Quel pomeriggio di un giorno da cani: il più grande ruolo di Al Pacino

Nel film cult Quel pomeriggio di un giorno da cani, Sidney Lumet mette in scena un noto caso di cronaca dipingendo un fosco ritratto dell'America degli anni Settanta.

A mia madre, io chiedo perdono: per te non hanno senso le cose che ho fatto e detto... ma devi capirlo, sono diverso.

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Quel pomeriggio di un giorno da cani: Al Pacino all'ingresso della banca

Davanti all'ingresso di una banca di Brooklyn, al cospetto delle forze di polizia schierate tutt'attorno, Sonny Wortzik inveisce contro un gruppo di agenti con le pistole puntate su di lui, e in un impeto di rabbia inizia a gridare le parole "Attica! Attica!". Di colpo la folla assiepata lungo la strada esulta, si lancia in un fragoroso applauso e infine si unisce in coro a Sonny, ripetendo a gran voce quelle tre sillabe. Si tratta della scena più celebre di Quel pomeriggio di un giorno da cani, ma anche di un momento emblematico per comprendere il film di Sidney Lumet: la complessità di un racconto che rifiuta qualunque schematismo e, in parallelo, la sua capacità di restituire con forza inaudita lo Zeitgeist dell'America della prima metà degli anni Settanta.

La rivolta di Attica e la rapina di Sonny Wortzik

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Quel pomeriggio di un giorno da cani: un'immagine di Al Pacino

La parola Attica potrebbe non dire nulla al pubblico odierno, ma negli Stati Uniti dell'epoca evocava un episodio ancora ben impresso nella memoria collettiva: la rivolta avvenuta fra l'8 e il 9 settembre 1971 nel penitenziario di Attica, situato nei pressi di Buffalo, dove erano rinchiusi per la maggior parte membri di minoranze etniche. Le trattative fra le autorità e i capi della rivolta furono interrotte bruscamente il 13 settembre, quando polizia e militari penetrarono nel carcere e aprirono il fuoco, provocando la morte di ventinove detenuti e dieci ostaggi. Da allora, il termine Attica era diventato un sinonimo del "braccio violento della legge" e dei brutali metodi di repressione adottati da forze dell'ordine ed esponenti delle istituzioni; sulle labbra di Sonny Wortzik, veterano del Vietnam convertitosi in rapinatore di banche, costituiva un atto d'accusa contro uno Stato impegnato a tormentare i suoi cittadini più deboli.

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Quel pomeriggio di un giorno da cani: Al Pacino davanti a un gruppo di poliziotti

Wortzik, che nel film di Sidney Lumet ha il volto di un magnetico Al Pacino, era stato a sua volta al centro di un noto episodio di cronaca: il 22 agosto 1972, lui e il suo amico Salvatore Naturale avevano eseguito una rapina alla First Brooklyn Savings Bank, salvo essere poi essere costretti a rinchiudersi all'interno dell'edificio insieme a un manipolo di ostaggi. L'evento, seguito in diretta dai media di tutto il paese, sarebbe stato ricostruito da Lumet tre anni più tardi in Quel pomeriggio di un giorno da cani: uscita negli Stati Uniti il 21 settembre 1975, la pellicola di Lumet è un successo immediato, con venticinque milioni di spettatori solo in patria (dove si attesterà al quinto posto fra i campioni d'incassi dell'annata), ottiene sei nomination agli Oscar e si aggiudica il premio per la miglior sceneggiatura adattata, firmata da Frank Pierson.

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Sidney Lumet, da La parola ai giurati alla New Hollywood

Sidney Lumet
Il regista Sidney Lumet con il premio Oscar alla carriera

Sebbene pochi film abbiano saputo esprimere lo spirito di quegli anni con la stessa efficacia di Quel pomeriggio di un giorno da cani, la carriera di Sidney Lumet era esplosa molto prima della nascita della New Hollywood: una lunga gavetta fra palcoscenico e televisione negli anni Cinquanta e il folgorante debutto al cinema nel 1957 con La parola ai giurati, a cui aveva fatto seguito una serie di apprezzati adattamenti per lo schermo di classici del teatro del Novecento o di romanzi contemporanei. Cineasta estremamente prolifico, Lumet si era dimostrato del tutto a proprio agio con i nuovi canoni imposti dalla New Hollywood: da un realismo più crudo e 'sporco' all'interesse crescente per i temi sociali, che si riveleranno una costante della sua produzione.

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Quel pomeriggio di un giorno da cani: Al Pacino nel ruolo di Sonny Wortzik
John Cazale
Quel pomeriggio di un giorno da cani: un'immagine di John Cazale

Nel 1973 il regista aveva inaugurato la sua collaborazione con Al Pacino in Serpico, in cui il divo de Il Padrino impersonava un ruvido detective della polizia di New York in un serrato braccio di ferro con la corruzione diffusa nel proprio dipartimento (e pure in quel caso, si trattava di una storia vera). Quel pomeriggio di un giorno da cani, diretto dopo la parentesi di Assassinio sull'Orient Express, riprende toni e atmosfere di Serpico, a partire dall'ambientazione nella giungla d'asfalto newyorkese (spogliata di qualunque orpello romantico), ma assume la prospettiva di chi, seppure in maniera non troppo consapevole, ha scelto di porsi sul fronte opposto alla legge: stavolta Pacino è un neofita delle rapine al suo primissimo colpo, mentre a un John Cazale dall'aria tetra e insicura è affidato il ruolo del suo compare Sal.

