Si tiene nella splendida cornice della sala Pietro da Cortona dei Musei Capitolini di Roma la conferenza stampa per la presentazione di Io, l'altro, film interpretato e prodotto da Raoul Bova che racconta la storia di due pescatori, un siciliano e un tunisino, che, nella solitudine della loro barca in mezzo al mare, si ritrovano a mettere alla prova un'amicizia decennale, sporcata dall'ombra del sospetto fatto calare dalle notizie provenienti via radio che farebbero pensare al ragazzo arabo come ad un temibile terrorista. Mohsen Melliti scrive e dirige questa intensa storia di sospetto e pregiudizio che fa da specchio dei nostri tempi, nei quali a dominare è sempre più la paura nei confronti dell'altro. Ad interpretarla Bova e Giovanni Martorana.
Raoul Bova, lei oltre ad essere protagonista di Io, l'altro, è anche tra i produttori del film. Perché ha creduto così tanto in questo progetto?
Raoul Bova: Quando ho letto la sceneggiatura mi è subito piaciuta e ho visto nel personaggio di Giuseppe la possibilità di calarmi finalmente in un ruolo importante. Per me era una bella scommessa partecipare a questo progetto, un modo per mettermi alla prova e dimostrare a me stesso a che punto della mia carriera artistica ero arrivato. Per la prima volta mi sono dato da fare in prima persona per produrre il film e pur di realizzarlo ho scelto di rinunciare al mio cachet.
Io, l'altro è un film sul pregiudizio nei confronti dello straniero. In passato ha dichiarato di essere diventato razzista dopo l'11 settembre. Oggi si definirebbe ancora così?
Raoul Bova: Dopo l'11 settembre c'era una paura che riguardava anche me, un sospetto dilagante verso un intero popolo, quello arabo. Ogni volta che vedevo una valigetta in aeroporto nelle mani di una persona dai tratti orientali mi facevo il segno della croce sperando di non saltare in aria. Mi sono vergognato di certi pensieri, ma ero vittima di un modo di pensare sbagliato e consideravo terrorista un'intera cultura. In realtà la maggior parte dei musulmani sono bravissime persone, esattamente come lo è qualsiasi altro popolo. Ho pensato a noi italiani quando andavamo in America e a come ci consideravano e mi sono reso conto che la storia non ci ha insegnato niente.
Crede che questo film possa servire ad ammorbidire questa paura?
Raoul Bova: Quando abbiamo presentato il film a Los Angeles, un ragazzo arabo alla fine della proiezione si è avvicinato a noi e ci ha detto "spero che questo film possa educare il mondo, perché io dopo l'11 settembre ho perso tutti i miei amici". Questa paura diffusa ha provocato tanti danni, soprattutto a questo popolo considerato tutto come terrorista. Spero che il nostro film possa servire nel suo piccolo a far aprire gli occhi a chi si lascia condizionare.
Da dove viene tutta questa angoscia per il terrorismo?
Raoul Bova: In America c'è un bombardamento mediatico di ciò che succede in Iraq ed in Iran. Sono immagini anche subliminali che instillano nelle persone un piccolo germe contro il mondo orientale. Negli Stati Uniti ho visto coi miei occhi un videogame in cui, invece di sparare agli alieni, bisognava mitragliare degli arabi. E' una situazione molto inquietante, come i servizi in televisione che invitano ad arruolarsi nell'esercito. Anche in Italia c'è questa paura diffusa dai media che hanno il potere di creare miti e suscitare odio. Bisognerebbe valutare bene ciò che si dice, si scrive, si fa vedere e non alimentare pregiudizi nei confronti del mondo orientale.
Mohsen Melliti, lei si definisce un tunisino esiliato in Italia. Qual è la situazione politica in Tunisia oggi per la quale un uomo di cultura è costretto all'esilio?
Mohsen Melliti: Nel 1987 l'Italia ha partecipato attivamente ad un golpe in Tunisia, come descritto nel libro di memorie dell'ammiraglio Martini. Da quel giorno ha preso il potere l'attuale presidente della repubblica tunisina, Ben Ali, un poliziotto tra i più feroci del mondo arabo. In Tunisia non ci sono diritti, i giornali sono controllati da Ben Ali e in molti sono costretti all'esilio perché in questi anni migliaia di persone sono finite in carcere per il solo fatto di aver espresso un'idea contraria a quella del presidente.
Il suo film parla dei pregiudizi nei confronti dell'altro. Da dove vengono secondo lei?
