Famiglia, rivalità, sensualità, vendetta, morte e mistero: è dai tempi di Otello, o di Romeo e Giulietta, che questi elementi si sono elevati a ingredienti perfetti di ricette narrative succulenti, capaci di soddisfare il palato del proprio pubblico, alimentandone la curiosità e fantasia. Non è un caso, dunque, se le lotte intestine tra le pareti di casa, l'attrazione fatale di corpi che si cercano e si uniscono, superano indenni l'ostacolo del tempo, continuando a infondere linfa vitale a strutture narrative alquanto semplici ed elementari, chiamate però ad attirare l'attenzione di papabili spettatori, immergendoli in una spirale di azione, thriller, ed erotismo.
Ciononostante, come sottolineeremo in questa recensione di Profilo falso, anche l'impiego di ingredienti di eccellente qualità, se amalgamati con poca cura, e mescolati con noncuranza, offrono in dono quello che Bruno Barbieri denominerebbe un "mappazzone". E così, la serie colombiana creata da Pablo Illanes e disponibile su Netflix, tenta di sviluppare un racconto dove il thriller incontra l'eros, ottenendo come risultato finale un'operazione seriale dove il più piccolo plot-twist si fa figlio di eventi confusionari, uniti insieme da una regia inesistente, una sceneggiatura inverosimile, e da un montaggio disattento e lacunoso.
Profilo falso: la trama
Camila (Carolina Miranda, già vista sempre su Netflix con Che fine ha fatto Sara?) è una splendida ballerina di origini messicane che lavora a Las Vegas. Reduce da una storia tossica e violenta, la donna si iscrive su un'app di incontri quello che sembra essere l'uomo perfetto, l'affascinante chirurgo estetico Fernando Castell. Quando però decide di fargli una sorpresa raggiungendolo a casa sua in Colombia troverà ad aspettarla una terribile verità. Fernando è in realtà Miguel, padre di famiglia, sposato con Angela. Con la complicità del taxista David, Camila decide di rimanere in Colombia per scoprire la vera identità di Miguel e con essa, i misteri che avvolgono la sua famiglia e quella del suocero Pedro Ferrer, magnate colombiano dai misteriosi obiettivi.
Tra soap-opera e serialità passata
Orfani da nemmeno una settimana dei tradimenti e delle manipolazioni familiari tipiche di una serie come Succession, gli spettatori cercano tra gli inframezzi di altre opere, barlumi spettrali che li riportano all'eccellenza della serie creata da Jesse Armstrong. Dopotutto, il thriller domestico è un canto di sirena che ammalia il pubblico, lo fa suo, esacerbando ogni fragilità sfruttata, ogni mistero indagato. Ciononostante, Profilo falso più che alla stregua di tali opere, si immette con nonchalance nel filone delle soap-opera intrise di sensualità ed erotismo: aspirava a essere Attrazione fatale, Profilo falso, per poi ridursi a una trasposizione di una lettura Harmony, con una sfumatura di Beautiful, e un richiamo a 365 giorni, o 50 sfumature di grigio.
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Abboccare all'amo, distruggere il racconto
Azionata da un fenomeno sempre più dilagante come quello dei Catfish, o dei profili falsi sui social, la serie diretta da Catalina Hernández e Klych López, poteva risultare non solo interessante, ma anche fucina costante di spunti narrativi coinvolgenti e dinamici. Eppure, la strada qui intrapresa è quella di una complicazione narrativa lasciata vagare in superficie, mentre il cuore della storia si inaridisce sempre più, riducendosi a un cumulo di cenere. Le sottotrame si duplicano e si intrecciano come strati di croissant francesi, esacerbando quel senso di apparente disorientamento che più che coinvolgere uno spettatore curioso della risoluzione finale dei misteri, lo lascia in balia di un'insofferenza dilagante per uomini e donne dalle esistenze tanto irreali, quanto effimere, e prive di climax, o interesse.
L'errore di ostentare
C'è il vuoto assoluto, colmato da corpi che si uniscono e bocche che ansimano, Profilo falso. Una sceneggiatura piatta, innervata da buchi di trama prontamente riempiti da scene piccanti fuori luogo e inutili all'economia del racconto. A niente serve una regia altrettanto insipida e inesistente, che tenta di evidenziare un briciolo di primitiva angoscia attraverso fish-eye e grandangoli che vorrebbero richiamare l'operato di Malick e Lubezki, ma finiscono per inasprire il grottesco che aleggia in ogni cambio di inquadratura. Superficiale e disattento anche il montaggio, dove tra scavalcamenti di campo improvvisi e salti temporali privi di significato, a dominare è un senso di ordinaria confusione che tenta di mascherarsi e nascondersi dietro incontri fisici e scontri a fuoco completamente inopportuni.
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Richiami passati per incubi seriali
Resurrezioni impossibili e fuori da ogni logica umana; performance attoriali ridotte a macchiette e caricate in ogni singolo sguardo; fotografie cangianti, che tentano di evidenziare la portata dinamica e d'azione rifacendosi a quelle di Breaking Bad, ma che finiscono per risultare fuori contesto e poco armoniose rispetto alla storia narrata; battute intrise di luoghi comuni e frasi riciclate da altri contesti seriali e cinematografici; insomma, Profilo falso è un patchwork confuso e maldestro di universi già visti e conosciuti. È una torta sbilenca, cucinata con le rimanenze trovate in casa, ma che poco si sposano tra loro. E così, morso dopo morso, quello che viene lasciato nello spettatore è un gusto acre, amaro, un sapore che si vuole immediatamente dimenticare sostituendolo con un altro più sorprendente, più dolce o, perlomeno, più riuscito.
Conclusioni
C'è poco da aggiungere alla nostra recensione di Profilo falso. La serie disponibile su Netflix si proporrà come passatempo per una certa fetta di spettatori decisi a staccare la spina per qualche ora, ma quella messa in campo è una produzione seriale confusionaria, senza dinamismo e quella suspense che ci si aspetterebbe da una serie thriller. Quel che certo è che le scene piccanti non mancano, anzi, esuberano lasciando cadere l'intera opera nella ridondanza più becera e vuota.
Perché ci piace
- Che finisce.
Cosa non va
- La durata, sebbene limitata alla mezz'ora per episodio, pare infinita.
- Una regia inesistente.
- Le continue scene di passione che spezzano la tensione.
- Un montaggio sconclusionato.
- Le performance caricate.