Il pane nudo, uno dei romanzi più importanti della letteratura araba, scritto dal candidato al Premio Nobel Mohamed Choukri ed edito in Italia da Bompiani, è diventato un film per la regia di Rachid Benhadj. Dopo aver sbancato il recente Festival di Busto Arsizio, dove ha vinto, tra gli altri, i premi per il miglior film, la migliore sceneggiatura e il miglior montaggio, Il pane nudo, prodotto dall'italiana A.E. Media corporation, arriva nelle sale italiane questo venerdì. Il regista Benadhj, algerino di casa a Roma, ci racconta il difficile percorso dal testo scritto al grande schermo di questo bel racconto di speranza.
Lei ha scritto il film con la collaborazione dello stesso Choukri, poi scomparso poco prima dell'inizio delle riprese. Com'è stata quest'esperienza?
Non era facile fare un film da questo romanzo. So che altri stavano provando ad adattarlo da tempo e quando ho conosciuto Choukri ho capito dove stava il problema. Non era cosa semplice lavorare con lui, perché aveva paura di intrusioni nella sua vita privata o di adattamenti scarsamente fedeli allo spirito della storia. Il nostro primo anno è stato di transizione, eravamo come bestie che si studiavano. Confesso che abbiamo avuto tante liti, ma qualche tempo prima che morisse mi ha confessato che ero riuscito ad entrare nel suo cuore. Lavorare nella vita di un'altra persone non è mai facile, ma lui alla fine ha capito e mi ha detto "In fondo io ho scritto il mio libro, ora è giusto che tu faccia il tuo film." Choukri era malato da tempo di cancro ai polmoni e una settimana prima di morire mi ha chiamato per dirmi di salutare da parte sua tutte le persone che stavano lavorando al film. Ho capito allora che mi stava lasciando un'eredità pesante, uno sguardo critico col quale mi sono confrontato con angoscia. Spero però di non aver tradito la sua storia, anche se non è semplice raccontare una vita nello spazio di un film.
Il libro è stato vietato in molti paesi arabi. Come pensa che reagiranno quegli stessi paesi all'uscita del suo film?
Il libro è diventato subito un caso letterario perché per la prima volta un marocchino parlava senza pudori della realtà. E' stato immediatamente tradotto in tutti il mondo e tutti conoscono la sua storia, anche in Giappone, ma nei paesi arabi, quello a cui era direttamente legato, il libro è stato vietato. In Marocco è stato pubblicato solo nel 2000, stampato in sole 5000 copie. Volevo fortemente che il film venisse visto lì dove il libro è ancora vietato perché per me era importante vedere la reazione della gente. Abbiamo approfittato di un festival a Casablanca e devo dire che il film è stato accolto molto bene da tutti.
Non sarà stato facile trovare i finanziamenti per il film. Come hanno reagito i produttori arabi quando ha bussato alle loro porte?
La situazione del cinema maghrebino non è facile perché se non abbiamo aiuti dalla Francia o da altri paesi un film non si fa. Quando sono andato dai produttori arabi per chiedere i finanziamenti tutti si sono limitati a cestinare la mia sceneggiatura. In questi paesi domina l'ignoranza e l'unico modo per dare loro una mano è fare delle opere che li aiutino ad uscire da questo stato, ma dovrebbero essere questi stessi paesi a produrre film del genere.
Alla fine il film è stato prodotto dall'Italia.
Sì, perché In Occidente c'è una sensibilità nuova. E' molto importante che un film come questo sia stato prodotto dall'Italia, che in genere è molto chiusa verso le altre culture, in particolare verso il mondo arabo. Attraverso film del genere chi è vede in un arabo un terrorista può allargare la propria mentalità. Anche per questo ho voluto dare un'immagine vera e positiva del mondo arabo, che c'è, esiste, e deve avere lo spazio per esprimersi e farsi conoscere.