Il clima è rovente, in questi giorni di fine agosto sulla capitale ancora semideserta, ma c'era ugualmente un discreto numero di giornalisti ad accogliere il regista Kazuya Ogawa, l'attore e sceneggiatore Akram Telawe, la co-sceneggiatrice Giuliana Mettini e il produttore Mario Miyakawa per la presentazione alla stampa di Pink Subaru: una curiosa co-produzione tra Giappone, Israele, Palestina e Italia per una commedia che vuole parlare con leggerezza di una terra martoriata, mostrando il lato quotidiano, e finanche gioioso e ludico, della vita dei suoi abitanti. Un esperimento dal taglio internazionale e multietnico, insolito per un regista giapponese, specie se esordiente quale Ogawa; il tentativo, per il regista, di descrivere una terra che lo ha da subito affascinato, senza per questo perdere il contatto con le proprie radici culturali (rappresentate innanzitutto dall'automobile del titolo, ma anche dai due personaggi di nazionalità nipponica).
"L'idea è nata da un viaggio che io, Kazuya e Akram abbiamo fatto a Tayibe, la cittadina del film", ha esordito Giuliana Mettini. "Akram ha iniziato a raccontare la storia delle auto e della loro importanza in questo territorio, così abbiamo pensato potesse essere un modo di rappresentare diversamente questo paese, senza parlare per forza di guerra. Anche lì esiste la vita, e la vita è più forte della guerra".
"Tutto è nato dall'incontro, in Italia, con Giuliana e Akram", ha poi dichiarato il regista. "Loro mi hanno fatto conoscere la Palestina, innanzitutto come turista. Inizialmente ero un po' intimorito, ricordo un episodio durante il quale mi trovavo al telefono con un amico giapponese e si sentì un'esplosione; lui pensò a una bomba, ma in realtà erano fuochi d'artificio. Tutte le esplosioni che ho sentito lì sono state fuochi d'artificio, nient'altro: sono consapevole che in quella terra succedono anche cose gravi, ma la mia esperienza personale è stata molto positiva. Per questo ho cercato di raccontare un momento che fosse positivo, anche scherzoso, in un paese in cui non si scherza: ho voluto mostrare una Palestina diversa da quella dei giornali, delle bombe e dei checkpoint, che poi è quella che ho vissuto io".
Ci sono stati contatti con la Subaru? Vi hanno aiutato nella realizzazione del film?
Mario Miyakawa: I contatti ci sono stati, ma ci hanno solo fornito delle automobili oltre a darci il permesso di girare nel loro concessionario. Non abbiamo avuto nessun finanziamento da loro, ed è anche logico, trattandosi di una ditta che produce automobili; inoltre, il fatto di utilizzare delle Subaru è stato semplicemente un fatto di realtà, visto che in quella zona il 90% delle auto è di questa marca.
Mario Miyakawa: In realtà ci abbiamo provato, a doppiarlo, ma ci siamo resi conto che sarebbe stato impossibile, che si sarebbe perso troppo della ricchezza linguistica dei dialoghi. Così abbiamo optato per i sottotitoli, convincendo anche il distributore, che non era d'accordo: speriamo che il pubblico, pur non abituato ai film sottotitolati, capisca la necessità di questa scelta e la apprezzi.
Cosa potete dirci sulla scelta delle musiche?
Kazuya Ogawa: Nel film spesso si sente il brano Que sera, sera cantato in giapponese: ho fatto questa scelta perché spesso laggiù sentivo vecchie canzoni giapponesi, così mi è venuto in mente di inserirne una di un altro paese, ma cantata nella nostra lingua. Era un po' un modo per introdurre, nel film, il tema della multiculturalità.
Se gli israeliani, invece di carri armati, mandassero tante Pink Subaru sulle città palestinesi, forse gli abitanti di queste ultime smetterebbero di lanciare razzi?
Akram Telawe: Noi siamo persone di cinema, non spetta a noi trovare il modo per arrivare alla pace. Certo, io credo che la pace stia sempre sotto la verità: per raggiungerla bisogna trovare questa verità. Noi però non volevamo sprecare immagini per mostrare checkpoint, carri armati e guerra: di queste cose sono già pieni i telegiornali, e poi sono cose con cui siamo nati. La mia terra non ha mai conosciuto la pace, fin dai tempi di Cristo. Ciò non vuol dire che si debba perdere la speranza.
I due personaggi giapponesi non sembrano molto funzionali alla trama. Perché sono stati inseriti?
Kazuya Ogawa: Personalmente, avevo bisogno di qualcuno che mi ricordasse anche il mio punto di vista di giapponese: non avrei potuto parlare di Israele e Palestina senza che ci fosse anche quest'ottica. Inoltre, protagonista del film è la Subaru, quindi la presenza giapponese c'era già in partenza.
Kazuya Ogawa: Non ho mai pensato a un film su questo tema, ma potrebbe essere una buona idea. Da noi, subito dopo la tragedia, le TV trasmettevano solo immagini tristi e drammatiche. Dopo 4-5 giorni, però, abbiamo visto l'immagine di una casa che galleggiava sull'acqua, con un anziano signore sul tetto insieme a sua moglie: sani e salvi. Lui rideva: questa è l'umanità.