Mohsen Melliti: Questa storia non è solo sul pregiudizio verso gli arabi, ma un'analisi di questa paura creata a tavolino da un bombardamento continuo di notizie ed immagini mirato a vendere un progetto più grande, una guerra preventiva e permanente. Io sono ateo e non voglio prendere le difese di nessuno, ma gli amici dell'America sono gli stessi paesi che producono terroristi. Su 204 persone arrestate con l'accusa di terrorismo, poi, solo due sono state condannate. Per diventare terrorista bisogna avere cultura, come si dice nel film, non è qualcosa che può fare un uomo qualunque. Dopo l'11 settembre i cittadini hanno perso libertà civili e diritti e poi ci sono situazioni infami, come il carcere di Guantanamo nel quale cessa qualsiasi concessione del diritto. Gli Stati Uniti hanno montato questa paura verso i paesi arabi con lo scopo di vendere una guerra in Afghanistan e una in Iraq. Ora stanno per venderne una anche in Iran.
Perché i protagonisti del film, Giuseppe e Yousef, hanno lo stesso nome, anche se in due lingue diverse?
Mohsen Melliti: L'uomo è una bestia con la stessa matrice e il film si intitola Io, l'altro per questo motivo. L'uomo è nemico di se stesso e nel film quello che si uccide è l'altro da sé.
Io, l'altro è anche un film sul sospetto che inficia una grande amicizia, arrivando a distruggerla. Quanto ci si può fidare oggi di un amico?
Mohsen Melliti: Il sospetto in questa amicizia nasce dall'esterno, via radio. E' un sospetto manipolato, non istintivo. Giuseppe non ha sovrastrutture, è una persona con i difetti che tutti hanno, si lascia condizionare dalla radio e la sua volontà viene manipolata dalla paura.
Giovanni Martorana: Nell'amicizia dovrebbe contare solo il cuore, perché la mente può ingannare. Bisognerebbe insegnare a scuola che l'amicizia può essere portata avanti solo con il cuore.
Raoul Bova: L'amicizia tra i due protagonisti del film viene compromessa dalla paura che non è solo quella di Giuseppe, ma anche quella di Yousef. Giuseppe non vuole compromettere la sua vita, quella barca che rappresenta l'unica fonte di guadagno della sua famiglia e vorrebbe perciò portare Yousef alla polizia per chiarire la situazione. A questo punto inizia la paura del ragazzo arabo che si chiede per quale motivo andare alla polizia quando in realtà è innocente e rischiare così di avere dei problemi magari per un permesso di soggiorno non in regola. Il lasciarsi condizionare dalla radio è anche sintomo di ignoranza. Yousef nel film grida che "la radio non è il Corano". A volte l'amicizia è contaminata dall'ignoranza che genera l'intolleranza.
Giovanni Martorana, come è arrivato un attore italiano ad interpretare un personaggio tunisino?
Giovanni Martorana: Credo che Io, l'altro sia uno dei pochi film che possa aiutare noi a mettere un seme di consapevolezza di quel che accade nel mondo. Sono nato e cresciuto in un paese in provincia di Palermo abitato da molti arabi e il loro modo di parlare è divenuto una cantilena continua dentro di me dalla quale ho attinto per costruire il mio personaggio. Io assomiglio fisicamente ad un arabo e spesso questo mi ha creato dei problemi. Ultimamente mi è capitato di viaggiare molto per le riprese di San Pietroburgo, l'ultimo film di Giuliano Montaldo nel quale interpreto un anarchico dell'800, e ogni volta che mi recavo in aeroporto mi fermavano automaticamente, considerandomi un arabo. Bisognerebbe educare a non aver paura degli altri, perché se abbiamo difficoltà noi, immaginiamoci loro. Gli islamici hanno fanatici ed estremisti esattamente come li abbiamo noi.
Raoul Bova, come si colloca questo film nella sua carriera?
Raoul Bova: Dopo la mia interpretazione ne La finestra di fronte di Ferzan Ozpetek tutti dicevano che ero stato una sorpresa, una rivelazione, eppure facevo questo lavoro già da quindici anni e in quel film in fondo avevo solo una piccola parte, perciò avevo voglia di trovare un ruolo consistente dall'inizio ala fine. Melliti mi aveva dato il copione di Io, l'altro prima che partissi per l'America e mi è piaciuto talmente tanto che ho voluto fare proprio quello che fanno certi attori negli Stati Uniti, cioè rinunciare al cachet e dare la mia totale disponibilità a questo progetto.
Mohsen Melliti, quali sono i suoi progetti futuri?
Mohsen Melliti: Io nasco come scrittore e continuerò a scrivere romanzi, ma mi piacerebbe continuare col cinema. Quello che mi interessano sono i conflitti e mi piacerebbe scrivere una sceneggiatura sul conflitto israelo-palestinese, anche se so che non è una cosa facile.