Noi siamo ciò che è rimasto quando tutti i bambini buoni sono stati scelti
C'è tantissima adrenalina in Pistol, la serie evento targata FX sui Sex Pistols, che dopo vari rimandi arriva in Italia in occasione del Disney+ Day. La celebrazione annuale, nata nel 2021, della comunità mondiale di Disney+ prevede il debutto di nuovi contenuti dei brand principali del servizio (Disney, Pixar, Marvel, Star Wars, National Geographic e Star), e quest'anno si inserisce nel D23 Expo: The Ultimate Disney Fan Event presentato da Visa ad Anaheim (California), che si terrà dal 9 all'11 settembre. Speriamo di restituirvene anche solo una piccola parte con la nostra recensione di Pistol, interamente disponibile dall'8 settembre sulla piattaforma.
I Fought the Law, Law Lost
Pistol è visivamente immediatamente riconoscibile. Questo grazie alla scrittura di Craig Pierce (il co-sceneggiatore dei film di Baz Luhrmann, Romeo+Juliet, Moulin Rouge, Il Grande Gatsby, Elvis) e alla regia di Danny Boyle, che già aveva dimostrato di avere un'ottima impronta seriale con Trust - Il Rapimento Getty, la miniserie sul rapimento Getty (estremamente più efficace del film di Ridley Scott). Boyle quindi conferma e non delude, inserendo atmosfere da Trainspotting nelle sequenze di Pistol. Una sorta di sequela di immagini sotto acido, nel boom dell'esplosione della musica punk rock, quasi un videoclip perenne che solo ogni tanto fa respirare lo spettatore.
Ognuno dei sei episodi ha un titolo da traccia musicale e infatti Pistol è un ribelle, coinvolgente e arrabbiato album di Danny Boyle che non vuole sentirsi dire come dovrebbe raccontare la storia, ma lo fa e basta. Lo fa utilizzando sprazzi di flashback qui e là, mescolando passato e presente, mischiando musica e storia personale dei membri della band, portando tutto all'esagerazione, come l'interpretazione (che però così risulta azzeccata) dei Sex Pistols: il biondo tirocinante amico d'infanzia del chitarrista Steve, Paul Cook (Jacob Slater), lo stralunato e scavato John 'Rotten' Lydon (Anson Boon) trovato dal manager Malcolm; l'altro amico di Steve, Glen Matlock (Christian Lees), il meno ribelle del gruppo, e l'altra aggiunta senza alcuna conoscenza musicale Sid Vicious (Louis Partridge).
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È questo l'aspetto su cui maggiormente si concentra la miniserie, basata sul libro di memorie del 2017 scritto da Steve Jones stesso, "Lonely Boy: Tales from a Sex Pistol". I Sex Pistols sono un gruppo nato da un chitarrista e un cantante che non sapevano suonare e cantare, ma avevano qualcosa da dire, anzi da urlare a quella società borghese e compiaciuta che li guardava dall'alto in basso perché era più facile che (pre)occuparsi di loro. Pistol è uno spaccato onesto, rabbioso e senza peli sulla lingua di quel periodo storico e del percorso quanto mai altalenante della band (fatto anche di droga e violenza) che rappresentò la prima ondata del punk rock.
Non c'è solo la musica dei Sex Pistols nella ovviamente potentissima colonna sonora, che spazia anche tra le influenze che li plasmarono (musicalmente e personalmente) come David Bowie e dai brani cantati a squarciagola come i Bay City Roller. La musica è un personaggio che non solo vive nello show, ma suda e urla, è un cuore che pulsa sugli amplificatori rubati. Il cuore dello show proprio come il suo libro d'origine è Jones, ottimamente interpretato da Toby Wallace, un ragazzo con un passato familiare a dir poco disastroso che pensava di non essere buono a nulla e invece riuscì a mettere in piedi una band, grazie al supporto del giovane benefattore Malcolm McLaren (Thomas Brodie-Sangster, che potreste aver visto di recente ne La regina degli scacchi o nella saga di Maze Runner). Ma tutti sono necessari per far funzionare il racconto e per provare a spiegare 'Cutie Jones' al pubblico, sia a chi non è si perso un concerto dei Sex Pistols (sinonimo spesso di caos e violenza) sia a chi non sapeva nulla della loro travagliata storia.
No Future
Pistol è una storia piena di alti e soprattutto di bassi, di rivalità, di ribellione, di voglia di cambiare una società ipocrita e perbenista - con cui forse Pierce e Boyle vogliono strizzare l'occhio alla società di oggi - sulla rivoluzione del rock'n'roll, sulla furiosa, scatenata tempesta al centro di questa rivoluzione, un racconto caleidoscopico di tre degli anni più epici e caotici nella storia della musica. In quel periodo storico i giovani sentivano di non avere futuro per ciò che gli avevano lasciato i genitori e le generazioni venute prima (altra strizzata d'occhio all'attualità?). Una band che ha rischiato di far crollare il governo inglese e soprattutto ha provato a dare uno scossone ad un'istituzione granitica come quella della monarchia di Elisabetta II. "Quante altre band in Inghilterra in questo momento stanno dicendo la stessa cosa" dice ad un certo punto Paul agli altri Sex Pistols, riguardo al voler sfondare e soprattutto ad aver qualcosa di diverso e originale da dire rispetto agli altri.
Ragazzi proletari, imprevedibili, chiassosi e senza futuro, proprio come il titolo che Rotten avrebbe voluto dare al loro primo singolo. Il comparto femminile è altrettanto importante per raccontare quello maschile, ovvero i membri della band: Chrissie Hynde (Sydney Chandler), la metà complicata e contraddittoria di Steve, nientemeno che Vivienne Westwood (Talulah Riley), l'icona punk Jordan (un'irriconoscibile Maisie Williams) e l'altra metà di un altro membro della band, Nancy (Emma Appleton). Pistol è una sorta di testamento musicale e televisivo per i posteri, per non dimenticare i Sex Pistols ma soprattutto per non dimenticarsi per chi e per cosa ci si batte oggigiorno. Pistol è una canzone che rimane in testa anche dopo la visione e che ci auguriamo di continuare a cantare a squarciagola negli anni a venire.
Conclusioni
Arriviamo alla fine della nostra recensione di Pistol carichi come i membri dei Sex Pistols, raccontati magnificamente da Craig Pierce e Danny Boyle in questa miniserie partendo proprio dalla storia straziante del chitarrista Steve Jones, che insieme agli altri voleva solo dimostrare di essere bravo in qualcosa e far sentire la propria voce (e musica) al mondo intero.
Perché ci piace
- Il cast tra attori emergenti e più avviati per rendere l’acerbità dei personaggi.
- La scrittura a metà strada tra un fiume in piena e un flusso di coscienza arrabbiato di Craig Pierce.
- La messa in scena esagerata e sotto acido di Danny Boyle in stile Trainspotting.
- Il comparto musicale e la struttura a tracce della miniserie.
Cosa non va
- È così visivamente strabordante che potrebbe non piacere a chi cerca un biopic musicale classico.