Recensione Last Food (2004)

Girata avvalendosi dell'articolo 8, l'opera prima del regista italiano usa nella maniera migliore il piccolo budget a disposizione puntando molto sulla suggestività dei panorami e su una certa apprezzabile originalità. Ne esce un film di ampio respiro che alterna idee e temi interessanti a momenti meno azzeccati.

Questione di gusti

Primo lungometraggio per il documentarista Daniele Cini, Last Food è parte integrante di un progetto sui cinque sensi, che ha dato luce già ad un corto e che vede in realizzazione un altro film sul senso del tatto. Girata avvalendosi dell'articolo 8, l'opera prima del regista italiano (ex documentarista di Mixer) usa nella maniera migliore il piccolo budget a disposizione puntando molto sulla suggestività dei panorami e su una certa apprezzabile originalità. Ne esce un film di ampio respiro che alterna idee e temi interessanti a momenti meno azzeccati. Siamo comunque di fronte ad un prodotto incoraggiante, complessivamente ben girato e ben interpretato, che ha però come principale limite quello di indurre lo spettatore a pensare che sia il cortometraggio, dal punto delle coordinate diegetiche, l'universo più consono rispetto al modo in cui il tema è trattato. Si ha infatti la sensazione che al termine della prima parte si sia assistito ad un eccellente corto, o piuttosto mediometraggio, a cui qualsiasi aggiunta sarebbe letale. Ad ogni modo, il tentativo di confrontarsi con un film vero e proprio non è affatto condannabile, e in molti momenti la pellicola è più che gradevole.

Il tema del cibo è il fondamento di tutto il film ed è, per dirla con le parole di Cini stesso, la cornice metaforica per raccontare delle perdite all'interno dell'uomo e della società. Il cibo è la chiave di lettura dei personaggi (e ne connota le personalità) ed il tema del cannibalismo è il corollario teorico di tutte le tesi del film. Il confronto tra il rampantismo manageriale dell'italiano Grumand (interpretato da un convincente Gigio Alberti) e lo spiritualismo dello chef cordon bleu Takano (Hal Yamanouchi), è usuale, quanto comunque convincente. Un rapporto che inizia con uno struggente abbraccio, suggellatore di una comune buonasorte nella sopravivenza all'incidente aereo, e prosegue tra contrasti e momenti di convivialità fino ad un apparente, tragico epilogo. E' dopo questo epilogo che il film prende un'altra strada, quella del ritorno alla vita abituale di Grumand e dei suoi improvvisi problemi con il cibo; ma è una strada troppo diversa dalla precedente e la sensazione che tra i due momenti il taglio sia troppo brusco è piuttosto evidente. Eppure, anche nella seconda parte, Cini mostra di saper fare del buon cinema e di saper scrivere bei personaggi (come quello di Arianna, interpretata da Fanny La Monica), perdendo però l'ispirazione iniziale che viveva sulla felice mescolanza di vari registri narrativi, dal grottesco al drammatico con momenti divertenti e surreali. Ma ribadiamo, un'occhiata la merita di certo, dategli un'oppurtunità, nella speranza gliela dia anche la distribuzione stessa ed il mercato delle grandi sale.