Lo abbiamo visto in tutte le salse, nel dramma intenso e doloroso, in quello romantico, passando per l'action bellico, il thriller ed ora sta addirittura per tornare sul grande schermo con due film parecchio inusuali per un attore che si è aggiudicato l'Oscar per la magistrale interpretazione ne Il Pianista di Roman Polanski. In attesa di vederlo protagonista di Splice, il fanta-horror diretto da Vincenzo Natali (già regista di Cube - Il Cubo) in uscita il 13 agosto, Adrien Brody sbarcherà nelle sale italiane il 14 luglio con l'atteso Predators, che può definirsi sia un sequel, sia una rilettura in chiave rovesciata della storia originale raccontata in Predator, il blockbuster che nel 1987 contribuì al successo planetario di Arnold Schwarzenegger nei panni di un guerrigliero incaricato di dare la caccia ad un predatore alieno con poteri di invisibilità che veniva catapultato sulla terra nei meandri della giungla seminando terrore e morte. Il trentasettenne attore newyorkese interpreta Royce, un ex militare delle forze speciali americane divenuto un mercenario imperturbabile che suo malgrado si ritrova leader di un gruppo di pericolosi predatori catapultato su un pianeta sconosciuto per cacciare e trasformarsi automaticamente in preda. Il pianeta è infatti popolato da creature mostruose iperevolute che si allenano ad uccidere gli umani meglio addestrati traendo da questi utilissimi suggerimenti. Quindici chili di massa muscolare per 'entrare' nel ruolo, un allenamento fisico e un vasto studio di discipline orientali per comprendere la filosofia militare: a tutto questo si è dovuto sottoporre Brody per riuscire ad interpretare al meglio questo antieroe tragico per il quale, alla fine, non si può far a meno di fare il tifo. Noi l'abbiamo incontrato e ci siamo fatti raccontare questa esperienza al fianco del geniale Robert Rodriguez, guida creativa nonchè produttore di Predators che ha lasciato la regia a Nimrod Antal, già dietro la macchina da presa in Kontroll e nel thriller Vacancy.
Signor Brody, è stato più difficile dimagrire per Il Pianista di Polanski o mettere i muscoli per cimentarsi in Predators?
Ha mai pensato che dopo l'Oscar sarebbe stato difficile trovare ruoli di quel calibro? Ha avuto momenti di indecisione o incertezza nel valutare i copioni che le sono stati proposti successivamente?
Adrien Brody: Non credo ci sia alcuna storia paragonabile a quella narrata ne Il Pianista. A livello qualità di materiale e di narrazione è quasi impossibile trovare ruoli di quella levatura in giro. E' stata una sfida interpretare un ruolo così drammatico, a prescindere dalla fase della carriera in cui mi trovavo. Il dilemma di questa professione è esattamente questo, devi riuscire a trovare un film che preveda un ruolo che ti parli e ti comunichi qualcosa di forte. Sono molto grato a Polanski per l'esperienza che mi ha regalato, ci sono molti attori che nella loro carriera non raggiungono mai certi livelli. Questo film mi ha gratificato, mi ha permesso di fidarmi di me stesso, di mettermi alla prova con qualcosa che non mi sarei mai aspettato di affrontare. E' giusto e sano prendersi i propri rischi e affrontare diversi generi durante una carriera attoriale, fare sempre le stesse cose non ti aiuta a crescere. Grazie a quella interpretazione ha dimostrato a tutti che potevo fare determinate cose, dopo non ho più dovuto dimostrare nulla, ho avuto tanti riconoscimenti professionali ma non voglio smettere di sperimentare, di sentirmi a mio agio nell'esplorare altri mondi.
Cosa ha rappresentato per lei questa nuova avventura nel genere action? Crede che la sua esperienza nel dramma possa averla aiutata a dare spessore al suo personaggio?
