Lo scorso 24 gennaio, la soddisfazione di veder comparire fra le cinque candidate al premio Oscar come miglior attrice il nome di Isabelle Huppert era auspicata, ma niente affatto scontata. Certo, la performance della Huppert in Elle, il thriller di Paul Verhoeven tratto dal romanzo di Philippe Djan, dal 23 marzo nelle sale italiane grazie a Lucky Red, è una prova di bravura impossibile da ignorare, e la leggendaria attrice francese aveva già fatto incetta di riconoscimenti in America, incluso il Golden Globe; ciò nonostante, pur con tutto l'ottimismo possibile, sulle chance di poter leggere d'ora in poi "Academy Award nominee Isabelle Huppert" restava ancora un margine di dubbio.
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Tali dubbi erano legati, oltre che alla particolarità e alla natura 'problematica' della pur meravigliosa pellicola di Verhoeven (già esclusa a sorpresa dai semifinalisti per l'Oscar al miglior film straniero), incentrata sullo stupro subito dalla protagonista Michèle Leblanc, anche a una tendenza più generale dell'Academy: la sua refrettarietà nei confronti dei sottotitoli. È estremamente difficile, infatti, per film girati in lingue diverse dall'inglese riuscire a ritagliarsi spazio in categorie diverse rispetto a quella dedicata appositamente ai film stranieri: l'anglocentrismo dell'Academy rappresenta una sorta di "legge non scritta" legata all'altissimo numero di membri votanti (circa seimila) e volta a favorire innanzitutto le produzioni americane e britanniche. Quella linguistica è pertanto una barriera che, nella storia degli Oscar, soltanto un ristrettissimo numero di film, di registi e di attori sono riusciti ad infrangere.
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La nomination all'Oscar per Isabelle Huppert, sacrosanta e meritatissima sia per la sua ipnotica prova in Elle, sia come riconoscimento per una carriera sorprendente per longevità e ricchezza (un centinaio i film nel curriculum dell'attrice sessantatreenne), è dunque un motivo di soddisfazione anche per l'apertura dimostrata dall'Academy verso il cinema di altre nazionalità. E ci offre l'occasione per ripercorrere l'albo d'oro degli interpreti, appena una trentina in totale, che hanno avuto il talento - e la fortuna - di guadagnarsi una candidatura all'Oscar recitando in lingue diverse dall'inglese. Una curiosità: con undici nomination, il francese è attualmente la lingua straniera più 'apprezzata' dall'Academy, seguita a breve distanza dall'italiano e dallo spagnolo, mentre purtroppo ancora nessun attore è mai stato candidato per un ruolo in una lingua asiatica.
Oscar, Italian style: Marcello e Sophia
Bisogna aspettare gli Academy Award del 1960, ovvero la trentatreesima edizione del premio, per trovare in lizza un'attrice che non reciti soltanto in inglese. L'apripista è Melina Mercouri, che nella commedia sentimentale Mai di domenica di Jules Dassin, ambientata in Grecia, interpreta il ruolo di una vivace prostituta; ma al di là di alcune battute in lingua greca, gran parte dei dialoghi del film sono comunque in inglese. La vera 'pioniera', dunque, è la nostra Sophia Loren, che nel 1961 ottiene il premio Oscar come miglior attrice per la parte della vedova Cesira, impegnata a sopravvivere durante la Seconda Guerra Mondiale, ne La ciociara, diretto da Vittorio De Sica dal romanzo di Alberto Moravia. La sua è la prima performance completamente in lingua non inglese ad essere candidata agli Oscar; appena tre anni dopo, agli Academy Award per l'anno 1964, la diva italiana si guadagnerà una seconda nomination per la commedia Matrimonio all'italiana di De Sica, mentre nel 1990 le verrà attribuito l'Oscar alla carriera.
