Romano (e romanista) Pierfrancesco Favino è da diversi anni uno dei volti simbolo del cinema italiano, apprezzato ed utilizzato anche in grandi produzioni internazionali grazie al suo talento, alla sua professionalità e alla sua incredibile capacità di variare ed adattarsi ad ogni personaggio in modo totale.
Se nel 2019 ha stupito tutti con Il traditore di Marco Bellocchio, in questo 2020 l'attore classe 1969 non ha alcuna intenzione di lasciare, ma anzi raddoppia con Hammamet, film che sicuramente farà parlare molto di se.
Tuttavia è dall'inizio del nuovo millennio che Favino ci delizia con le sue interpretazioni, parte di un percorso artistico di assoluto livello, all'insegna del miglioramento costante, del mettersi in discussione, del riuscire ogni volta a stupire.
E per voi, lettori di Movieplayer.it, ecco i dieci migliori film di Pierfrancesco Favino.
10) L'industriale (2011)
A molti probabilmente sembrerà strano trovare questo titolo, invece L'industriale, diretto da Giuliano Montaldo e con un cast che conta Carolina Crescentini, Francesco Scianna e Andrea Tidona, è un film di enorme importanza per ciò che riguarda la situazione sociale italiana degli ultimi anni.
Favino interpreta Nicola Ranieri, quarantenne imprenditore alle prese come moltissimi altri con una crisi economica terribile, uomo che rifiuta ogni tipo di aiuto, di sostegno, e vuole salvare da solo la fabbrica ereditata dal padre.
Attraversato da un'atmosfera cupa, disperata, sottolineata da una fotografia quasi in bianco e nero, il film permette a Favino di creare un personaggio viscerale, potente, dalle mille facce, un capitalista che lotta (senza saperlo) proprio contro il suo credo, che sta mettendo alle strette lui e la sua vita.
Il tutto ci dona un'immagine terrificante del nostro Nord Italia, della classe dirigente che lo abita, persa tra egoismi e cecità, incapace di tirarsi fuori da un tornado economico di cui non capisce l'origine e da cui non sa difendersi per ignoranza e deficienza culturale, ma anche perché parte di un universo senza pietà e lealtà. Il Nicola Ranieri di Favino è, in tutto e per tutto, un dannato, lo è per mancanza di qualità, per coraggio, ma anche perché incapace di andare oltre sé stesso, il proprio ego. L'industriale ancora oggi è un film dolente, attualissimo, tragico ma animato da una grande verità, che ha in Favino un protagonista assolutamente fantastico, tormentato e disturbante.
9) Cosa voglio di più (2010)
Nel 2010 Silvio Soldini dirige Cosa voglio di più, struggente dramma amoroso ambientato in una Milano di cui viene mostrata soprattutto la periferia, il grigiore esistenziale con cui avvolge i suoi abitanti
Persi in mezzo a quegli uffici, al silenzio di quelle vie, vi sono Domenico (Pierfrancesco Favino) ed Anna (Alba Rohrwacher).
Domenico è sposato e ha due figli con Miriam (Teresa Saponangelo), mentre Anna convive con Alessio (Giuseppe Battiston), eppure tra i due, conosciutisi per caso, la passione è assolutamente travolgente, totale.
Una passione che è il tema centrale di un film difficile, complesso, mai banale per come mostra il dramma dei protagonisti, alle prese gioco forza con una doppia vita, una doppia esistenza, con bugie, alibi, menzogne, imbarazzi e sensi di colpa.
Favino fa del suo Domenico, calabrese arrivato da poco nella metropoli lombarda, il simbolo dell'indecisione ed insieme della determinazione dettata dal desiderio più irrazionale, più incontrollabile, e ci rende partecipi del suo piccolo, quotidiano egoismo in nome del quale mette a repentaglio tutto quello che ha.
Cosa voglio di più è un film intelligentissimo, ottimamente diretto, dove la chimica tra Favino e Rohrwacher, la contrapposizione tra due personaggi senza direzione, senza idee, chiusi l'uno nell'altra dentro le camere di motel, crea una delle rappresentazioni più credibili del concetto di tradimento nel cinema italiano degli ultimi anni.
8) El Alamein - la linea del fuoco (2002)
Al secondo conflitto mondiale sono ispirati numerosi film del nostro cinema, diversi dei quali giudicati capolavori e veri e proprio pilastri della nostra tradizione.
El Alamein - La linea del fuoco, diretto da Enzo Monteleone non è uno di questi, ma rimane un film di valore, umile, pieno di umanità e che si prefigge (riuscendoci) di darci un piccolo scorcio di quelle giornate nel deserto africano in cui migliaia di italiani perirono senza un perché, lasciati in balia del nemico e del deserto.
