Vallate rigogliose, verdeggianti scogliere a ridosso del mare, alberi imponenti. Mentre vanno in scena panoramiche di una natura incontaminata, una voce sussurra qualcosa, si confessa con lo spettatore, si interroga sulla colpa e sull'innocenza. In netto contrasto con le immagini di una Cornovaglia immacolata, le parole del giovane Philip Ashley sembrano sporcate da eventi traumatiche, macchiate da dolorose questioni di cuore che scopriremo poco per volta, col contagocce. Prima, però, l'aitante ragazzo inglese ci racconta la sua vita, fatto determinante per comprendere meglio quel che sarà. Orfano di entrambi i genitori, Philip è stato cresciuto sin da piccolo da suo cugino Ambrose, in una tipica tenuta di campagna ottocentesca, lontana dal caos cittadino. Poi, ecco l'indizio fondamentale, particolarità succulenta per qualsiasi freudiano: Philip non ha mai entrato in contatto con una donna. Niente madre, niente governanti, niente zie, niente nonne, niente amiche.
La prima e unica eco femminile nella sua vita arriva dalle lettere di Ambrose che, partito per affari verso l'Italia, racconta di essersi pazzamente innamorato di una certa Rachel. Le prime lettere piene di entusiasmo cedono il passo a lunghi silenzi e, infine, alla notizia della morte dell'amato cugino. Cosi, Philip inizia a covare risentimento e sospetti nei confronti della cugina-vedova in viaggio verso l'Inghilterra, Il giovane Ashley è pronto ad accoglierla con freddezza, ma l'impatto inaspettato dell'enigmatica Rachel sulla sua esistenza destabilizzerà ogni glaciale pregiudizio.
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Rachel, la seconda moglie
Quella di Daphne Du Maurier è una penna intinta nel veleno, nel sospetto e negli attaccamenti più morbosi. L'autrice che ispirò il torbido Rebecca, la prima moglie di Alfred Hitchcock insiste sull'inquietante tema delle distanze affettive, dei rapporti logoranti, dell'amore come squilibrio e mai come sintonia tra anime davvero affini. Non fa eccezione il suo romanzo Mia cugina Rachele, pubblicato nel 1951, un anno prima che Henry Koster lo adattasse per il grande schermo con un film omonimo. Più di mezzo secolo più tardi, il fascino sfuggente della sua machiavellica protagonista e il cuore nero di questa oscura storia non perdono un briciolo della loro attualità universale, dando a Roger Michell (regista di Notting Hill) l'ispirazione per un remake. Classico nell'impostazione e cadenzato da ritmi posati nell'incedere, Rachel è un thriller sentimentale a cui sarebbe servito meno miele e ancora più cinismo, dove l'ambientazione nebbiosa e le luci soffuse dei lumi di candela (simili a quelle viste di recente in Lady Macbeth) contribuiscono a creare un'atmosfera in cui dovrebbe essere difficile orientarsi.
In realtà, nonostante una ricostruzione storica accurata e una messa in scena rigorosa, nel film di Michell è tutto troppo chiaro sin dall'inizio, a causa di una scrittura eccessivamente esplicita e squilibrata nel mostrarci un giovane Philip in preda ai danni disastrosi della sua imperdonabile ingenuità. Sfavorito da un poco carismatico Sam Claflin, il personaggio maschile di Rachel è vittima sacrificale sin dalle prime sequenze, morbida argilla nelle mani di una donna consapevole del suo effetto sugli altri. Il che crea nello spettatore un immediato giudizio nei confronti del povero Ashley, scriteriato ragazzo emotivamente immaturo con cui è davvero difficile entrare in empatia.
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Colpevole o innocente?
Però, in fondo, chi siamo noi per condannare un uomo innamorato? L'abbassamento delle difese non è forse il dolce rischio di ogni amore? Qui, nella zona grigia tra colpa e innocenza, condanna e purezza, si gioca l'aspetto più complesso e interessante di un film in cui ogni personaggio risponde alle proprie ragioni senza tener conto del coinvolgimento altrui. Philp e Rachel non stanno mai insieme anche quando sono vicini, e Rachel Weisz è abilissima nel mostrare quel costante altrove in cui si colloca la sua donna dal fascino inafferrabile e della bellezza algida o calda all'occorrenza. Chi è colpevole? Chi è innocente? È colpevole una donna che non vuole appartenere a nessuno se non a se stessa? In una rigida cultura ottocentesca vincolata all'esigenza del possesso e della dipendenza del femminile dal maschile, Rachel disegna sottotraccia la sua rivolta silenziosa, fatta di sguardi da carpire ed espressioni enigmatiche. Svincolarsi da questo modello culturale è il peccato confessabile di una donna fuori dal suo tempo, troppo avanti per essere compresa dal cuore romantico di un ragazzo pienamente ottocentesco, forse innamorato dell'amore stesso, mentre comprende sulla sua pelle la sottile ma sostanziale differenza tra la magia dell'innamoramento e l'incantesimo della seduzione.
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2.5/5