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Un giorno di ordinaria follia

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Quel pomeriggio di un giorno da cani: Charles Durning in una scena

Il naturalismo stilistico di Lumet viene rispecchiato in ogni elemento del film: dall'assenza di una colonna sonora extradiegetica (l'unica eccezione è la canzone di Elton John Amoreena, che in apertura accompagna una galleria di immagini di New York) alla buffa goffaggine dei rapinatori, con il terzo membro della banda, il giovane Stevie, che molla l'impresa dopo pochi minuti, ma non sa come tornare a casa senza l'auto. L'ironia delle prime battute, tuttavia, non risulta mai forzata: fin dal principio, Quel pomeriggio di un giorno da cani evita qualunque forma di spettacolarizzazione, in un senso o nell'altro, in modo da evidenziare quanto più possibile la credibilità degli avvenimenti narrati e dei personaggi in gioco, coinvolti loro malgrado in una situazione sempre più difficile da controllare.

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Quel pomeriggio di un giorno da cani: John Cazale e Al Pacino

Nell'esclamazione "Attica!", pronunciata da Sonny Wortzik quando si rende conto di tenere sotto scacco la polizia, Lumet fa emergere dunque due aspetti-chiave del film: da un lato, una spiccata tendenza anti-establishment e la furiosa contestazione dell'autoritarismo simboleggiato da polizia ed FBI; dall'altro, la volubilità di una folla che si raduna curiosa attorno alla banca, pronta ad osannare il ribelle che lancia le banconote al vento, così come a deriderlo per la sua bisessualità. Nel frattempo la vicenda attira l'attenzione via via più pressante dei media, mentre le trattative fra Sonny e il sergente di polizia Eugene Moretti (uno strepitoso Charles Durning) per liberare gli ostaggi si trasformano nell'oggetto di uno show televisivo no-stop.

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Il quinto potere e lo spettacolo della cronaca

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Quel pomeriggio di un giorno da cani: Al Pacino in una scena del film

È il fil rouge che unisce Quel pomeriggio di un giorno da cani al successivo capolavoro di Sidney Lumet, Quinto potere del 1976: la penetrazione dei media nei drammi individuali; la morbosità di un pubblico in cerca di modelli, e che in un attimo passa da testimone silenzioso all'essere una tifoseria scatenata; l'inebriante fascinazione esercitata dalle telecamere, in primo luogo su Sonny, che da bandito senza arte né parte assurge all'improvviso allo statuto di idolo delle masse (qualcosa di simile accadrà al conduttore Howard Beale di Quinto potere), ma perfino sul fattorino che, dopo aver consegnato le pizze, urla "Sono una star!". La rapina alla banca è insomma uno spettacolo macabro ed eccitante, da seguire minuto per minuto in attesa della sua adrenalinica conclusione.

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Quel pomeriggio di un giorno da cani: Chris Sarandon in una scena
Chris Sarandon
Quel pomeriggio di un giorno da cani: un primo piano di Chris Sarandon

Per paradosso, invece, le scene più emozionanti si consumano al riparo dagli occhi della folla, come la telefonata fra Sonny e Leon Shermer, un ragazzo transgender che Sonny ha preso per moglie e a cui vorrebbe pagare l'operazione per il cambio di sesso (a interpretare Leon è l'esordiente Chris Sarandon, che si guadagnerà la candidatura all'Oscar come miglior attore supporter). Alla sommessa dolcezza del dialogo fra Sonny e Leon fa da contraltare, subito dopo, lo sguaiato nervosismo della telefonata di Sonny con la sua ex moglie Angie: un fiume di parole in cui, al contrario, non sembra esserci più nulla di davvero autentico.

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Il "ribelle senza causa" di un commovente Al Pacino

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Quel pomeriggio di un giorno da cani: Penelope Allen e Al Pacino

Se gli autori della New Hollywood hanno esplorato il malessere e le contraddizioni della società americana durante e dopo il Vietnam, con questo film Sidney Lumet si è affermato come uno dei principali alfieri del movimento: Quel pomeriggio di un giorno da cani raggiunge un livello di sincerità e di urgenza che ha pochi eguali, e disegna uno degli antieroi più rappresentativi del cinema degli anni Settanta. Il trentacinquenne Al Pacino, che dopo il debutto in Panico a Needle Park aveva incarnato il detective Frank Serpico e il boss Michael Corleone nella saga de Il Padrino, con il suo ritratto di Sonny Wortzik ci offre la migliore prova d'attore di una carriera straordinaria, ricompensata con il BAFTA Award e la nomination all'Oscar.

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Quel pomeriggio di un giorno da cani: Penelope Allen e Al Pacino in una scena
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Quel pomeriggio di un giorno da cani: Al Pacino nella scena della telefonata

Dopo la controllata freddezza di Michael Corleone, Sonny è pura dinamite in attesa di esplodere: un "ribelle senza causa", incapace di cogliere il senso della domanda sul perché abbia deciso di commettere una rapina, senza un vero progetto o una destinazione predefinita in cui ricominciare una nuova vita da lì in poi. Eppure, Sonny è tutt'altro che un balordo: perché Al Pacino, con il volto madido di sudore e quello sguardo nevrotico e stralunato in cui si accendono sprazzi di malinconia, gli conferisce tutta la dignità e l'umanità possibili. Con l'intensità disperata di chi non ha quasi più nulla da perdere, ma pure con la struggente tenerezza di quelle "ultime volontà" in cui ribadisce, sottovoce, l'affetto provato per i propri cari e per quella moglie "che io amo più di quanto un uomo ha mai amato un altro uomo in tutta l'eternità".

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