In un cast che comprendeva Paolo Briguglia, Emilio Solfrizzi, Giuseppe Cederna, Roberto Citrane Silvio Orlando, Favino fu chiamato ad interpretare il Sergente Rizzo, silenzioso fante veneto, animato da grande senso del dovere e sensibilità.
Favino si trovò alle prese con un personaggio che altro non era che un grande omaggio al "Sergente" per antonomasia, Rigoni Stern, di cui cercò in qualche modo di ricreare il fare riservato e un pò burbero, cimentandosi con una parlata veneta ed un linguaggio del corpo curati nel dettaglio.
Il suo Rizzo funge da testimone di quei tanti contadini, operai, figli dell'italica miseria che non erano mai usciti dal loro piccolo borgo, che si trovarono sballottati in quel grande incendio che fu la Seconda Guerra Mondiale.
7) Suburra (2015)
Film potente, disturbante, cupo, Suburra di Stefano Sollima è stato sicuramente uno dei più importanti del nostro cinema nel nuovo millennio, non solo perché confermò il talento e l'originalità del regista (assolutamente atipico per stile e linguaggio nel panorama italiano), ma anche perché dette modo a Pierfrancesco Favino di misurarsi con un personaggio completamente diverso da quelli che aveva interpretato fino a quel momento.
Ambientato in una Roma che si divide tra sfarzo e miseria, politica e criminalità di varia natura, Suburra è un'odissea ributtante e violenta dentro i meccanismi del malaffare italiano, che vanno dalla politica di più alto livello, alla piccola criminalità della periferia, dai palazzinari ai sicari di Ostia.
E lì, vittima e allo stesso tempo carnefice, si muove l'Onorevole Filippo Malgradi (il nostro Favino), politico corrotto, vizioso, ipocrita, dedito alla droga e alle prostitute, invischiato nella criminalità grazie al Samurai (Claudio Amendola), garante dei rapporti tra la piccola malavita romana, le famiglie mafiose del Sud Italia e la politica.
Favino fu semplicemente superlativo nel dipingere un personaggio che è in tutto e per tutto un ritratto perfetto della nostra malapolitica, che racchiude in sé tutta la banalità, l'ingordigia, la lussuria e la codardia concepibili umanamente.
Ben lungi dall'essere un deus ex machina del malaffare, il suo personaggio è semplicemente un complice, che si trova tra il martello e l'incudine, a cui Favino dona un'energia disperata nel cercare di sopravvivere a quel vortice in cui è invischiato.
Un vortice orchestrato dal Samurai, vero villain di un'odissea in cui Manfredi appare per quello che è: un essere patetico, debole, insicuro e ruffiano fino all'ultimo, che alla fine rimane stritolato dagli ingranaggi di quella gigantesca macchina dove cambiano nomi, giocatori, ma il banco vince sempre.
6) Romanzo Criminale (2005)
Romanzo criminale di Michele Placido ha avuto il merito (per altri il difetto) di lanciare una certa cinematografia e serialità televisive italiane incentrate sulla criminalità.
Incentrato sui misfatti della famosa Banda della Magliana, era un film corale con un cast a quattro stelle, dove ritrovavamo Accorsi, Santamaria, Germano, Favino, Riccardo Scamarcio e che rilanciò alla grande Kim Rossi Stuart e Massimo Popolizio.
La trama girava però attorno al rapporto di amicizia tra il Libanese (Favino), il Freddo (Stuart) e il Dandi (Santamaria), tre piccoli criminali che a modo loro si facevano strada in un'Italia eversiva, violenta e piena di opportunità per chi fosse senza scrupoli.
E tra di loro, nessuno era più carismatico, forte ed insieme fragile del Libanese di Pierfrancesco Favino, comandante, capo, conquistatore di Roma, capace di ordire piani ed assalti temerari, così come di rovinarsi da solo, con le sue mani, e di buttare tutto al vento.
Favino in Romanzo Criminale fu semplicemente maestoso nel fare del suo Libano un monumento alla sete di potere e di conquista, ma anche al riscatto sociale degli ultimi, degli esclusi, in una sorta di remake dell'american gangster dream in salsa italiana.
Ma allo stesso tempo, Favino ne rappresentò il lato più disperato, solitario, mostrandosi improvvisamente fragile e pauroso senza più l'amico al suo fianco, rimanendo infine sul selciato per una questione di pochi spiccioli al poker.
Non fu un caso che la sua interpretazione venisse premiata con un David di Donatello.
5) Saturno Contro (2007)
Non tutti i film di Ferzan Ozpetek hanno convinto critica e pubblico, ma Saturno contro è senza dubbio uno dei suoi film più riusciti, più poetici, più struggenti.
