Gli amanti del cinema orientale avranno ben presente il nome di Benny Chan, regista che nel corso della sua lunga carriera ci ha regalato veri e propri cult del cinema action di Hong Kong. A lui si devono non soltanto alcuni dei più fortunati lavori di Jackie Chan come Senza nome e senza regole (1998), New Police Story (2004) e Rob B-Hood (2006), ma anche gli epici Shaolin (2011) e Call of heroes (2016) e tesi polizieschi quale The White Storm (2013).
Come vi raccontiamo nella recensione di Raging Fire - Fuoco incrociato, ci troviamo davanti al suo ultimo film girato prima della prematura scomparsa, nell'agosto del 2020, a causa di un tumore e che gli ha impedito di completare le fasi di post-produzione. Non è un caso che come sottolineano i titoli di testa l'operazione sia stata proprio dedicata alla sua memoria: fatto sta che come film di addio il cineasta ci ha lasciato una pellicola entusiasmante, vera e proprio summa del suo stile qui esasperato alla massima potenza grazie anche alla presenza nel cast - e nel ruolo di coreografo per le sequenze d'azione - di una star del genere, ben conosciuta anche dal pubblico occidentale, ovvero Donnie Yen.
Un passato condiviso
Bong è un ispettore di polizia profondamente rispettato dai suoi colleghi e dalla carriera ricca di casi risolti, spesso tra i più pericolosi. L'uomo è ancora noto per la sua dedizione alla causa e ha sempre rifiutato mazzette che pur gli avrebbero garantito facili promozioni: proprio per non essere sceso a patti, viene estromesso da un'ultima missione, relativa a porre termine ad un narcotraffico sul quale stava indagando da tempo, ora affidata al suo partner Wong Kwun. Quest'ultimo e la sua squadra finiscono però per essere vittima di un'imboscata, uccisi brutalmente a sangue freddo da una banda mascherata che si scoprirà ben presto ha molto in comune proprio con il passato di Bong. Il protagonista si ritroverà così a fare i conti con i suoi demoni nella ricerca della vendetta e quando l'identità dei colpevoli viene finalmente alla luce sarà per lui una rivelazione scioccante.
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Semper fidelis
Proprio sulla vendetta si base il senso morale che muove sia i buoni che i cattivi, ognuno spinto da lutti e tragedie passate: una dicotomia tra bene e male dove esistono molte zone grigie, che permette di dare alle rispettive parte in causa una profonda personalità, nonché un senso di fraternità e di sacrificio più o meno deviato da logiche di potere e rabbie represse. Per oltre due ore Raging Fire ci trascina in una scorribanda action a tratti inarrestabile, con sparatorie frenetiche - quasi figlie di un impianto videoludico - esplosioni in serie, spericolati inseguimenti su due o quattro ruote e combattimenti marziali coreografati chirurgicamente. Naturalmente Donnie Yen la fa ancora una volta da padrone, con magnifici calci volanti e quella vocazione del kung-fu / wing-chun che strizza l'occhio alla coeva saga di Ip Man, qui declinata in un'ottica più urbana e ricca di soluzioni.
Senza tregua
Un'ambientazione e gestione cittadina che può parzialmente ricordare quella operata da un altro maestro del cinema autoctono quale Johnnie To nel seminale Breaking News (2004) e che dà vita a serrate rese dei conti: spettacolare nel puro senso del termine la battaglia nel traffico tra i due nuclei principali - poliziotti vs. banditi - che precede il definitivo final fight tra Yen e Nicholas Tse, villain perfetto e affascinante nelle sue tormentate sfumature. Quello scontro a chiudere, lungo quasi dieci minuti dove i due si affrontano con coltelli in una chiesa abbandonata, è l'ideale espressione della poetica di Benny Chan, che forse sapendo già della sua tragica fine ha voluto insinuare, anche nelle vesti di co-sceneggiatore, un alito di melanconica tragedia che rende Raging Fire - Fuoco incrociato emozionante anche nella gestione della suddetta retorica a tema, oltre che nelle sottolineate, esplosive, dinamiche di genere.
Conclusioni
Dall'inizio alla fine non lascia un attimo di tregua, riuscendo a combinare le avvincenti coreografie action con una storia affascinante che affronta per l'ennesima volta la lotta dicotomica tra il bene e il male, qui declinata su sfumature ambigue e ambivalenti. I personaggi di Donnie Yen e Nicholas Tse sono d'altronde i due volti di una stessa medaglia, messi dagli eventi su opposti versanti e alle prese con una resa dei conti senza esclusione di colpi. Come vi abbiamo raccontato nella recensione di Raging Fire - Fuoco incrociato, non vi poteva essere miglior lascito alla Settima Arte per il compianto Benny Chan, maestro del cinema di Hong Kong scomparso poco dopo la fine delle riprese. Un'opera d'addio melanconica e struggente ma anche spettacolare nelle sue pure dinamiche d'azione, con Yen che ancora una volta si conferma star assoluta del genere.
Perché ci piace
- Donnie Yen e Nicholas Tse danno vita a due figure complementari e affascinanti.
- Il dramma e la retorica funzionano.
- Scene d'azione spettacolari, siano queste combattimenti o sparatorie o ancora inseguimenti.
Cosa non va
- Un paio di forzature in fase narrativa.