Quando la violenza diventa arte
Michael Gordon Peterson nasce nel 1952 nei quartieri operai di una cittadina del Galles orientale ma il suo destino è ben lontano dalla quieta routine dei sobborghi popolari in cui trascorrerà la sua adolescenza. All'età di quattro anni si trasferisce con la famiglia a Luton, cittadina a nord di Londra, che considererà sempre la sua unica casa. Dopo i primi guai adolescenziali e le ripetute percosse di insegnanti e compagni di scuola, Michael trova lavoro in un circo cittadino come forzuto e conosce Irene, con la quale si sposa e concepisce un bambino. Il bisogno di denaro per mantenere la sua famiglia lo spinge ad entrare nel giro dei boxeur di Londra e a diventare famoso per il suo modo di combattere gli avversari a mani nude. La sua bramosia di successo e denaro lo spinge poi nel 1974, a soli 22 anni, ad un gesto disperato: costruitosi un fucile a canne mozze, Michael si presenta in un ufficio postale dove mette a segno una rapina del valore di poco più di 26 sterline. In cambio riceve una condanna a sette anni di carcere durante i quali manifesta la sua indole ribelle e violenta aggredendo e minacciando senza troppi complimenti guardie e compagni di cella. Inizia così la sua lunga, lunghissima trafila che lo vedrà entrare ed uscire dal carcere con numerosi prolungamenti di pena per cattiva condotta e per gravi reati commessi all'interno e all'esterno del carcere. Nel 1979 il divorzio dalla moglie e poi durissimi anni di reclusione fino alla decisione, avvenuta nel 1987, di cambiare nome e diventare per tutti Charles Bronson, nome d'arte con cui il suo ex-impresario lo chiamava ai tempi della boxe (con ovvi riferimenti all'attore americano noto per il suo sguardo gelido e imperturbabile).
L'anno successivo viene rimesso in libertà ma dopo soli 69 giorni si fa condannare nuovamente per il furto di un anello con cui intendeva conquistare l'amore di una donna della quale aveva del tutto frainteso le intenzioni, una donna che in realtà era già promessa sposa ad un altro uomo. Dopo altri quattro anni di prigione viene scarcerato ma dopo appena 53 giorni finisce di nuovo dentro con l'accusa di cospirazione a scopo di rapina. Nel 1999, all'interno del carcere di Woodhill dove era recluso, viene addirittura costituita un'unità speciale per limitare i danni fisici e materiali da lui causati. E' proprio in questo periodo che l'uomo inizia a dar sfogo liberamente al suo istinto artistico: scrive libri autobiografici, poesie e manuali sul training, e realizza opere d'arte che hanno trovato spazi espositivi e un loro mercato. Riceve una condanna all'ergastolo, si sposa nuovamente con una donna bengalese conosciuta in carcere, si converte all'Islam e poi divorzia per la seconda volta, picchia a sangue decine e decine di guardie carcerarie senza mostrare alcun cenno di pentimento. Ad oggi Charlie Bronson è considerato alla stregua di un artista concettuale, nonostante sia tuttora internato nel carcere di Wakefield (la più grande prigione di massima sicurezza del Regno Unito), luogo in cui trascorrerà il resto dei suoi giorni. Delirante, narcisistico, megalomane, violentemente poetico. Parliamo del film, del suo autore, e, in maniera non casuale, anche del personaggio di cui si narra all'interno di quella che potremmo definire una bizzarra e metaforica pseudo-biografia. Bronson è infatti un'opera che esalta con lucidità, freddezza e ironia la vicenda umana del criminale britannico più famoso del mondo conosciuto con il nome d'arte di Charles Bronson.
Dietro la macchina da presa Nicolas Winding Refn, fino a qualche settimana fa sottovalutato regista danese che ha dato una svolta alla sua carriera dopo il trionfo all'ultimo Festival di Cannes con il suo Drive (vincitore del premio per la Migliore Regia), una vittoria importante che ha spalancato la strada all'uscita in sala di diversi suoi film, rimasti inspiegabilmente chiusi nei fondi di magazzino dei (pochi) distributori che avevano avuto l'occhio lungo, italiani e non. Oltre a Bronson infatti, film del 2008 che solo adesso grazie a Onemovie trova una distribuzione in sala dopo essere passato con successo in diversi festival, sta per uscire direttamente in DVD e Blu-ray anche il silenzioso viaggio ai confini del mondo di Valhalla Rising, presentato a Toronto e a Venezia nel 2009 e poi finito immeritatamente nel dimenticatoio.
Davanti alla macchina da presa, nei difficili panni di Charlie Bronson c'è invece Tom Hardy, statuario e versatile attore teatrale che debutta nel 2001 nella miniserie televisiva Band of Brothers e ottiene la consacrazione sul grande schermo grazie alla partecipazione in Black Hawk Down, Bronson ovviamente, e successivamente grazie al pluripremiato Inception di Christopher Nolan in cui interpreta un falsario in grado di assumere diverse identità all'interno dei sogni (chi meglio di lui!).
Dalla trilogia di Pusher a Drive passando per Bronson, Refn completa dunque la sua personalissima interpretazione dell'arte come forma di violenza e della violenza come una delle tante manifestazioni dell'arte, trascinando lo spettatore in un vortice di allegoria, in un pazzesco crescendo di paura e imperscrutabilità che ha pochi eguali nel cinema contemporaneo. Non un semplice biopic, ma piuttosto un film che racconta la capacità di trasformazione dell'essere umano, che nel caso di Bronson diventa una vera e propria peculiarità, un'auto-sponsorizzazione a diventare l'icona mondiale dell'anti-autoritarismo. Costato meno di un milione di dollari e girato in cinque settimane, Bronson è diviso in tre atti: il primo esalta la predisposizione del suo eroe sper il one-man-show e per il teatro, il secondo narra dei periodi di libertà durante i quali a fatica egli ha cercato di rapportarsi con il mondo esterno e con i sentimenti, mentre il terzo mette in luce il modo in cui il mondo vede lo guarda dal di fuori. Un film che rappresenta il risultato dell'incontro-scontro tra due personalità agli antipodi, quelle di Refn e Hardy: un astemio e un ex alcolizzato, un regista visionario e stilisticamente anarchico contrapposto ad un attore eclettico alla ricerca del ruolo che fungesse da trampolino per la sua carriera. Dopo un inizio 'difficile' tra i due, Hardy ha iniziato a guadagnarsi la stima del regista ed ha poi ottenuto la parte che era inizialmente destinata ad uno tra Jason Statham e Guy Pearce. La sua interpretazione è memorabile, la sua presenza scenica impressionante, la sua sfida con se stesso e con un personaggio tra i più difficili da incarnare è stata superata a pieni voti.Voleva solo diventare famoso Michael Peterson, e a giudicare da questo film e dalla fama che si è guadagnato in giro per il mondo ci è riuscito, anche se a un prezzo davvero troppo alto.
Movieplayer.it
4.0/5