Prima che sia giorno
Niels e Maria insieme al loro unico figlio adolescente Markus si sono da poco trasferiti dalla Germania nella cittadina norvegese di Hammerfest, uno dei centri abitati più a nord del continente, situato a ottocento kilometri a nord del Circolo Polare Artico. Tra il 22 novembre e il 21 gennaio su Hammerfest cala la notte polare, periodo dell'anno in cui il sole non sorge mai e il buio si impossessa della città e delle vite dei suoi abitanti. Maria, infermiera nell'ospedale della città, ha deciso di non rimanere in Germania come aveva fatto in passato ma di seguire il marito, ingegnere in un impianto di liquefazione di gas naturale situato su un'isoletta vicina, soprattutto per cercare di ricostruire il loro rapporto ormai in crisi da tempo a causa della distanza. Quello che doveva essere il loro nuovo inizio in realtà si rivela essere però la naturale prosecuzione dell'inerzia che li aveva intrappolati nei mesi precedenti. Il buio continuo non fa che amplificare i silenzi e le distanze tra i due: Niels continua a tradire la moglie e lei a far finta di non accorgersene. A farne le spese il piccolo Markus, che percepisce la difficoltà del momento che i genitori stanno vivendo ma anziché affrontare il problema si limita ad immortalare quello che accade in casa durante i pochi momenti di vita quotidiana trascorsi insieme. Tutto cambia improvvisamente quando Maria, al ritorno a casa dal turno di notte, si distrae per un momento e si rende protagonista di uno strano incidente stradale. Convinta di aver inavvertitamente investito un cane o qualcosa di simile sul bordo di una strada, la donna continua la marcia senza scendere dall'auto ed arriva a casa in preda all'angoscia. Sconvolta e impaurita Maria viene sopraffatta dal rimorso. E se non fosse stato un animale ad essere investito ma una persona?
Scenari mozzafiato, ammalianti vedute aeree notturne e sconfinate panoramiche sui fiordi norvegesi fanno da sfondo ad una storia familiare intensa e lancinante ricca si spunti di riflessioni sul contesto umano e sociale che ruota intorno ad una piccola comunità costretta a passare dall'interminabile e asfissiante buio delle notti polari al sole di mezzanotte del solstizio estivo. Ore, giorni, settimane e mesi scanditi unicamente dall'orologio per albe e tramonti mai avvertiti sulla pelle, mai cadenzati dalla sensazione di una nuova alba, di un nuovo inizio. Sensazioni che fanno perdere il contatto con il mondo e con la realtà quelle vissute dai protagonisti di Mercy, amplificate da una location spettacolare e agghiacciante allo stesso tempo in cui ogni sentimento viene amplificato, tanto più se si tratta di emozioni negative, di sofferenze, di menzogne. Una realtà magica per chi la vive dall'esterno, tragica per chi la vive sulla sua pelle e non riesce ad abituarsi, che in questo film esalta atmosfere e personaggi donando loro un affascinante alone di mistero ed imperscrutabilità. E' dopo la tragedia che Matthias Glasner ci immerge nelle vite dei personaggi, è nel momento della disperazione e della paura che iniziamo veramente a conoscere Maria e Nils, a capire fino in fondo tutte le sfumature della loro personalità, a conoscere il loro habitat, la loro vera indole. Tra una bufera di neve e l'altra il regista ci porta a conoscere i protagonisti, nell'ospedale in cui Maria accudisce malati terminali accompagnandoli con amorevole compassione verso la morte, in chiesa per le lezioni del coro, nella scuola media in cui Markus fa le sue prime difficoltose esperienze di gruppo con i compagni, nelle stanze del tradimento di Niels, intrappolato in una relazione di sesso con una donna che cerca un amore che sa di poter avere. Aggrappati l'uno all'altra Niels e Maria scopriranno di amarsi ancora, di poter contare ancora l'uno sull'altra, di essere in grado di perdonare, di essere in fondo delle brave persone che meritano una seconda chance, nonostante gli errori commessi, di essere dei bravi genitori e di saper convivere con la sofferenza perchè anch'essa è parte integrante della vita. Un travolgente dramma quello messo in scena dal regista tedesco Matthias Glasner che dona una dimensione diversa, quasi mistica, al senso di colpa, alla redenzione, al perdono, alla speranza di un mondo migliore, ponendo lo spettatore di fronte a diverse soggettive, tutte puntate nella stessa direzione. Le incantevoli immagini che scorrono sullo schermo sono funzionali al racconto e mai usate dal regista per dilatare i tempi o coprire delle mancanze nello script, tutti i personaggi subiscono un'evoluzione importante durante il corso della storia senza mai dare l'impressione di perpetuare nello stesso stato di immobilismo. Ottima la scelta e la prova dei due attori protagonisti Jürgen Vogel e Birgit Minichmayr, entrambi bravissimi nella ricostruzione psicologica dei loro personaggi, dotati di una grande forza espressiva e di una carica interiore davvero magnetica che non lasciano spazio a dubbi sulla loro integrità morale e sulle loro intenzioni, tanto meno su quello che inevitabilmente accadrà. Un'analisi diversa spetta al giovane attore che interpreta il figlio adolescente della coppia, impegnato dall'inizio alla fine del film ad osservare da estraneo i comportamenti dei suoi genitori e a filmare tutto con il suo telefonino, un personaggio enigmatico, inquietante ed apparentemente inutile ai fini dell'evoluzione degli eventi che però trae un importante insegnamento da quel che gli accade intorno e sembra uscito di fresco dalla penna di Michael Haneke. L'austera e silenziosa bellezza dei paesaggi artici magistralmente immortalati da Glasner si sposa benissimo con l'estrema lentezza con cui si succedono gli eventi e con la catarsi finale che fa calare sul microcosmo della comunità di Hammerfest una pacifica sensazione di riconciliazione, tra la gente e con la Natura. Nessun eccesso, nessuno sfogo fuori controllo, né una reazione scomposta, la tragedia c'è e si percepisce, ma non esplode mai. Nelle mani del regista tedesco tutto rimane calibrato, composto ed estremamente silenzioso, nonostante l'impetuosità degli accadimenti.Movieplayer.it
4.0/5