Una camera d'albergo lussuosa e una ragazza morta nel letto. Un brusco risveglio, dopo una notte di eccessi, per la star di basket del momento. Ma basta una telefonata a Ray Donovan (Liev Schreiber) per allontanare prospettive tragiche, fatte di prime pagine dei giornali scandalistici, contratti milionari rescissi e divorzi disastrosi. Raymon "Ray" Donovan è un fixer, la persona giusta da chiamare nel momento sbagliato che, con l'aiuto di due collaboratori, riesce a togliere dai guai starlette hollywoodiane, più o meno note, grazie a metodi poco ortodossi (da violenze fisiche a calde mazzette pronte a corrompere), per poi tornare nella sua lussuosa villa periferica dove lo aspettano moglie e figli, non del tutto consapevoli del suo lavoro o forse solo convenientemente distratti.
Se Ray è il numero uno nel suo campo d'azione, non si può però certo dire lo stesso quando si parla di rapporti familiari. Con due fratelli di cui prendersi cura, Terry (Eddie Marsan), ex pugile malato di Parkinson, e Bunchy (Dash Mihok), ex alcolista con frequenti ricadute perché incapace di superare le violenze fisiche subite da un prete pedofilo quando era bambino, Ray ha preso il posto del padre, Mickey (Jon Voight), che, dopo venti anni di carcere, scontati forse per l'unico crimine non commesso ed incastrato proprio dal figlio, esce di galera assetato di vendetta e voglia di riscattare un'esistenza interrotta, portando problemi e scompiglio nella già turbolenta vita di Ray.
Le colpe dei padri ricadono sui figli
La forza di Ray Donovan risiede principalmente nella scrittura della sceneggiatura. Proprio il protagonista della serie targata Showtime, la stessa di Masters of Sex, ha la particolarità di rimanere incollato alla mente dello spettatore in virtù di una costruzione del personaggio minuziosa e potente che lo eleva ad una delle figure più interessanti del piccolo schermo per la sua complessità emotiva e la sua vita divisa tra realtà diverse che finiscono, puntata dopo puntata, per entrare in collisione. Ray è il sole e tutto attorno a lui gravitano i fratelli, dei quali diventa surrogato paterno, la moglie ed i figli, accecati dal suo magnetismo, ed infine i suoi clienti, riconoscenti e grati per avergli salvato la reputazione. L'unico che sembra non pensarla così è il padre Mickey, figura odiata ed osteggiata da Ray per tutte le mancanze e gli atti disonesti e vili commessi quando lui ed i fratelli vivevano ancora nella comunità irlandese di South Boston con lui e la madre, morta a causa di un male incurabile, mentre Mickey si dava alla pazza gioia con Claudette (Sheryl Lee Ralph), l'amante che gli darà un figlio, Daryll. Proprio il ritorno di Mickey farà crollare questo perfetto sistema di pianeti, spostando l'asse d'attenzione ora verso di lui, ora verso il figlio, come se i due si contendessero il trono affettivo della famiglia. Con i suoi metodi di lavoro (molto) poco cristallini, Ray, ricorda il Tony Soprano della famosa serie con protagonista James Gandolfini, sempre indaffarato a sistemare problemi lavorativi e familiari che spesso richiedono le maniere forti, prendendo idealmente il posto di Mickey.
I due sono antagonisti perfetti della prima stagione fatta di un incontro/scontro a base di recriminazioni dove ferite ancora aperte tornano a sanguinare. I due poli opposti, episodio dopo episodio, si svelano allo spettatore come più simili di quanto vorrebbero ammettere, seducenti manipolatori, pifferai magici che catturano non solo gli altri protagonisti della serie ma lo spettatore stesso. Con un uso parsimonioso del flashback, Ann Biderman, nome dietro ad altri successi del piccolo schermo come Southland e NYPD Blue, ci aiuta a ricostruire il passato di Ray e della sua famiglia, dove la tragedia della perdita violenta di una sorella si mischia all'orrore della violenza sessuale perpetrata ai danni del più indifeso dei ragazzi Donovan, Bunchy. Tutte le scelte sbagliate e azzardate di Michey, la sua incapacità di fare il padre ed il suo stile di vita affascinato da soldi e potere che vanno a braccetto con criminalità, si sono rivoltate contro i tre figli, costretti a pagarne le conseguenze nel loro divenire adulti, tra insicurezze e fantasmi del passato che li perseguitano. La Biderman, nonostante il ricco materiale drammatico riesce però a smorzare la tensione grazie a proprio alla figura di Mickey, affabulatore irresistibile con una passione sfrenata per droghe e belle donne, che non perde mai l'occasione per trarre vantaggio da ogni opportunità gli si prospetti davanti, mettendo spesso in difficoltà quegli stessi figli che anche da adulti continuano a rivivere le medesime situazioni della loro infanzia.
Everybody Goes to Hollywood
Los Angeles è il palcoscenico ideale per la storia di Ray Donovan, combattuto tra le pretese della moglie, irlandese di South Boston che vorrebbe fare la scalata sociale andando ad abitare in un quartiere più centrale e mandare i figli in scuole elitarie della città, ed il suo lavoro che lo vede alle prese con rappresentanti dello show business hollywoodiano ed i loro guai. Troviamo rapper adolescenti con alle spalle una famiglia disastrata, attricette perseguitate da stalker, giocatori di basket fedifraghi ed attori sex symbol tossicodipendenti e segretamente omosessuali. In questa varietà di casi Ray deve districarsi per nascondere la polvere sotto i tappeti dei ricchi appartamenti di queste star piene di vizi e perversioni, che pagano per poter continuare a vivere nascosti dalle luci dei riflettori i loro segreti. Sarebbe interessante scoprire quanto di vero c'è in questi personaggi e quanto la Biderman si sia fatta ispirare da vere celebrità trasfigurate in uno dei tanti personaggi della serie. Quello che è certo è che Hollywood e la sua macchina sforna star ne escono a pezzi, mostrando tutte le fragilità di persone ossessionate dallo stesso successo che le ha rese schiave e costrette a vivere una vita fatta di rehab e comunicati stampa di smentite. Ray Donovan sembra una serie divisa in due. Da una parte i colori patinati e lucidi della mecca del cinema e dei suoi tristi rappresentanti, dall'altra i colori caldi e tenui della palestra di Terry, con le sue mani tremanti ed il suo orgoglio, di Bunchy e le sue paure, di Ray ed i suoi tormenti di Mickey e la sua voglia di riscatto.
Ray Donovan è un esempio altissimo di scrittura, dove ogni singolo personaggio è delineato da contorni ben tratteggiati, capaci di restituirci realtà e psicologie complesse. Liev Schreiber e Jon Voight brillano insieme ad un cast di eccellenze che vanno da Eddie Marsan a Elliot Gould. Ricca di contenuti, dalla pedofilia alla criminalità insita nella comunità irlandese americana, dall'ipocrisia hollywoodiana a dinamiche familiari complesse, la serie, è uno dei più variegati prodotti televisivi di questi anni, capace di tenere testa a cult del calibro de I Soprano.
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Movieplayer.it
4.0/5