"Pretty woman, walkin' down the street. Pretty woman the kind I like to meet...", in qualche modo profetica, quella canzone di Roy Orbison, diventata la parafrasi musicale perfetta di un film, tutt'ora, epocale. Chissà cosa avrebbe pensato il caro Roy, se non fosse morto appena due anni prima che Oh, Pretty Woman diventasse uno dei brani più ascoltati all'inizio degli Anni '90. Una canzone che racchiudeva il senso leggero di quella che potremmo considerare come la rom-com simbolo di un'epoca. Quel film che ha creato il mito, diventando nel corso del tempo la zona di comfort, il sogno romantico da vedere e rivedere in continuazione. È stato il maggior incasso del 1990, per poi essere costantemente nella top 10 dei film più noleggiati in VHS (ah, che nostalgia). Non solo, è diventato anche una sorta di rito tutto italiano: ogni qualvolta che passa su Rai 1, fa il pieno di ascolti. Altro che film, una sorta di feticcio.
Del resto, Pretty Woman di Gary Marshall, che lanciò Julia Roberts, affiancata ad un Richard Gere mai così affascinante (riuniti da Marshall nel 1999, in Se scappi, ti sposo), è l'apoteosi del concetto di favola applicata al cinema. È la seconda possibilità a portata di mano; una storia d'amore che traduce il concetto di sogno americano, sibilando però note capitaliste che, oggi, diventano stridenti e ingombranti. Un film burroso, cotonato, luminoso, se pensiamo che, originariamente, lo script di J.F. Lawton, su produzione di Laura Ziskin, doveva finire in una pellicola drammatica. Sliding doors a parte, è innegabile l'influenza di Pretty Woman sul pubblico, e l'arrivo in streaming su Netflix, in qualche modo, diventa simbolico nella sua rilevanza pop. Rivederlo, allora, come spesso accade per film classici, ci spinge a chiederci: ma Pretty Woman è una favola senza tempo, oppure una schietta e pragmatica lezione di vita capitalista?
Pretty Woman, l'amore e il Capitalismo
Certo, è una dietrologia, e certo è una riflessione che arriva dopo quasi 35 anni di meritati successi. La storia di Edward e Vivian, lui miliardario affarista, lei prostituta della Hollywood Boulevard, ha influenzato ogni sceneggiatura romantica che è arrivata dopo, suggestionando inevitabilmente il pubblico: tutti abbiamo sognato di entrare in quella boutique dove siamo stati respinti, comprando poi tutto il negozio. Una piccola rivincita, e il denaro che, in qualche modo, sopperisce alle mancanze. Perché poi il punto è questo: oggi un film come Pretty Woman sarebbe anacronistico. Senza rinnegare il successo, la stessa Julia Roberts, in un'intervista al The Guardian datata 2019, disse che "Un film del genere adesso non funzionerebbe, ma questo non impedisce agli spettatori di goderne nella visione ancora oggi".
In fondo, la storia di un uomo (ricco) che salva una donna (povera), dietro le sfumature fiabesche, apre ad una notevole riflessione nel contesto attuale, e non solo. Anche perché Pretty Woman, fin dal 1990, è stato sì un punto assoluto tra le commedie romantiche, ma è anche stato materiale di dibattito per come veniva concepita l'evolversi della storia (e come appunto veniva concepita la figura femminile), e di quanto il fattore legato al Capitalismo fosse preponderante. Edward, che 'compra' Vivian, innamorandosi poi di lei, con un happy ending zuccheroso e in linea con il concetto di favola, può essere letto anche come riflesso materialista, consumista e basato sull'apparenza. Qui, arriva la lezione di vita, molto meno fiabesca: con i soldi si può comprare tutto, anche l'amore? Chiaro: è una rilettura forse critica e disillusa, ma comunque in linea con il pensiero della stessa Julia Roberts, all'epoca sconosciuta, che per il ruolo se la vide con Daryl Hannah, Karen Allen, Meg Ryan e Molly Ringwald (tutte però rifiutarono la parte...).
Pretty Woman: 7 cose che abbiamo imparato dal film
I film della nostra memoria? Hanno ancora tanto da dire...
In qualche modo attaccato al retaggio della vecchia Hollywood, il film di Garry Marshall sbilanciava il ruolo dell'uomo e della donna, mettendoli in due posizioni differenti. Necessità di sceneggiatura, frutto dell'epoca storica, matrice pregnante di una poetica legata alle commedie romantiche che, solo dopo trent'anni, sarebbe poi in parte cambiata. Nessun revisionismo, ci mancherebbe, solo lo stato dell'arte attuale con uno sguardo al passato: l'elemento fiabesco arrivava (e arriva) dritto al pubblico, riconoscente verso Pretty Woman per aver in qualche modo sottolineato quanto, l'amore, può arrivare anche quando non ce lo aspettiamo, e può arrivare da quei opposti che, alla fine, risultano focosamente attrattivi.
Insomma: la favola di Cenerentola e del Principe Azzurro consumata su Rodeo Drive, e l'esaltazione del materialismo a portata di carta di credito, in cui una battuta di shopping, tra Gucci e Louis Vuitton, diventa l'emblema del Capitalismo smodato, del potere assoluto del dollaro rispetto alle possibilità reali indotte dall'amore squattrinato. Il Capitalismo come realizzazione finale, la moneta come merce di scambio emotivo: "Tu ed io siamo creature simili", dice Edward a Vivian, "Entrambi scopiamo le persone per soldi". Uno scambio decisamente figurativo, e la traduzione di quanto, i grandi film della nostra memoria, se visti e rivisti, hanno ancora tante cose da dire. Nel bene, e nel male. "Oh, pretty woman..."