È stato e resta una leggenda dello sport, Oscar Pistorius, l'uomo a cui nemmeno l'amputazione degli arti inferiori dovuta a una malformazione congenita ha impedito di correre veloce come il vento, fino ad una pioggia di medaglie paralimpiche e a una storica partecipazioni alle Olimpiadi di Londra nel 2012, e di diventare un simbolo di eccellenza e perseveranza di fronte alle difficoltà.
Tutto cambiò all'improvviso nelle prime ora della mattina del 14 febbraio del 2013, quando Oscar Pistorius sparò quattro colpi attraverso la porta del bagno della sua camera da letto a Pretoria e uccise la giovane fidanzata che frequentava da qualche mese, Reeva Steenkamp. Così la parabola del blade runner si trasformò in distruzione, e la favola d'amore tra il campione e la principessa divenne uno dei casi di femminicidio più discussi di sempre.
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Dai primi passi ai record del mondo
Il documentarista semi esordiente Vaughan Sivell (il suo apprezzato debutto è stato Mr Calzaghe, uscito tre anni fa e dedicato a un altro atleta, il pugile Joe Calzaghe) ha dedicato a quest'opera tre anni di lavoro certosino, e questo progetto dal minutaggio cospicuo - 3 ore e 45 minuti - approda oggi su Amazon Prime Video, proposto come serie in quattro episodi.
La sua indagine su Pistorius è minuziosa e attenta, e ce lo racconta sin dai primi anni di vita attraverso documenti e interviste, spesso molto personali e toccanti, con i familiari.
Non c'è, tra i familiari di Oscar Pistorius, la madre che, abbandonata dal marito con tre figli piccoli, lo crebbe senza fargli sentire la sua disabilità come un handicap, prima di morire improvvisamente a 43 anni, quando lui ne aveva 15. "Al mattino la mamma diceva a mio fratello: Carl, mettiti le scarpe! E a me: Oscar, mettiti le protesi! Così non sono cresciuto sentendomi diverso, sono cresciuto con scarpe diverse", racconta lo stesso Pistorius. Il rapporto con quella madre formidabile, ma vulnerabile, sola e paranoica, che era il suo mondo intero e che lo lasciò tanto presto, si chiede Sivell, senza darsi una risposta che non è suo compito fornire, è anche al cuore dei problemi di personalità evidenti nel campione anche prima dell'omicidio? Può la sua incrollabile determinazione e dedizione aver logorato Oscar Pistorius al punto da trasformarlo in un assassino? Sono tanti i dubbi inquietanti che il documentario affastella, raccontando un uomo apparentemente dolce e fragile eppure incredibilmente ostinato, la cui furia omicida rimane un mistero insondabile.
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Dio aveva un piano quando mi diede queste gambe
Giustizia per Reeva
Vaughan Sivell racconta, con dettaglio e partecipazione, gli incredibili successi sportivi di Pistorius, la determinazione con cui affrontò le accuse della Federazione di Atletica, secondo la quale le sue famose protesi in fibra di carbonio costituivano un vantaggio rispetto agli atleti abili, fino alla partecipazione alle Olimpiadi di Londra, delle quali fu uno dei volti più rappresentativi. Nonostante dissemini il suo lavoro di segnali di allarme, però, arriva comunque come uno shock, o almeno una forte eco dello shock che ci raggiunse tutti in quel San Valentino di cinque anni fa, l'atrocità della morte di Reeva Steenkamp, e poi le indagini, i paradossi del primo processo, l'emotività cruda e patetica dell'accusato, le sentenze.
Sivell ha a disposizione una documentazione visiva monumentale e dolorosa e la utilizza con intelligenza, inserendo la parabola di Pistorius in una vicenda più grande, quella dei cambiamenti della società sudafricana dopo la fine dell'Apartheid, con il ruolo unificatore e edificante giocato dallo sport e dai suoi eroi; anche quelli destinati a cadere. L'attenzione al dettaglio non ha alcuna componente voyeuristica, perché lo sguardo del regista è sempre empatico, nei confronti dell'oggetto principale dell'indagine, ma anche delle altre persone coinvolte, oltre che nei confronti di Reeva, la modella che studiava per diventare avvocato e lottava contro il bullismo nelle scuole, che vogliamo ricordare sorridente e bellissima, ma che abbiamo il dovere di immaginare terrorizzata, braccata dal suo assassino negli ultimi minuti della sua vita. La compassione è, d'altronde, l'unica bussola che abbiamo nell'addentrarci in un racconto come questo, nel rivivere con vividezza i suoi brucianti contrasti. Tenetela stretta, è più preziosa di una medaglia olimpica.
Movieplayer.it
3.5/5