"No, ancora un altro film su Pinocchio!": è quello che, siamo onesti, abbiamo pensato tutti quando Guillermo Del Toro ha annunciato che avrebbe realizzato un lungometraggio in stop-motion sulla favola di Carlo Collodi. Per qualche motivo fumoso, il burattino di legno suscita una fascinazione particolare sui registi: dopo il classico di animazione Disney del 1940, uno dei primi adattamenti cinematografici, moltissimi artisti si sono cimentati con questa storia. Pensiamo al passaggio di testimone tra Stanley Kubrick (che avrebbe dovuto realizzare il film) e Steven Spielberg con A.I. - Intelligenza artificiale: siamo in un mondo del futuro, con un androide al posto della marionetta, ma sempre di Pinocchio si tratta. Soltanto negli ultimi tre anni sono uscite le versioni di Matteo Garrone (che per il ruolo di Geppetto ha scelto Roberto Benigni, a sua volta autore di un film su Pinocchio nel 2002), quello di Robert Zemeckis e ora questo di Del Toro. La domanda quindi sorge spontanea: si può rendere interessante un immaginario così battuto e ormai familiare? La recensione di Pinocchio è qui per questo: la risposta è sì, ma soltanto stravolgendolo completamente. Ed è esattamente ciò che ha fatto Del Toro. Che Dio, o chi per lui, lo benedica e ce lo preservi a lungo.
Dal 4 dicembre in sala e dal 9 su Netflix, questo Pinocchio fa quello che i puristi della fedeltà al testo a tutti i costi temono sopra ogni cosa: tradire l'opera di partenza. Il regista messicano, da appassionato ma anche da produttore, sa benissimo che molto spesso ciò che funziona su carta non è detto che abbia lo stesso effetto sul grande schermo. In questo caso poi, vista l'enorme quantità di adattamenti, fare qualcosa di già visto sarebbe stata una sconfitta in partenza. L'uomo che ci ha dato Il labirinto del fauno, La spina del diavolo e La forma dell'acqua ha fatto di nuovo la sua magia: ha trasformato una fiaba in un racconto macabro, cambiando non soltanto la trama di Pinocchio, ma ribaltandone completamente il senso e la morale.
Laddove Collodi utilizza Pinocchio come strumento per definire le qualità che deve avere un "bravo bambino", ovvero essere ubbidiente, andare a scuola, ascoltare sempre i genitori, non urlare, non agitarsi, Guillermo Del Toro arriva alla conclusione opposta: soltanto nel non conformarsi ci può essere vera libertà di pensiero e quindi creatività. Il momento stesso della genesi del burattino è stravolto: se nel libro originale del 1883 Geppetto intaglia Pinocchio con l'intento di avere una vita migliore, utilizzandolo per degli spettacoli, quindi con la speranza come motore, qui è un atto di rabbia che porta alla creazione del bimbo di legno. Siamo nell'Italia fascista e il falegname ha perso un vero figlio, Carlo, durante un bombardamento di una chiesa all'epoca della Grande Guerra. Ubriaco e disperato, l'uomo abbatte un albero che si trova vicino alla tomba del ragazzo. Da quel legno, nel cui cuore ha costruito la sua casa un grillo scrittore, Sebastian (doppiato da Ewan McGregor in originale), nasce Pinocchio.
Un Pinocchio ribelle e rivoluzionario
Dimenticate il Geppetto rassicurante della Disney e quello dolcissimo interpretato da Nino Manfredi nello sceneggiato televisivo Le avventure di Pinocchio (1972) firmato da Luigi Comencini: quello di Del Toro (la cui voce è di David Bradley) è irascibile e vede presto il burattino come un peso. Quel pezzo di legno che parla e cammina non sarà mai come Carlo. È da questo contrasto che comincia l'avventura: curioso, non disposto a sottostare alle regole, Pinocchio vuole vedere il mondo, vuole ballare, cantare, bere cioccolata, sentire il caldo del fuoco anche se potrebbe bruciarlo. Ha una sua personalità unica, straripante. Tranquilli: ha ancora il naso che si allunga quando dice una bugia. Un essere destinato a farsi notare quindi, a uscire dall'ordinario. Tutto ciò che un regime come quello fascista reprime.