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Spesso e volentieri partner della Loren sul grande schermo, Marcello Mastroianni detiene tuttora il record per il maggior numero di candidature all'Oscar per un ruolo in lingua straniera, tre in tutto e sempre come miglior attore protagonista: nel 1962 per Divorzio all'italiana, la corrosiva commedia nera di Pietro Germi sul "delitto d'onore", distribuita con successo negli Stati Uniti con il titolo Divorce, Italian Style (tre nomination e un Oscar per la sceneggiatura); nel 1977 nella parte del vicino di casa omosessuale della Loren nel commovente Una giornata particolare di Ettore Scola; e nel 1987 per la malinconica commedia Oci ciornie di Nikita Mikhalkov. Nel frattempo, agli Academy Award del 1966 per la prima volta in lizza per l'Oscar come miglior attrice protagonista ci sono ben due interpreti che recitano in lingue straniere: la diva francese Anouk Aimée per il fortunatissimo melò Un uomo, una donna di Claude Lelouch (quattro nomination e due Oscar per il film straniero e la sceneggiatura) e la veterana polacca Ida Kaminska per il dramma cecoslovacco sull'antisemitismo Il negozio al corso (vincitore dell'Oscar come miglior film straniero all'edizione precedente).
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Gli anni Settanta: grandi attrici tra Svezia e Francia e il Pasqualino di Giannini
Fra le icone del cinema d'autore soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, la magnifica attrice svedese Liv Ullmann, musa di Ingmar Bergman, ha riscosso apprezzamenti anche sul suolo americano. Nel 1972 l'Academy le ha tribuato la sua prima nomination per Karl e Kristina di Jan Troell (cinque nomination in tutto), fluviale cronaca della migrazione di una famiglia svedese negli Stati Uniti; una seconda nomination, sempre come miglior attrice, arriverà nel 1976 per il suo intenso ritratto di una psichiatra sull'orlo di una crisi di nervi in un film del suo mentore Bergman, L'immagine allo specchio. Ed è ancora Ingmar Bergman a dirigere Liv Ullmann nel 1978 in Sinfonia d'autunno, toccante descrizione di un problematico rapporto tra madre e figlia; in quell'occasione è però la sua comprimaria, la mitica Ingrid Bergman, ad ottenere la candidatura all'Oscar, la settima della sua carriera ma l'unica per aver recitato nella propria lingua madre.
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Quattro anni prima, nel 1974, la Bergman aveva vinto il suo terzo Oscar per il giallo Assassinio sull'Orient Express, ma sul palco dell'Academy aveva reso omaggio alla candidata da lei ritenuta più meritevole: l'italiana Valentina Cortese, nominata insieme alla Bergman come miglior attrice supporter per una performance in lingua francese, nei panni di un'attrice di mezza età, in uno dei capolavori di François Truffaut, Effetto notte (quattro nomination e un Oscar come miglior film straniero vinto l'anno prima). Sempre nel 1974, un Robert De Niro ancora semisconosciuto si impone per la prima volta all'attenzione dell'Academy grazie all'Oscar come miglior attore supporter: il suo ruolo è quello di un giovane Vito Corleone nelle sequenze ambientate nel passato ne Il padrino - Parte II di Francis Ford Coppola, in cui recita unicamente in dialetto siciliano.
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Nel 1975 un'altra interprete americana, la giovanissima Carol Kane, viene candidata all'Oscar per una performance in lingua yiddish, nella parte di un'immigrata ebrea che arriva nella New York di fine Ottocento in Hester Street. Nello stesso anno, accanto alla Kane nella rosa come miglior attrice figura la diciannovenne parigina Isabelle Adjani per la sua magnetica performance di Adèle Hugo, ragazza dilaniata da un amore non corrisposto, in Adèle H., una storia d'amore, splendido melodramma di François Truffaut. Un anno più tardi, all'edizione degli Academy Award del 1976, si registra il record di candidature per interpreti in lingua straniera, ben tre: oltre alla già citata Liv Ullmann de L'immagine allo specchio ci sono infatti la francese Marie-Christine Barrault, anche lei in corsa come miglior attrice per la commedia romantica Cugino, cugina (tre nomination in tutto), e l'italiano Giancarlo Giannini per la commedia grottesca Pasqualino Settebellezze di Lina Wertmüller, su un disertore della Seconda Guerra Mondiale. Pasqualino Settebellezze riceve ben quattro nomination agli Oscar e la Wertmuller diventa la prima donna candidata come miglior regista.
