Andrew e sua moglie Sue sono missionari cristiani che prestano servizio nelle martoriate terre africane: lui è un affermato chirurgo, lei si occupa dei bambini locali. Quando il Paese è teatro di violenti scontri, con i movimenti ribelli che arrivano a minacciare la loro missione, la coppia è abbastanza furba da comprendere di dover lasciare, seppur a malincuore, quella zona pericolosa, almeno momentaneamente.
In Prey - La grande caccia, l'unica via d'uscita è rappresentata da un aereo ultra-leggero pilotato da Grun, che non si fa scrupoli nel chiedere un ingente pagamento per condurli verso una destinazione sicura. Non sono gli unici passeggeri e proprio questo è un elemento chiave da lì a venire, oltre al fatto che il velivolo sta trasportando un misterioso carico che aumenta non poco il peso. Per il fatto di essere pieno zeppo oltre la sua portata, il mezzo precipita e lo schianto ha luogo nei pressi di una riserva di caccia, in pieno deserto. Con Sue gravemente ferita, Andrew dovrà trovare un modo per sopravvivere unendo le forze con gli altri superstiti, confidando sempre e comunque nel Dio in cui crede.
Prey - La grande caccia: nel nome del padre
Il setting non è certo nuovo e il cinema di genere ha indagato - non soltanto negli ultimi anni - il rapporto tra l'uomo e la natura, con lo scontro / incontro in una natura selvaggia che lascia campo aperto alle più tipiche dinamiche da survival-movie. Proprio per questo un film come Prey - La grande caccia è la classica operazione della quale non si sentiva per nulla il bisogno, semplice e banale copia / incolla di tante altre pellicole a tema. Si inserisce anche la tematica religiosa, con la profonda fede della coppia protagonista che si tinge di elementi retorici più o meno plateali, con tanto di intervento divino nelle fasi cruciali che risulta involontariamente ridicolo, a chiusura di un racconto che offre la "giusta" redenzione anche ai peccatori, con il personaggio del pilota - che ha qualcosa da nascondere - pensato in tal senso.
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La fiera dell'improbabile
Il minutaggio, inclusi i titoli di coda, non raggiunge neanche l'ora e mezza ma ciò nonostante i tempi morti non mancano in una messa in scena derivativa, ambientata per la quasi totalità nello spoglio deserto dove l'aereo è precipitato: il fatto che l'abitacolo sia rimasto parzialmente intatto offre una sorta di rifugio per i personaggi, per quanto lo spazio sia limitato e abbia luogo una "democratica" selezione su chi debba rischiare più di altri la propria vita. Il problema principale di Prey - La grande caccia è la casualità degli eventi, che sembrano avvenire spesso senza un motivo o una logica precisi, tra scorpioni guastafeste nei momenti più nefasti e comparse di guerriglieri così dal nulla, nel tentativo di offrire un pizzico di varietà a una vicenda che stava esaurendo le proprie cartucce. A conti fatti però si fa soltanto una gran confusione e l'interesse scema progressivamente, parallelamente alle inverosimiglianze assortite.
I nomi non bastano
Incredibile sprecare un cast di ottimo livello, soprattutto per un progetto di questo tipo che non ha certo budget da blockbuster. I ruoli principali infatti vedono Ryan Phillippe (il medico) ed Emile Hirsch (il pilota) impegnati nella maggior parte delle scene, con Mena Suvari nelle vesti di gustosa guest-star e un discreto numero di comprimari. A funzionare è soprattutto Hirsch, che ha la fortuna di essere alle presa con una figura meno monodimensionale dei suoi colleghi, pur anch'essa dovente fare i conti con risvolti di sceneggiatura poco credibili. Sceneggiatura curata dallo stesso regista Mukunda Michael Dewil, di origini sudafricane e che prima di darsi al cinema si era fatto monaco: forse proprio per via del suo vissuto ecco il predominante discorso sulla fede, ma il film finisce per essere paradossalmente ben poco "illuminato".
Conclusioni
Il racconto si apre con l'immagine di una carcassa animale in pieno deserto, preambolo di quello che potrebbe aspettare i malcapitati protagonisti di Prey - La grande caccia, che si ritrovano impegnati in una disperata lotta per la sopravvivenza nelle aride terre del Kalahari dopo lo schianto del loro aeroplano. Un survival-movie in piena regola per ciò che concerne le dinamiche base, ma poco interessante a livello di spunti e risvolti narrativi, con alcuni innesti religiosi che stonano con le atmosfere e la scelta di lasciare fuori campo le sequenze più efferate, frutto di un budget limitato ma anche del tentativo di approcciarsi ad un pubblico maggiormente impressionabile. Il risultato è un film poco originale e privo delle necessaria suspense a tema.
Perché ci piace
- Emile Hirsch e in un ruolo secondario Mena Suvari salvano un cast altrimenti anonimo.
Cosa non va
- Risvolti narrativi improbabili.
- Personaggi poco interessanti.
- Non si avverte mai quella sensazione di pericolo che una situazione del genere dovrebbe scatenare.