Evidentemente poco abituato alle sessioni di interviste, Pietro Scalia è stanco, ma non perde il sorriso mentre si chiede: "Ma come fanno gli attori?". Il montatore premio Oscar, siciliano di nascita, ma emigrato in Svizzera con la famiglia ad appena un anno, ha sempre amato l'arte, soprattutto il cinema e il disegno, ed è riuscito a realizzare il sogno di studiare negli Stati Uniti grazie a una borsa di studio svizzera. E in Svizzera è a casa, quindi è particolarmente onorato di aver ricevuto il Vision Award Ticinomoda 2023 dal Festival di Locarno.
Schietto e cordiale, di quella schiettezza che ha permesso a Oliver Stone di apprezzare le critiche costruttive di quel giovane collaboratore che contestava alcuni passaggi della sceneggiatura di Wall Street, Scalia si è fatto un nome a Hollywood film dopo film. Forte di due Oscar, conquistati per JFK e Black Hawk Down, a cui si aggiungono le nomination per Will Hunting e Il gladiatore, il montatore è riuscito a tener testa a due mostri sacri come Oliver Stone e Ridley Scott. "Non mi faccio intimidire tanto facilmente" ci spiega. "Ascolto ciò che mi chiedono, ma se ho qualcosa da dire la dico. Non vedo il lavoro come una battaglia". Scalia si sofferma poi sulle differenze nel metodo di lavoro tra Scott, Stone e Bertolucci, con cui ha collaborato per Piccolo Buddha e Io ballo da sola: "Due mondi opposti. Oliver è un combattente, lotta contro gli studios, contro i produttori e ha tante esigenze. Crea un clima di tensione. Ridley Scott persegue l'estetica perfetta, mentre io amo le cose più grezze. Bertolucci era più poetico, arrivava in sala con i giornali e mi leggeva i titoli, era generoso di complimenti. Amava profondamente il cinema e si sentiva fortunato a fare questo mestiere".
Da Spider-Man a Morbius passando per Star Wars
Nel corso della carriera, Pietro Scalia ha lavorato a stretto contatto con gli autori, ma ha anche saggiato il mondo dei cinecomic montando i due The Amazing Spider-Man e Morbius, con cui la critica non è stata benevola. "Quando Scorsese dice che i cinecomic non sono cinema gli do ragione" confessa Scalia. "Si tratta di un modo di lavorare completamente diverso. Io ho avuto la libertà di fare e amare il cinema lavorando con autori, mentre i cinecomic sono basati sul marketing, sono prodotti, vedono tante persone coinvolte. Ho accettato di montare The Amazing Spider-Man per imparare una nuova tecnica: ho montato il film in 3D con gli occhiali, non era mai stato fatto. Ma le storie sono sempre le stesse, l'eroe che combatte il male. Ne fanno troppi, ma finché incassano andranno avanti".
E in termini di prodotti commerciali, Pietro Scalia ricorda la "strana" esperienza con Solo: A Star Wars Story e con il fandom "tossico" della saga fantascientifica: "Avrei dovuto prendermi una pausa dal lavoro, ma all'improvviso mi hanno chiamato per andare cinque settimane in Inghilterra quando il film era in produzione. Quando sono arrivato a Londra ho scoperto che il montatore era stato mandato via. Ho conosciuto i registi, che si sono allontanati per un paio di settimane per girare un'altra cosa, e intanto ho iniziato a lavorare al materiale. Dopo un mese mi chiamano e mi avvertono che i registi erano stati licenziati. Qualche settimana dopo hanno annunciato Ron Howard che ha mantenuto la stessa equipe, ma ha riscritto l'80% del film. A me il film non è dispiaciuto, ma è uscito troppo velocemente, senza un adeguato supporto di marketing, e i fan lo hanno rigettato".
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I rimpianti? Il gladiatore 2 e Piccolo Buddha
Dopo il primo Oscar per JFK, accolto con grande tensione, Pietro Scalia aveva giurato che non sarebbe "tornato all'inferno", ma lo ha fatto per Black Hawk Down, che gli ha fruttato il secondo Oscar. "Ho odiato quel film" confessa lui. "Di solito i film d'azione li girano a piccoli pezzi per via della complessità, esplosioni, elicotteri che cadono... Ridley però voleva girare in continuità, usava fino a 11 macchine da presa, due elicotteri, due steadycam. Hanno chiuso strade per girare 8 minuti per 10 volte di girato. 88 minuti di girato. E chi li guarda?". Nonostante le fatiche, Scalia è molto legato a Ridley Scott e ammette di essere dispiaciuto di non essere stato coinvolto ne Il Gladiatore 2 perché era impegnato con Michael Mann: "Avrei voluto farlo, ci tengo moltissimo, ma quando ho parlato con Ridley mi ha detto che aveva già offerto il film a Claire Simpson".
Il più grande rimpianto del montatore è, però, legato a Piccolo Buddha, film di Bertolucci che parte della critica ha ritenuto "non pienamente riuscito". Scalia svela i retroscena del progetto e chiarisce: "Il primo montaggio era come un fiume che scorreva lentamente, era estatico. Quando Miramax ha preso in mano la distribuzione Harvey Weinstein ha chiesto numerosi tagli.Ho suggerito a Bertolucci di opporsi, ma lui mi rispondeva 'Lo voglio per i giovani'. Mi è dispiaciuto tantissimo vederlo così troncato. Anche in Alien: Covenant e Prometheus hanno tagliato scene che a pensarci fanno male". Un altro film che avrebbe meritato miglior sorte, tra quelli montati da Scalia, è l'eccentrico western di Sam Raimi Pronti a morire: "Prodotto da Sharon Stone con Gene Hackman, Di Caprio giovanissimi ed è stato il primo film americano di Russell Crowe. Raimi è una persona deliziosa, mi chiamava scherzosamente 'il macellaio'. Era estremamente preciso e fantasioso, ma era intimidito da Gene Hackman e dalle sue domande. Un film pieno di invenzioni, ma anche lui non aveva il final cut e abbiamo finito per tagliare moltissimo".
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Il futuro del montaggio e l'intelligenza artificiale
Naturalmente, col tema dell'intelligenza artificiale balzato prepotentemente alla ribalta in questi ultimi mesi, anche Pietro Scalia dice la sua dall'alto della sua lunga esperienza in fatto di evoluzione della tecnica. "Ho attraversato tutti i formati" ci spiega. "8mm, 16mm, 35mm, Cinemascope. The Doors è stato montato con un sistema ora scomparso sviluppato da George Lucas prima del digitale. L'evoluzione è costante. Oggi con l'incognita dell'intelligenza artificiale ci troviamo in un momento critico. Io non so se l'IA imparerà a montare, il montaggio è un linguaggio, ma sono scelte umane, personali, complicate, molto molto sottili. Chiunque monta un film otterrà un risultato diverso e non credo che l'elemento umano sia sostituibile".