Almeno fino a quando il podestà del paese (Ron Perlman) non intuisce le sue potenzialità come arma: questo Pinocchio infatti ha più vite di Super Mario e riesce a ritornare dal regno dei morti ogni volta che viene ucciso. Il mondo sospeso a metà tra quello dei vivi e dei defunti è spettacolare: sembra partorito dalla fusione della fantasia di David Lynch e Terry Gilliam. I conigli sono già iconici. Così come la scimmia Spazzatura. Sì, Del Toro ha avuto il coraggio di eliminare, fondere e aggiungere diversi personaggi. La Fata Turchina qui è una creatura blu simile a una chimera, mentre il Gatto, la Volpe e Mangiafoco sono tutti uniti in un'unica figura, quella del Conte Volpe (Christoph Waltz), alla guida di uno spettacolo itinerante e che sogna di esibirsi per il Duce.
Guillermo Del Toro: 50 anni di mostri
Pinocchio non ci sta: si ribella alla guerra, si ribella alla violenza contro i più deboli, non vuole indossare la divisa, è contento e orgoglioso della propria unicità. Il diritto a dissentire è fondamentale per Del Toro: soltanto dal contrasto, da una visione del mondo differente, può nascere l'arte. Il regista, che scrive insieme a Patrick McHale, sicuramente realizza uno dei suoi film più politici, ma soprattutto si interroga sul concetto di creatività. Si può esserlo davvero se si appiattisce lo sguardo piegandosi al gusto corrente? Se si smette di avere il coraggio di osare, magari facendo scelte rischiose ma originali? Se il risultato è un film unico come questo Pinocchio ben vengano le riscritture azzardate. La cosa incredibile è che questo progetto sia stato finanziato da Netflix, la "casa dell'algoritmo", partendo da una storia conosciutissima. A dimostrazione che, al cinema, più che la storia in sé è come la racconti che conta davvero. Con buona pace di chi in una pellicola ormai cerca soltanto colpi di scena e gode quando può urlare al "buco di trama".
Pinocchio e la morte
Oltre a una manifesta condanna di ogni regime e a una riflessione sul concetto di creatività, il Pinocchio di Guillermo Del Toro è anche una fiaba che parla di morte. Questo film è davvero come la sezione di un albero: ogni anello ne contiene un altro. A differenza di precedenti adattamenti, è duro, maturo, forse non così adatto a un pubblico di giovanissimi. C'è violenza (il povero Grillo parlante non è mai stato così malmenato), sangue, la cappa opprimente del lutto che avvolge ogni cosa. Ancora una volta il regista si schiera dalla parte dei mostri, dei freaks, di chi soffre: c'è più vita in un pezzo di legno che si ostina a voler far sorridere colui che lo ha scolpito che in tutti quelli attorno a lui intenti a emarginarlo, sfruttarlo e sottometterlo.
Del Toro racconta la grande e terribile avventura che è la vita umana riempiendoci di bellezza: il design delle creature è, come al suo solito, meraviglioso e la stop-motion lascia a bocca aperta. Sembra quasi impossibile di star vedendo semplici pupazzi mossi un frame alla volta. La morte fa paura, eppure è un rito di passaggio, che va accettato: la vera salvezza sta nella memoria, nel ricordo che lasciamo di noi negli altri. Ed è sempre l'arte che arriva a illuminare tutto, a sublimare l'idea che, se tramandiamo una storia, niente è mai perduto davvero.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Pinocchio di Guillermo Del Toro, questo adattamento della fiaba di Collodi, pur partendo da una storia conosciutissima e adattata diverse volte per il cinema, è qualcosa di mai visto e unico. Il regista riscrive con coraggio l'arco narrativo del burattino, catapultandolo in mezzo al regime fascista e circondandolo di morte. Non solo: ne ribalta completamente la morale. Laddove in Collodi seguire le regole e ubbidire era la meta da raggiungere, qui è la ribellione e la disobbedienza la vera salvezza. Se si conforma il proprio sguardo a quello del gusto corrente non si può essere davvero creativi. La stop-motion è meravigliosa, così come il design delle creature. Il cast di voci originali può contare su star del calibro di Ewan McGregor, Cate Blanchett, Tilda Swinton e Christoph Waltz.
Perché ci piace
- Il coraggio di Del Toro di stravolgere completamente il testo di partenza.
- La bellezza della stop-motion e del design.
- Il cast di voci originali.
- L'approccio più maturo e crudo al personaggio.
Cosa non va
- Chi è un sostenitore della fedeltà al testo originale a tutti i costi potrebbe non gradire.