Protagonista è Davide (Favino) ragazzo omosessuale sensibile, colto, scrittore di talento, che a casa sua ospita spesso il suo piccolo gruppo di amici per cene all'insegna dello humor e dell'autocelebrazione.
Ora Davide è legato a Lorenzo (Luca Argentero)ragazzo alquanto simpatico e sensibile, che però una sera, dopo la cena, ha un improvviso malore ed entra in coma.
L'evento porta un vero e proprio terremoto dentro il piccolo gruppo di amici, dove già si consumano rivalità, tradimenti, sconvolgimenti e meschini egoismi, e avrà come conseguenza il portare tutti a riflettere sulla propria identità e la propria esistenza.
Sovente la rappresentazione del mondo gay, è scivolata volente o nolente nella parodia involontaria, nella trasfigurazione, invece in Saturno contro Ozpetek seppe descriverlo con grazia e delicatezza, nonché una robusta dose di malinconica rassegnazione.
Favino fece del suo Davide un protagonista umanissimo, affascinante proprio perché in antitesi all'universo un pò stralunato che gli girava attorno, un uomo pacato, intelligente, costretto a fronteggiare una perdita immane, a fare i conti con una vita che da quel momento lo priverà della persona amata.
L'attore romano fu straordinario nel rendere totalmente accessibile al pubblico il tormento, il dramma interiore di questo ragazzo travolto dalla vita, che non sa come ripartire, che si chiude in sé stesso.
Lavorando sempre sotto traccia, Favino ci dona un personaggio che è simbolo di imperfezione, di sentimento e di coraggio assieme.
4) Romanzo di una Strage (2012)
Solo poco tempo fa è stato l'anniversario della Strage di Piazza Fontana, che mezzo secolo fa cambiò per sempre la storia di questo paese, fu l'avvisaglia di tremendi e sanguinosi eventi che avrebbero sconvolto la nostra società, dato il via ad un'epoca di odio, morte e misteri irrisolti.
Marco Tullio Giordana con Romanzo di una strage, tratto dal romanzo Il segreto di piazza Fontana di Paolo Cucchiarelli, ricostruì quegli eventi ed i suoi protagonisti, all'interno di un iter narrativo intricato, appassionante e curato sotto ogni aspetto.
Il tutto viveva della contrapposizione tra due protagonisti di quei tragici giorni, due uomini totalmente agli antipodi, eppure forse per questo, incredibilmente simili nel loro anticonformismo, nell'essere fedeli a sé stessi fino alla fine.
Da una parte il Commissario Luigi Calabresi (Valerio Mastandrea) e dall'altra l'anarchico un pò sui generis Giuseppe Pinelli (Favino).
Calabresi, incaricato di fare luce sui responsabili dell'attentato alla Fiera di Milano di qualche mese prima, viene spinto ad indagare tra gli anarchici, tra cui lo stesso Pinelli, che ha formato un piccolo caotico gruppo di adepti.
Scelta coraggiosa e rischiosa quella di interpretare un personaggio così importante e scomodo come Pinelli, vittima eccellente di indagini che ancora oggi sono al centro di misteri, speculazioni e accuse.
Il suo Pinelli appare come quello che probabilmente era: un sopravvissuto. A sé stesso, al suo credo, alla Storia, alla visione di una militanza intesa come sopravvivenza, come ancora di salvezza in un mondo impazzito, di cui però non ha comprese le regole sanguinarie e assurde.
Favino e Mastandrea fanno del rapporto conflittuale ma sempre leale tra Pinelli e Calabresi, l'anima di un film che ce li mostra come due nobili perdenti, due paladini della giustizia in un paese, un sistema, che fa della menzogna e della mistificazione il proprio credo.
Altro David di Donatello per Favino. Meritato, meritatissimo, per la maestria con cui seppe dipingere in Romanzo di una Strage un uomo fedele a sé stesso, romantico, pieno di ideali, vittima di un tempo feroce e di uomini senza moralità.
3) Il Traditore (2019)
Il film di Marco Bellocchio purtroppo non è riuscito ad entrare tra quelli selezionati dalla Academy per il Miglior Film Straniero.
Ed è un peccato perché Il traditore è un film di enorme fascino, che fa luce sull'esistenza di un uomo tra i più importanti della storia italiana recente: Tommaso Buscetta.
Con un cast che comprendeva anche Luigi Lo Cascio, Fabrizio Ferracane, Maria Fernanda Cândido e Fausto Russo Alesi, il film in realtà verteva tutto sulla capacità di Favino di riportare in vita Don Masino, il Boss dei due Mondi, che con il suo pentimento permise a Falcone e Borsellino di delineare per la prima volta la struttura, la composizione ed il modus operandi di Cosa Nostra.
