Queer, recensione del film di Luca Guadagnino con Daniel Craig: parlare senza parlare

Con Queer Luca Guadagnino realizza il film che voleva fare da tutta la vita: Daniel Craig è Lee, alter ego dello scrittore William S. Burroughs, ossessionato dal "parlare senza parlare" e dalla telepatia. Un film non facile, che richiede una certa cultura per essere decodificato, ma è un viaggio affascinante.

Daniel Craig in Queer di Luca Guadagnino

William S. Burroughs non amava parlare e chi parlava troppo. Lo disse a una cena, come riportato in apertura di un bellissimo pezzo di Rolling Stone del 1974, in cui lo scrittore intervista David Bowie. Alle parole dette, Burroughs preferiva le immagini potenti, come quella di Ma Barker, criminale morta negli anni '30, che parlava poco. Si limitava a stare seduta con la sua pistola a vista. È così che lui voleva essere. Il "parlare senza parlare" è al centro anche di Queer, film di Luca Guadagnino tratto dall'omonimo romanzo dell'esponente della Beat Generation, in cui Daniel Craig ha il ruolo del protagonista, Lee, alter ego di Burroughs (anche in Junkie, il suo esordio, il personaggio principale si chiama William Lee, pseudonimo con cui l'autore ha pubblicato le prime opere: Lee è il cognome di sua madre).

Queer Foto
Una scena di Queer

Siamo a Città del Messico, negli anni '40. Lee è perennemente in preda a qualche alterazione: che sia provocata da alcol, droga o desiderio sessuale. I suoi pensieri vanno veloci, scanditi da una quantità infinita di sigarette, che accende una dopo l'altra. Scappato dagli Stati Uniti a causa della sua vita dissoluta e ai limiti della legalità, in Messico Lee ha trovato un mondo notturno pronto ad accoglierlo. Il suo stato febbrile però è proprio di chi vive un incubo lucido più che un sogno. Passando da un bar all'altro, incontra Allerton (Drew Starkey): l'uomo è profondamente attratto da questo ragazzo, che però è enigmatico e gli sfugge in continuazione.

La sua ossessione per lui è pari solo a quella per la yage (l'ayahuasca), pianta che è convinto possa dargli la facoltà di comunicare con il pensiero. Diviso in capitoli, la prima parte del film di Guadagnino ci porta insieme al protagonista nella vita notturna di Città del Messico, tra incontri sessuali e combattimenti di galli. Nella seconda Lee e Allerton intraprendono un viaggio attraverso il Sud America alla ricerca di questa pianta, per poi arrivare a una conclusione visionaria. In concorso a Venezia 2024, lo diciamo subito: Queer non è un film facile. Richiede una grande cultura e forse anche più di una visione per apprezzare appieno tutte le citazioni e i collegamenti tra la vita dello scrittore e la storia.

Parlare senza parlare

Queer Luca Guadagnino Danie Craig Film
Una scena di Queer di Luca Guadagnino

Scritto da Justin Kurtzkes, già autore della sceneggiatura di Challengers (recensione qui), Queer è il film che Luca Guadagnino volveva fare da tutta la vita. Il regista ha letto il libro all'età di 17 anni, rimanendone profondamente colpito. Più che la grande abbondanza di incontri sessuali (di cui la maggior parte è stata tagliata in fase di montaggio: la durata iniziale era di 3 ore e 20, la versione vista a Venezia è di 2 ore e 15 minuti), è il rapporto del protagonista con i propri pensieri a colpire il regista. Con una bella idea, Guadagnino sdoppia infatti Lee, mostrandoci il suo corpo fisico e l'ologramma di ciò che veramente vorrebbe fare o sta pensando. La telepatia tanto inseguita dal personaggio si realizza quindi sullo schermo, tra spettatori e film.