Adrien Brody: Come attore non sai mai di cosa sei capace finchè non lo fai, devo dire che non mi erano stati offerti grandi ruoli dopo Il Pianista e io non sono stato di certo il primo attore a cui gli Studios hanno pensato di affidare un ruolo come questo, ma alla fine eccomi qui. Ovviamente ho dovuto acquisire determinate caratteristiche fisiche anche perchè quando fai qualcosa di diverso da quello per cui sei conosciuto è sempre molto difficile conquistare la fiducia del pubblico. Come attore però devi essere in grado di adattarti a qualsiasi tipo di situazione, e mi ha aiutato anche il fatto di essere un grande fan del genere. Ho cercato di far arrivare al pubblico quel che sentivo fosse importante e giusto per il mio personaggio, mi sono sottoposto ad una forte disciplina fisica e mentale. Nel film interpreto un uomo indurito dal punto di vista emotivo, un guerriero senza sentimenti e ho cercato di renderlo il meno superficiale possibile rispetto alla consuetudine che appartiene a questo tipo di film. Royce è un uomo pieno di difetti ma al contempo eroico, un uomo essenzialmente cattivo ma uno per il quale alla fine si finisce per parteggiare.
Com'è stato lavorare al fianco di Robert Rodriguez che oltre ad essere un action-director è anch'egli un grandissimo appassionato del genere?
Quanto ha pesato la mano di Rodriguez sul risultato finale di Predators?
Adrien Brody: C'è stato un coinvolgimento considerevole da parte sua nello svolgimento creativo del film: conosceva nel dettaglio tutto il processo di costruzione della storia e tanti elementi che sono nel film sono opera sua, ma ha anche dato al regista la sua libertà. C'è da dire che Robert non si è limitato a seguire creativamente il film ma è stato coinvolto anche nell'aspetto marketing, ha dato un input considerevole anche su questo aspetto.
Negli anni '80 c'era un alieno catapultato nella natura selvaggia addestrato per distruggere e combattere l'uomo, qui accade un po' il contrario. Ci può raccontare meglio chi è questo nuovo predatore?
Adrien Brody: La cosa interessante di questo film è che un gruppo di persone si ritrovano completamente da sole, sono tutti predatori a pieno titolo che a loro volta vengono costretti a diventare vittime di predatori ancora più evoluti, come in una sorta di espiazione dei loro peccati. E' lì che comprendono cosa significa essere una vittima, è lì che l'individuo diventa più debole, perchè tutti saranno costretti ad avere a che fare con mostri la cui cultura di caccia e la cui sete di assassinio supera la nostra. Uno scenario quasi mitologico, un elemento fondamentale per un buon dramma, di qualsiasi genere.
L'ultima volta che abbiamo visto al cinema questa storia è stato in Alien vs. Predator, un film interamente incentrato sugli effetti speciali e zero caratterizzazione dei personaggi. Che aspettative di pubblico può avere un film come Predators che capovolge interamente questa visione e che si poggia unicamente sui personaggi e sulle loro storie?
Adrien Brody: L'obiettivo era quello di attirare il maggior numero possibile di spettatori, e lo stile usato da Antal ci rimanda indietro al modo di fare film degli anni '70, con quelle pellicole che riuscivano a creare un collegamento e una sorta di eco nel cuore del pubblico, qualcosa di molto interessante che oggi è andato perduto. Il nostro intento era quello di far percepire il senso di solitudine e di vuoto, quando sei o pensi di essere l'unico sopravvissuto poni te stesso sopra ogni altra cosa e ignori il mondo intorno. Al giorno d'oggi conosciamo purtroppo certe realtà di guerra, io volevo creare un qualcosa che intrattenesse, senza mettere da parte il discorso dell'isolamento dell'individuo e sul commettere crimini contro l'anima più che contro il corpo. In questo modo ho cercato di collegarmi col pubblico in maniera meno superficiale e più spirituale.
