E' una storia molto (e tristemente) italiana quella che racconta Pupi Avati ne Il figlio più piccolo: protagonista è infatti Luciano, vero e proprio "furbetto del quartierino" che, sull'orlo del fallimento della propria società immobiliare, decide di intestare tutto al proprio figlio minore, Baldo, cresciuto nell'ammirazione per lo scapestrato genitore dalla madre tenacemente innamorata, anche dopo sedici anni di silenzio. Ad incarnare la figura dell'imprenditore senza scrupoli, cattivo quasi incolpevole perché vede nella disonestà la norma, è Christian De Sica, che, finalmente lontano dall'umorismo sboccato e volgarotto dei film di Natale, dà prova delle proprie autentiche capacità attoriali, spalleggiato dall'esordiente Nicola Nocella nei panni dell'ingenuo e sognatore Baldo. E se il figlio non è in grado di rendersi conto della malafede paterna, anche perché a tessere le trame ingegnose del funambolismo finanziario è un consigliere smaliziato ed esperto (sebbene ipocondriaco nel privato) come Luca Zingaretti, la madre è se possibile ancora più lontana dall'aprire gli occhi: Laura Morante è infatti una Fiamma svampita ed ingenua, ancora rinchiusa nelle fantasie idealistiche degli anni Settanta e nella convinzione che l'ex marito sia "il migliore dei migliori". Abbiamo parlato del film e della sua genesi con il cast al completo, a cui si aggiunge Antonio Avati, fratello del regista, in qualità di produttore.
In questo film porti avanti la tua ricerca nell'ambito dei rapporti familiari. Su cosa ti sei concentrato?
Pupi Avati: Questo è il mio terzo film sulla figura paterna, dopo La cena per farli conoscere, dove Diego Abatantuono era un papà inadempiente, che si ricorda delle proprie figlie solo quando la propria carriera di attore è ormai in declino, e Il papà di Giovanna, in cui Silvio Orlando interpretava invece una figura iperprotettiva, che ha condizionato la figlia con la propria idea di felicità portandola alla tragedia dell'omicidio. Qui c'è il padre più infame di tutti, il più coincidente con quello che volevo dire; non che io volessi fare un cinema di denuncia, che infatti non ho mai fatto, anche perché prima di tutto avrei dovuto guardarmi allo specchio. Però il presente è diventato indecente, persino per una persona moderata come me. Non solo in ambito politico, ma in tutti gli aspetti della società la volgarità, l'idea che sei quello che hai, la scorrettezza praticata con la più totale indifferenza pervadono ogni cosa. Senza nessun fine, tranne quello personale, cerco di ricandidare l'innocenza, quella più disarmante, che sta agli antipodi di quanto è ormai normale. Grazie allo scontro tra questi due contesti, quello del faccendiere Luciano e quello della madre Fiamma e del suo figlio più piccolo, Baldo, mi rendo conto che la loro ingenuità è l'unico valore a cui ricorrere per buttare all'aria le gerarchie che ormai si sono consolidate. Vorrei che si affrontasse il mondo con uno sguardo che mi ricorda quello dell'attore, e mio grande amico, Nik Novecento: voglio frequentare d'ora in poi solo persone così, e cancellare tutto il resto. D'ora in poi penso mi occuperò sempre più del presente, contrariamente a quanto ho fatto finora. Però il presente di oggi deve essere sorvegliato, perché è davvero preoccupante.Christian, che consigli ti ha dato Pupi sul set? Pensi che a tuo padre sarebbe piaciuto questo film? Christian De Sica: A me i registi hanno sempre detto "voce!", mentre lui mi diceva continuamente di parlare piano... Il brutto è che lo diceva anche agli altri, e per me che sono mezzo sordo questo era un bel problema! A parte questo, con Pupi ci siamo conosciuti trent'anni fa, quando ho recitato in Bordella, e da allora siamo sempre rimasti un po' amici. Mi ricorda il cinema di mio padre, tanto è vero che gli ho affidato mio figlio Brando come assistente. Pupi ha un'ipersensibilità quasi femminile, mentre io sono astuto, e lui è ingenuo e timido come era mio padre. Sono entrambe persone che non si rendono conto di quello che fanno. Poi è nato un grande amore con Zingaretti, con il quale presto convoleremo a giuste nozze, e con Laura ero molto in soggezione, ma ho scoperto che è più matta di me. Speriamo di avere altre occasioni per fare questo tipo di film, ormai ho cinquantanove anni e me lo merito.
