Finita la stagione degli Oscar, il pubblico italiano ha l'opportunità di scoprire, grazie a MUBI, uno dei film che avrebbero potuto partecipare alla corsa di quest'anno. Il lungometraggio che è oggetto di questa recensione di Prayers for the Stolen era infatti la scelta messicana per la categoria del miglior film internazionale, ed è finito nella shortlist iniziale di nove titoli stilata prima della cinquina definitiva. La seconda volta per la regista Tatiana Huezo, già considerata per uno dei suoi documentari qualche anno addietro, e un bel traguardo (per quanto parziale) per un debutto nella finzione che ha avuto un percorso di tutto rispetto, a cominciare dalla prima mondiale a Cannes nella sezione Un Certain Regard (dove ha ricevuto una menzione speciale da parte della giuria presieduta da Andrea Arnold) per poi arricchire i programmi di altri eventi importanti come i festival di San Sebastián e Zurigo.
Storie di quotidiana disperazione
Prayers for the Stolen (liberamente adattato dall'omonimo romanzo di Jennifer Clement) è ambientato nella provincia messicana di Guerrero, in un isolato villaggio di montagna dove Ana e le sue due miglior amiche si avviano verso l'adolescenza. Ma è un percorso travagliato e pieno di insidie, poiché la regione è dominata dal duplice traffico di sostanze stupefacenti e di esseri umani, in particolare di giovani donne. Per tutelare le ragazze, le madri le hanno insegnato vari stratagemmi per sopravvivere, incluso avere dei rifugi sotterranei e tagliarsi i capelli per fingersi maschi in un microcosmo patriarcale dove le femmine sono costantemente in pericolo. Ana e le amiche aderiscono a poche, semplici regole per avere diritto a una minima routine quotidiana fuori casa, ma non potranno nascondersi per sempre, perché prima o poi la dura realtà entrerà direttamente in collisione con il loro tentativo di avere una giovinezza normale in un mondo che tanto normale non è, dove troppe ragazze come loro diventano schiavi o lontani ricordi, quasi dei fantasmi.
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Un esordio potente
Il titolo originale del film è Noche de fuego, notte di fuoco. Un appellativo che rispecchia la dura realtà di una località, purtroppo non unica nel suo genere, dove per molte persone, soprattutto di sesso femminile, ogni notte è fonte di inquietudine circa la possibilità di poter ancora avere un'esistenza relativamente normale il giorno dopo. È una realtà fatta di fango e fuoco, che Tatiana Huezo segue con un occhio empaticamente distaccato, affrontando il cinema di finzione con la sua ben nota sensibilità documentaristica che restituisce le sfaccettature di un mondo che, per quanto romanzato in questa sede, è riconoscibilmente e tristemente verosimile. E sebbene uno possa contestare la scelta di farlo arrivare direttamente in streaming (chi scrive ha avuto modo di vedere il film in sala, e l'impatto delle immagini di questa quotidianità non facile è molto potente), a suo modo è un bene che MUBI proponga questi titoli più piccoli, delicati, in un contesto meno caotico di quello dell'esercizio cinematografico italiano attuale, dove settimanalmente escono troppi film in quello che è diventato quasi un gioco al massacro.
Conclusioni
Arriviamo alla fine della recensione di Prayers for the Stolen sottolineando come si tratti di una potente opera prima di finzione che conferma il talento di Tatiana Huezo fuori dall'ambito documentaristico.
Perché ci piace
- Le giovani protagoniste sono spontanee e coinvolgenti.
- Il fascino del paesaggio fa da efficace contrappunto alla brutalità della situazione raccontata.
- Tatiana Huezo applica in modo intelligente il suo sguardo documentaristico alla finzione.
Cosa non va
- Peccato che il pubblico italiano non possa vederlo in sala.