Il film ha un montaggio molto lineare, è sempre facile distinguere chi fa cosa, al contrario dei film moderni in cui il montaggio è rigorosamente videoclipparo e contorto, si potrebbe definire una realizzazione vintage. Che possibilità di riuscita ha secondo lei Predators se confrontato ai moderni action-movie?
A lungo si è avuta la sensazione di trovarsi di fronte alla trama di Dieci piccoli indiani, sapevamo chi fosse l'assassino ma c'era ugualmente molta suspense su quello che sarebbe successo di lì a poco. Come si è trovato a lavorare in un genere di film inedito per lei, così ricco di elementi thriller e action?
Adrien Brody: Ogni ruolo è diverso, ero focalizzato sul rendere il mio personaggio il più realistico possibile. E' una sorta di capobanda e volevo che avesse una mentalità da lupo solitario, che fosse un uomo allenato ad uccidere. Era questa l'unica cosa che potevo fare per delinearlo al meglio. Ho studiato diversi manuali militari, guide paramilitari, manuali di campo, ho visitato i poligoni dell'esercito e letto tutti i libri che potessero aiutarmi a capire quale fosse l'aspetto tecnico più importante di un guerriero. Volevo che il mio personaggio fosse sempre pronto a sparare e a pensare alla propria pelle. Era una chiave importante a mio avviso. Ho letto libri buddisti e imparato molte cose sulle filosofie militari orientali. Con l'addestramento fisico ti prepari, poi ti presenti sul set e cerchi di creare la connessione col personaggio mettendo a frutto quello che hai imparato durante la preparazione.
Le armi usate nel film sono diverse da quelle che di solito vediamo: l'arma maneggiata dalla donna ad esempio, è grande e pesante e si contrappone al machete rudimentale che lui tira fuori ad un certo punto. Come vi siete preparati?
Adrien Brody: Mi sono allenato molto con le armi, è stata un'esperienza molto interessante, anche perchè essendo un attore devi essere abile a maneggiare certi arnesi, sono attività spesso richieste nel cinema. Il machete è un ovvio riferimento al film originale di cui era protagonista Schwarzenegger, ed è stato realizzato dallo stesso artigano che aveva realizzato quello del primo film. E' stato importante riuscire ad integrarlo all'interno del giubbino. Una delle cose che mi colpì molto del film originale fu la potenza di fuoco delle armi, mi sono allenato a caricare e a scaricare l'arma, a manovrarla anche ad occhi chiusi.
La prospettiva morale che emerge dal film qual'è secondo lei? Il suo personaggio è un eroe negativo da certi punti di vista, i predatori diventano prede, ci sono lotte intestine costanti ovunque, persino tra gli stessi alieni: è un circolo vizioso che finisce e poi ricomincia, un'idea piuttosto pessimista della realtà, forse troppo anche per un film di genere, non crede?
Adrien Brody: Non credo che l'intento del film fosse quello di porre quesiti sulla moralità, ciascuno spettatore risponde in maniera diversa agli stimoli, a seconda anche di come sono le caratteristiche del personaggio. A livello personale volevo sottolineare la continua ebollizione interiore del mio personaggio, è qualcosa che egli vive quotidianamente, volevo che fosse chiaro quanto fosse difficile per lui prendere le decisioni che prende. E' un uomo che ha rinunciato a molta della sua umanità, aspetti che non sono così frequenti in questo tipo di film.
I suoi progetti futuri? C'è nell'aria un Predators 2?
Adrien Brody: Ho diversi film in uscita quest'anno, che sono già conclusi, e sto per iniziare le riprese di Detachment, dramma diretto da Tony Kaye, il regista di American History X, in quel di New York. Non mi dispiacerebbe riprendere questo ruolo, ovviamente laddove ci fossero gli elementi giusti per poterlo reinterpretare, ma molto dipenderà anche dal successo al botteghino. Comparirò anche in un cammeo nel prossimo film di Woody Allen, un dettaglio importantissimo che stavo per dimenticare di dirvi.