Laura e Luca, questi sono per voi due personaggi insoliti. Hanno un grande senso dell'umorismo, ma sono anche profondamente drammatici.
Laura Morante: Io dico sempre che per interpretare un personaggio drammatico ci voglia anche una certa vis comica, e viceversa. Anche in letteratura d'altro canto è così, basti pensare a Shakespeare o a von Kleist. Penso che un personaggio ridicolo, in senso affettuoso, come quello di Fiamma lo si debba fare con molta serietà. Mi piace che Pupi, contrariamente a quello che ha appena detto, sia crudele: sono felice che non abbia quelle ingenuità che dice di avere. Per curare, per fare del bene, bisogna vedere le cose con spietatezza, e questo film è tanto toccante proprio perché è crudele
Luca Zingaretti: Non posso che condividere pienamente quanto detto da Laura. Quando c'è un meccanismo di questo tipo, poi, il tocco del regista è fondamentale, a maggior ragione se è anche sceneggiatore. In una situazione che deve risultare ridicola, tu prima di tutto ci devi credere, sarà poi il regista a rendere tutto comico. Secondo me la cosa singolare del mio personaggio non è la sua immoralità, ma la sua amoralità: è disinvolto nell'agire, potrebbe accoltellare qualcuno come potrebbe chiedergli una sigaretta, per lui non c'è differenza. Pupi non disegna dei cattivi, ma dei disperati, che fanno tanto più male perché sono puri d'animo, non si rendono conto delle conseguenze.
Dicevi della tua indignazione per il presente. Ti sei ispirato a vicende reali? Pupi Avati: Sicuramente si, c'è una fonte esplicita per la vicenda di Christian e Luca. In più c'è la parte bolognese, quelle che io chiamo "le macerie", ed è questa che mi ha ispirato di più. Ragazzi come Nicola Nocella, che sognano e hanno delle speranze, esistono veramente, non sono disegnati in 3d, io ne ho tre che lavorano con me. Se il film è riuscito lo dobbiamo a Nicola, che ha dato una sensibilità non facile da reperire. Quando l'ho incontrato, ho telefonato al suo insegnante al Centro Sperimentale, cioè Giancarlo Giannini, e lui mi ha detto di prenderlo assolutamente. Questo mi ha fatto capire che il Centro Sperimentale va rivalutato, perché è in grado di formare attori capaci di entrare in un contesto difficile, fatto come in questo caso di attori navigati.
Come fai a passare da un genere all'altro con tanta facilità, facendo per di più un film all'anno? Pupi Avati: Io credo sia sufficiente tenere in esercizio la creatività, cosa nella quale questo paese ha avuto negli ultimi anni una caduta spaventosa. E' già utile partecipare un po' meno alla vita sociale, starsene a casa e scrivere una storia. Tanti registi italiani hanno la possibilità, come me, di fare un film all'anno, ma nessuno lo fa, perché? Bisognerebbe chiederlo a loro. Ci si lamenta tanto e ci si piange sempre addosso, si imputano agli altri le responsabilità dei propri insuccessi: la società fa schifo, vanno avanti soltanto i raccomandati... Io non sono raccomandato, ad esempio. Ma certamente bisogna avere una storia. In Italia abbiamo attori straordinari, ma mancano le storie, la voglia di andare anche altrove per essere stimolati.
C'è un filo attoriale che ha indicato a Nocella come muoversi, magari partendo da Carlo Delle Piane, già protagonista di tante tue pellicole?