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Le icone dall'Europa: von Sydow, Adjani, Depardieu e Deneuve
Dopo un lungo periodo non molto fortunato per gli attori non anglofoni, a partire dalla fine degli anni Ottanta l'Academy torna a guardare anche all'estero, approfittandone per ricompensare alcuni fra i nomi di maggior peso del cinema internazionale. Dopo la terza candidatura a Marcello Mastroianni nel 1987, nel 1988 è il turno dello svedese Max von Sydow, altro volto simbolo del cinema di Ingmar Bergman e nominato all'Oscar come miglior attore per il ruolo di un migrante svedese diretto in Danimarca insieme al figlioletto adolescente in Pelle alla conquista del mondo di Bille August, ricompensato con l'Oscar come miglior film straniero; von Sydow otterrà una seconda nomination nel 2012, stavolta per un personaggio muto, in Molto forte, incredibilmente vicino. Nel 1989 invece Isabelle Adjani, all'epoca primadonna del cinema d'autore europeo, mette a segno una seconda nomination come miglior attrice grazie a Camille Claudel di Bruno Nuytten, biografia della tormentata artista compagna di Auguste Rodin.
L'onda della rinnovata popolarità per il cinema francese negli Stati Uniti viene cavalcata con successo da altre due icone europee della settima arte. Nel 1990 Gérard Depardieu concorre all'Oscar come miglior attore per il ruolo del titolo in Cyrano de Bergerac di Jean-Paul Rappeneau (cinque nomination e un Oscar per i costumi), nei panni del romantico spadaccino dal lunghissimo naso. Nello stesso anno, fra i migliori attori supporter spunta il nome del canadese Graham Greene, che in Balla coi lupi, dove interpreta un pellerossa, si esprime nella lingua Lakota. Poco dopo, nel 1992, è Catherine Deneuve ad aggiudicarsi la nomination all'Oscar come miglior attrice per la parte di una latifondista francese coinvolta in una travagliata storia d'amore nel melodramma storico Indocina di Régis Wargnier, premio Oscar come miglior film straniero.
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La riscossa dell'Italia e l'invasione ispanica agli Oscar
Due fra gli attori italiani più popolari degli ultimi quarant'anni, esplosi entrambi grazie alle loro doti comiche, sono i protagonisti di due edizioni degli Oscar della seconda metà degli anni Novanta. Agli Academy Award del 1995, un anno e mezzo dopo la sua improvvisa scomparsa per un infarto, il compianto Massimo Troisi viene insignito della nomination come miglior attore, insieme a una candidatura come sceneggiatore, per Il postino di Michael Radford (cinque nomination e un Oscar per le musiche), storia dell'amicizia fra un postino italiano e il poeta in esilio Pablo Neruda. Il 1998 è invece l'anno di Roberto Benigni e del campione d'incassi La vita è bella, commedia ambientata all'interno di un campo di concentramento, che suscita l'entusiasmo dell'Academy con sette nomination e tre premi Oscar: miglior film straniero, miglior colonna sonora e miglior attore per Benigni, l'unico interpete maschile ad aver vinto un Oscar come attore protagonista recitando in una lingua diversa dall'inglese.
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Sempre nel 1998, la veterana Fernanda Montenegro diventa l'unica attrice brasiliana mai candidata all'Oscar grazie all'apprezzato Central do Brasil di Walter Salles, storia dell'amicizia fra una pensionata settantenne e un bambino di nove anni. E il passaggio del millennio segnerà una nuova, accentuata tendenza fra i membri dell'Academy: la crescente attenzione per il cinema ispanico e sudamericano. Nel 2000, il portoricano Benicio del Toro vince l'Oscar come miglior attore supporter interpretando un agente della polizia messicana nel dramma Traffic di Steven Soderbergh; primo attore premiato con l'Oscar recitando in lingua spagnola, del Toro collezionerà un'altra nomination nel 2003 per 21 grammi - Il peso dell'anima di Alejandro González Iñárritu, ma questa volta per una parte in inglese. E ancora nel 2000, Javier Bardem viene candidato all'Oscar come miglior attore per il suo ritratto del poeta cubano Reinaldo Arenas in Prima che sia notte di Julian Schnabel; per Bardem arriverà un'altra nomination nel 2010 per un'altra performance in lingua spagnola, quella di un padre di famiglia in Biutiful di Iñárritu, mentre nel 2007 vince l'Oscar come miglior attore supporter recitando in inglese nel thriller Non è un paese per vecchi dei fratelli Coen.
