Quando la vita è una roulette
Ci sono alcuni film dei quali sappiamo tutto, che stazionano al cinema per mesi e di cui si possono trovare due edizioni speciali del dvd a un mese dall'uscita.
Ci sono poi altri film che passano silenziosamente in qualche sezione minore di un festival, per i quali manca una distribuzione e di un gusto nel farli vedere al pubblico, come se si fosse tornati ai tempi della quasi non riproducibilità del film, del quale dovevi, se ti andava bene, andare a recuperare le pizze e proiettartelo.
E, oggigiorno, in questo sottobosco di film indipendenti che annaspano nel semi-anonimato, si possono trovare spesso piccole grandi perle di una bellezza abbagliante.
Tra queste, sicuramente 13 - Tzametzi, l'opera prima di un regista appena ventiseienne, Gela Babluani, che costruisce un polar, un noir alla francese, con il piglio duro e impietoso della migliore scuola russa. Balubani si divide infatti tra la Georgia, suo paese d'origine e d'infanzia, e la Francia, terra di studi e formazione cinematografica.
Sorprende (ovviamente in positivo) osservare come Babluani riesce a costruire un film solido e teso attraverso un'impalcatura di sceneggiatura e una struttura narrativa semplicissime, con un antefatto, un intreccio e una risoluzione come nella più classica delle tragedie.
Nonostante i primi minuti possano far pensare ad un uso del bianco e nero e della gestione della macchina da presa come eccessivamente rivolti ad un virtuosismo che privi di sostanza l'inquadratura, il dubbio viene presto fugato dalla proposizione di una tale semplicità di narrazione che pure l'inquadratura e il movimento di macchina più arditi si rivelano solidi e funzionali alla costruzione di senso dell'impianto generale.
Fondamentale a questo proposito un montaggio che costruisce in modo perfettamente equilibrato lo svolgersi della pellicola, contribuendo in buona misura al ritmo incalzante del film.
Altro punto di vera forza è il sapiente dosaggio tra un minimalismo recitativo raro al giorno d'oggi, e la gestione dei primi e dei primissimi piani, che si incastonano alla perfezione nella costruzione delle sequenze, non andando a sostituire eventuali vuoti della narrazione, la quale si alimenta delle immagini al pari delle parti dialogate.
E così si sfruttano tutte le pieghe del volto degli attori, i risvolti dei corpi e la loro disposizione nello spazio filmico. Primo fra tutti lo stesso Babluani, splendido protagonista, ma anche Aurélien Recoing, che riconferma il talento visto qualche anno fa in L'Emploi du temps.
Un'abbagliante incontro tra le atmosfere e i sapori del noir francese (quella d'oltralpe è anche la lingua originale del film) e la solidità e la durezza della tradizione "classica" russa, fusi in uno splendido bicromatismo.
Uno dei migliori film della stagione, assolutamente da vedere prima che un distribuzione spesso inaffidabile (ma confidiamo nella Teodora) ce ne privi nuovamente.