Pupi Avati: Ma no, non c'è nessuna tecnica, con ogni essere umano abbiamo un rapporto differente. Nicola si è fatto accompagnare il primo giorno sul set da suo padre, e pensare a quest'uomo fuori dai cancelli di Cinecittà tutto il giorno mi ha commosso moltissimo. Io chiedo sempre ai miei attori cosa facciano i loro genitori, così so orientarmi. Quando mi ha detto che suo padre lo aspettava - anche se all'inizio non voleva farlo - ho capito che aveva i genitori giusti, che era giusto lui. Io racconto sempre l'inadeguatezza, non solo con Delle Piane, perché è il sentimento che conosco meglio, verso il quale ho anche un po' di civetteria: mi piace anche un po' sentirmi insicuro, mi fa sentire a mio agio.Nicola Nocella: Prepararmi a questo film è stato difficile, ho messo il più possibile di me in questo personaggio, ma mi sono soprattutto affidato a Pupi. La cosa che mi sono portato di più dalla scuola è la volontà di mettermi in relazione con gli altri interpreti. Non si può non pensare a Delle Piane: ha interpretato dei personaggi talmente belli che è giusto anche studiare, ma non so quanto ci sia di lui nel mio personaggio. Mi sono rifatto più che altro ai modelli che ho avuto davanti, ho guardato a questi mostri sacri. Recitare con loro è stato molto semplice, però ero terrorizzato dal fatto che da un momento all'altro arrivasse il mio maestro e mi dicesse: fai schifo! La prima scena che ho girato è quella in cui dico che il "regalo" di mio padre mi aveva cambiato la vita: non è stato difficile farla, perché era proprio quello che pensavo della situazione in cui ero.
Come mai hai voluto abbinare un tema non facile, quello dell'ingenuità, con quello più abbordabile e noto della cialtronaggine? Pupi Avati: Forse questo è un processo che ho fatto inconsapevolmente, io cercavo solo le emozioni, non c'è alcun calcolo, solo la ricerca di qualcosa. Ripensandoci, il personaggio che forse ricorda di più il Delle Piane di Regalo di Natale è quello di Luca: ha tutta la sua follia, ma anche la sua grandissima umanità.
A proposito del tuo personaggio, Luca, che significato hanno i sandali da frate che porta sempre? E' un suggerimento a pensare che il tendere a qualcosa di altro, non necessariamente Dio, sia la risposta? Luca Zingaretti: Chiunque venisse sul set dopo un po' mi chiedeva se per caso mi fossi fatto male, vedendomi sempre in sandali... Questo è un elemento che mi ha colpito fin dall'inizio, ma Pupi mi ha detto di fidarmi, che ci dovevano essere. Non so spiegare perché, ma quei sandali erano non solo un corollario, ma anche parte del nucleo più profondo del suo essere.
Pupi Avati: Dovevo dotare il personaggio di Luca, che alla fine è l'anima di tutto quanto, di peculiarità misteriose: è ipocondriaco, sessualmente indefinito, ha questi sandali sempre addosso. Ha un'aura di mistero che lo sottrae ad un aspetto troppo realistico.
Antonio, come hai conciliato l'aspetto produttivo con le tue intuizioni creative? Antonio Avati: Intanto, noi riusciamo a fare un film all'anno perché abbiamo acquisito una certa credibilità con le banche, ne abbiamo ben sedici, con cui facciamo i nostri trucchetti, proprio come quelli del film. Ora sono attivo creativamente quasi solo sul versante finanziario, purtroppo. Ma devo dire che nella scelta degli attori sono stato importante, in particolare per quella di Luca. Da giovane ho tentato, con scarsissimi risultati, di fare l'attore, e credo che questa per me sia una sorta di rivalsa.
Christian, come vedi il tuo futuro al cinema, anche considerati i quattro milioni di euro in meno incassati dall'ultimo cinepanettone? Christian De Sica: Questo spetterà ad Aurelio [De Laurentiis, n.d.r.] deciderlo. Devo dire che io sono stato d'accordo con la critica nel dire che qualcosa di diverso quest'anno andava fatto. Sono stati incassati pur sempre 23 milioni, ma qualcosa dovrà cambiare, anche se io sono sempre contento di fare questi film, perché sono loro ad avermi permesso di fare anche altro. Forse dovranno cambiare proprio me, che in effetti comincio ad avere un'età, e ringrazio Avati per avermi dato questa opportunità quando nessun altro credeva in me. All'inizio devo dire che con lui ho fatto fatica: io ho lavorato con tutti i registi, da Rossellini ai Vanzina, e ho sempre imbrogliato tutti, ma lui no, non lo puoi fregare.