Oltre ai vari successi di Bardem e del Toro, in questi stessi anni altri intepreti vengono ricompensati dall'Academy per le loro performance in spagnolo. Nel 2004 tocca alla colombiana Catalina Sandino Moreno, giovanissima corriera del narcotraffico in Maria Full of Grace di Joshua Marston. Nel 2006 è la volta della messicana Adriana Barraza, domestica presso una famiglia californiana in Babel di Alejandro González Iñárritu, per il quale è candidata come miglior attrice supporter, ma anche della star spagnola Penélope Cruz, madre protettiva e moglie assassina nello stupendo Volver di Pedro Almodóvar, di cui è l'incantevole protagonista. Quello fra la Cruz e i membri dell'Academy è autentico amore: nel 2008 vince l'Oscar come miglior attrice supporter recitando in spagnolo nella parte della moglie sensuale e squilibrata del pittore Javier Bardem in Vicky Cristina Barcelona di Woody Allen, mentre nel 2009 si aggiudica una terza nomination, ma in lingua inglese, per il musical Nine. Infine, nel 2011 è il messicano Demián Bichir a conquistare una nomination come miglior attore recitando in spagnolo, ma per un film americano, il dramma indipendente A Better Life.
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Tris di donne dalla Francia: Cotillard, Riva e Huppert
L'edizione degli Academy Award del 2007 ha segnato un nuovo primato: quello per Marion Cotillard, astro nascente del cinema europeo, diventata la prima interprete in assoluto a vincere un Oscar per un ruolo in lingua francese (altre attrici di nazionalità francese erano state premiate con l'Oscar, ma recitando in inglese). Il veicolo che porta la Cotillard sul palco dell'Academy è la sua mimetica trasformazione nella cantante Edith Piaf nel film biografico La vie en rose di Olivier Dahan, a cui seguità nel 2014 una seconda nomination: quella per la parte di un'operaia che si sforza di mantenere il proprio posto di lavoro nel dramma a sfondo sociale Due giorni, una notte dei fratelli Dardenne. Nel frattempo, subito dopo l'Oscar alla Cruz per Vicky Cristina Barcelona, nel 2009 l'Academy incorona un'altra interpretazione poliglotta: quella dell'attore austriaco Christoph Waltz, che in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino, nelle vesti di un sadico ufficiale nazista, alterna l'inglese, il tedesco, il francese e perfino qualche battuta in italiano.
Nel 2012 è la veterana francese Emmanuelle Riva, scomparsa poche settimane fa, a scrivere un record nella storia degli Oscar: a quasi ottantasei anni d'età, la Riva si impone come l'interprete più anziana ad essere mai stata candidata all'Oscar come miglior attrice protagonista. La sua sorprendente ma apprezzatissima nomination è il frutto della straziante immersione nel ruolo di una donna che lotta contro una malattia in Amour, capolavoro di Michael Haneke (cinque nomination e un Oscar come miglior film straniero). Un anno più tardi l'esordiente Barkhad Abdi, nato in Somalia, viene candidato all'Oscar come miglior attore supporter nella parte di un pirata nel dramma Captain Phillips - Attacco in mare aperto di Paul Greengrass: è la prima e unica nomination mai conseguita per una performance in una lingua africana. E infine, dopo la candidatura per la Cotillard nel 2014, quest'anno è un'altra icona del cinema francese, Isabelle Huppert, ad aver ricevuto la tanto attesa consacrazione dell'Academy per una delle migliori prove della sua carriera.