Ci sono interpreti che rimangono indissolubilmente legati ad alcuni ruoli, così iconici e così plasmati sul loro corpo, sulla loro fisicità, sul loro parlato, sulla loro anima, che è difficile pensarli altrove. Uno di questi è sicuramente Kiefer Sutherland che col suo Jack Bauer ha un rapporto quasi simbiotico. Sarà per le ben otto stagioni di 24 andate in onda su FOX, sarà per l'innovazione narrativa in tempo reale delle 24 ore ad ogni stagione, sarà per il revival Legacy andato in onda qualche anno fa, sarà per gli esperimenti meno riusciti di Touch (sempre sulla stessa rete) e Designated Survivor su Netflix, in cui interpretava un uomo meno d'azione e più di buoni sentimenti e decisioni intorno ad un tavolo.
Il suo ritorno sullo streaming è invece all'insegna dell'azione, questa volta su Paramount+, dal 26 maggio interamente disponibile, come spiegheremo nella recensione di Rabbit Hole, e potrebbe davvero essere l'occasione che gli mancava per cambiare personaggio senza farlo del tutto.
La Tana del (Bian)coniglio
Fin dal titolo è chiaro come Rabbit Hole si presenti come un thriller drama che gioca con le convinzioni dei suoi personaggi e quindi dello spettatore. In particolare del protagonista John Weir (Kiefer Sutherland, ricordiamo figlio d'arte dalla mascella pronunciata), un maestro dell'inganno nel mondo dello spionaggio aziendale che ritroviamo in un confessionale non per espiare i propri peccati ma perché ha bisogno di un interlocutore per comprendere quale sia la realtà. Proprio perché ci troviamo nella proverbiale Tana del (Bian)coniglio, nulla è come sembra e John sta per precipitare nell'abisso più profondo prima di potersi (forse) rialzare. Si ritrova infatti improvvisamente incastrato per dei crimini che non ha commesso, uno dopo l'altro che non fanno che aggiungersi ed aggravare la sua posizione verso le autorità e la Legge. Allo stesso tempo, però, scopriamo delle verità sul suo conto che ci fanno mettere in dubbio la credibilità e la buona fede del protagonista, ed è proprio su questo che contano i creatori e registi John Requa e Glenn Ficarra (che col tempo avevano già giocato in This Is Us e WeCrashed) per destabilizzare lo spettatore e fargli mettere in dubbio le proprie certezze di ciò che sta vedendo.
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John Jack Weir Bauer
Almeno dai primi episodi visti in anteprima, possiamo dire che Rabbit Hole bilancia bene il lato più prettamente spionistico e action a quello psicologico del gioco a incastro in cui le pedine non è chiaro da subito come vadano a posizionarsi sulla scacchiera. Nel Cavaliere Oscuro di Nolan si diceva "O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo" e John Weir rientra perfettamente nell'ambivalenza da Due Facce, perché non sappiamo mai quando stia dicendo la verità e quando, essendo un vero e proprio maestro dell'inganno, finisca invece vittima delle sue stesse bugie e dei suoi stessi sotterfugi. Kiefer Sutherland si è quindi in un certo senso evoluto al livello successivo: non è più gli integerrimi Jack Bauer, Martin Bohm, Tom Kirkman e, forte dei propri anni d'esperienza e dei vari show fatti e ruoli interpretati, riesce a donare a Weir la giusta ambivalenza. Non manca - su tutto - la parte cospirazionista della storia raccontata, con i poteri forti e gli uomini dietro le quinte che controllano la popolazione mondiale e fanno in modo che gli eventi vadano come devono andare, ancor più influenti dei fili invisibili mossi dallo stesso John che lo rendono il più bravo e richiesto nel suo mestiere. John rischia di diventare vittima anche dei flashback della sua infanzia e adolescenza, che riemergono occasionalmente come schegge di ricordi confusi e dovrebbero rivelare al pubblico man mano qualcosa sul suo passato, ma non risultano sempre fluidi e montati a dovere.
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Non solo Kiefer Sutherland
Weir - che suona come "weird", "strano" in originale, e non può essere un caso - però non è da solo nelle proprie operazioni ma ha una squadra fidata scelta e composta negli anni: Meta Golding (Empire) nel ruolo di Hailey Winton, Enid Graham (Omicidio a Easttown) nei panni di Josephine 'Jo' Madi, Rob Yang (Succession) nel ruolo di Edward Homm, Walt Klink (The English) nei panni dello stagista (perché l'aspetto semi-ironico non manca come quello di avere un tirocinante anche in questo tipo di lavoro al limite della legalità). A rendere ancora più complicata la vita del protagonista ci pensano personaggi come Jason Butler Harner di Ozark nei panni del vecchio amico Valence che lo chiama per un lavoro, innescando una reazione a catena di cui è davvero difficile prevedere e controllare le conseguenze, e - ciliegina sulla torta degli inganni - Charles Dance, che dopo i ruoli paterni non proprio lusinghieri in The O.C., Lost e Il Trono di Spade qui interpreta il Dr. Ben Wilson, un uomo mefistofelico tutto da scoprire. Un contorno che non sempre funziona e riesce ad essere interessante ma è chiaro come lo show punti soprattutto sul suo protagonista per tenere sulle spalle la riuscita e il fulcro della tensione. Bentornato, Jack... ops, Kiefer!
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Rabbit Hole ricordando come riporti Kiefer Sutherland ad atmosfere più da 24 e meno da Touch e Designated Survivor, che sono più nelle sue corde e fanno risaltare più la sua bravura di uomo d’azione anche se calmo e compassato. Qui in più deve ricoprire una sorta di doppio ruolo, dato che il protagonista non sembra mai dirci la verità fino in fondo ed è su questo che giocano autori e registi per poter arrivare alla sincerità solo alla fine della storia… forse.
Perché ci piace
- Kiefer Sutherland funziona come John Weir e riesce a donargli anche una certa ambivalenza.
- C’è equilibrio tra la parte action e quella psicologica.
- I colpi di scena sembrano ben studiati...
Cosa non va
- ... ma si rischia di perdersi nei troppi inganni come accade al protagonista.
- Il cast di comprimari non funziona del tutto.
- I flashback non sono sempre fluidi.