Ci voleva, perché la storia vera di Burroughs è incredibile: figlio di una ricca famiglia americana, ha vissuto tra genio e sregolatezza, senza mai lavorare davvero, reinventandosi perfino rapinatore e criminale per ottenere i soldi necessari ad alimentare la propria dipendenza. Ossessionato dagli insetti, amava particolarmente il millepiedi, che se ingerito dà allucinazioni: qui lo vediamo al collo degli amanti di Lee e strisciare tra le sue lenzuola. Per L'autore e per il suo alter ego tutto diventa dipendenza: i ragazzi, le sigarette, l'alcol, le pistole. Già le pistole: come quella con cui lo scrittore uccise la sua seconda moglie, Joan Vollmer. Giocavano a fare Guglielmo Tell: lei si mise un bicchiere sulla testa e lui avrebbe dovuto centrarlo con un proiettile. In preda alle droghe, lui la uccise.

Questa è un'immagine fondamentale, che torna anche nel film di Luca Guadagnino: mai soddisfatto, sempre in cerca di qualcosa, Lee è tormentato dal suo essere omosessuale che, come dice a Allerton in uno dei loro primi incontri, è una natura che all'inizio non voleva accettare. "Non sono queer, sono disincarnato" dice più volte, in preda a delle visioni mostrate come esperienze extracorporee. Questo amore per le metafore non può non andare d'accordo con Luca Guadagnino, uno degli esponenti più interessanti del nostro tempo quando si tratta di parlare attraverso le immagini e i simboli. Certo seguire il suo discorso non è semplice: ci mette alla prova e il rischio è che questo lungo flusso di coscienza risulti respingente per alcuni. Ma quanta inventiva, quanta forza: sembra di essere lì con Lee, di sentire l'odore di fumo e sudore, il calore e il ritmo accelerato dei suoi battiti.

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Daniel Craig è sorprendente

In molti lo ricordano soltanto come James Bond, ma Daniel Craig è sempre stato un ottimo attore. Qui però lo vediamo in un ruolo completamente inedito e forse non è mai stato così bravo come nel film di Guadagnino. Corrotto, quasi consumato, perennemente sudato e stravolto. Non è un personaggio con cui è facile entrare in empatia Lee, ma la sua discesa autodistruttiva negli inferi è un viaggio affascinante, fatto di quell'angoscia che ognuno di noi prova quando è solo con i propri pensieri e si chiede chi è veramente e cosa desidera.

Queer Daniel Craig
Daniel Craig in Queer di Luca Guadagnino

A sottolinearla una scelta musicale che sembra stridere con l'epoca del racconto, ma che invece ha perfettamente senso: alla colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross si alternano infatti brani moderni, quali Come as You Are dei Nirvana. Kurt Cobain è stato profondamente influenzato da William S. Burroughs e negli anni '90 ha cercato lo scrittore per realizzare insieme l'album The 'Priest' They Called Him. Tutto torna. E torniamo quindi alla domanda di prima: chi è Lee? La risposta del film non è preconfezionata o rassicurante: è oscura, spaventosa. Come il riflesso di se stesso che il protagonista vede una volta trovato la yage e per cui forse, anche se l'ha tanto inseguito, non era pronto. E noi con lui.

Conclusioni

Con Queer Luca Guadagnino porta sul grande schermo l'omonimo romanzo di William S. Burroughs, che ha letto a 17 anni e di cui voleva realizzare un adattamento da sempre. A interpretare Lee, alter ego dello scrittore, è Daniel Craig, forse alla prova migliore della carriera. Siamo a Città del Messico negli anni '40 e Lee è ossessionato da tre cose: la droga, i ragazzi e la yage, una pianta che sembra in grado di dare la telepatia. Un film non facile, pieno di riferimenti e citazioni colte che bisognerebbe conoscere per decodificarlo appieno. Ma è un viaggio molto affascinante.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
4.0/5

Perché ci piace

  • La regia di Luca Guadagnino.
  • L'interpretazione di Daniel Craig.
  • La colonna sonora.

Cosa non va

  • La grande abbondanza di simboli e riferimenti possono rendere difficile decodificare il film.