differenza di quanto accade in Taxi Driver attraverso la deflagrazione della violenza.
Più che tragicommedia si potrebbe definire il film una cringe comedy nata con qualche decennio di anticipo, ma già perfettamente sintetizzata attraverso un linguaggio che beffeggia la tv e i suoi simboli avvalendosi dei suoi stessi schemi (il rapporto d'aspetto tipicamente televisivo, innanzitutto). I personaggi sono osservati da vicino, ma ermetici al tempo stesso: sono chiusi, sgradevoli - Pupkin è un pessimo comico, oltre che un pessimo essere umano - e al centro di una commedia fondata sull'inaccettabilità delle loro azioni, quindi aperta a possibili note malinconiche, amare, e non più obbligata all'ilarità. Re per una notte ha un solo demerito: essere arrivato troppo presto, troppo presto per essere capito.