A conti fatti ciò che ha fatto Favino ne Il traditore ha dell'incredibile, per l'abilità con cui è riuscito non solo a risultare credibile come siciliano, ma addirittura ad imitare in modo perfetto la parlata di Buscetta, un palermitano la cui cadenza era influenzata dalla permanenza in Brasile e da interventi chirurgici alle corde vocali.
Per chi volesse fare un confronto con i video del maxi-processo o le interviste che Buscetta rilasciò, sembrerà in certi momenti di ritrovarsi di fronte ad un sosia. Anche il linguaggio del corpo, lo sguardo, lo "stile" di Buscetta (uomo che nonostante fosse un semplice soldato di Cosa Nostra non si era mai fatto mancare niente dalla vita) sono stati ricreati da Favino con una meticolosità a dir poco spettacolare.
Ciò che ci è stato consegnato dall'attore, è il ritratto di un sopravvissuto, uno sconfitto capace di riscattarsi, di comprendere pian piano che per tutta la vita quella Cosa Nostra a cui aveva dedicato la vita, era solo apparentemente governata da regole osservate da "uomini d'onore".
Questa trasformazione ci viene mostrata da Favino per quello che è stata: un viaggio nel dolore più terribile, con l'assassinio di due figli, un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti, che da viveur e libertino, trasformò Buscetta in un uomo in fuga, braccato da sensi di colpa e malinconie.
Il traditore: i fantasmi di Tommaso Buscetta in uno dei migliori film dell'anno
2) ACAB (2012)
L'esordio di Stefano Sollima sul grande schermo è stato a dir poco folgorante. ACAB - All Cops Are Bastards, tratto dal libro del giornalista Carlo Bonini, stregò pubblico e critica per il realismo, la violenza, la lucidità di sguardo con cui affrontò il mondo della continua guerriglia tra le Forze dell'Ordine e le tifoserie calcistiche, con cui guidò lo spettatore dentro le vite di alcuni celerini intossicati da violenza, imbruttiti da una vita passata tra caos e squallore.
Protagonisti erano Negro (Filippo Nigro), Mazinga (Marco Giallini), Carletto (Andrea Sartoretti) e Cobra (Favino), tutti sostanzialmente alle prese non solo con i pericoli insiti in un lavoro che abbruttisce come pochi, ma anche messi alle strette da vite private in caduta libera, dalla morte e ferimento di colleghi, da un mondo che sembra non avere più alcun senso.
La recluta Adriano (Domenico Diele), funge da totale elemento di rottura in questo universo dove le regole sono solo una carta velina che coprono una legge del taglione eterna ed immutabile.
Tra tutti i personaggi che animano questo film torbido, in cui nessuno è innocente e nessuno è colpevole, il Cobra di Favino è forse l'unico che sembra cercare in qualche modo di rimanere umano, di non perdere la bussola, di rispettare almeno qualche brandello di quella divisa.
Tuttavia Favino lo fa risplendere di una luce oscura, lo rende guidato da un codice altalenante, a dir poco flessibile, dove però impera l'attaccamento ai compagni, lo spirito di corpo, la fedeltà che sovente maschera un'omertà non differente da quella della malavita.
Favino (tanto per cambiare) fu assolutamente impeccabile nel comunicare i diversi stati d'animo di questo poliziotto atipico, che ama ed insieme odia il suo lavoro così come ama ed odia sé stesso.
Rimanela sensazione di una persona tuttavia né completamente cattiva né completamente buona, quanto piuttosto confusa, senza una direzione precisa, incapace di vedere l'incoerenza di ciò in cui crede.
1) Hammamet (2020)
Hammamet di Gianni Amelio dividerà sicuramente la critica, vista la particolarità della scelta narrativa ed espressiva del regista, ma qui, nei panni di Bettino Craxi, Pierfrancesco Favino ha semplicemente superato sé stesso. Neppure Il Traditore e Acab avevano permesso all'attore romano di raggiungere una tale capacità espressiva, di operare una trasfigurazione che l'ha portato più che ad interpretare, come ne Il Traditore, a diventare il personaggio.
Il suo Craxi è frutto di un lavoro durato un anno non solo e non tanto sulla voce, sul linguaggio del corpo (soprattutto delle mani), sulla postura, ma anche su come il trucco di Andrea Leanza e Federica Castelli doveva adattarsi alla finalità ultima: far si che Favino non esistesse più agli occhi del pubblico.
Quello che ci arriva è il credibilissimo ritratto di un uomo forte, disperato, sprezzante, divorato da un'arroganza mitigata da una sensibilità, da un presagire la sua fine, che lo spingono a slanci di generosità, di verità.
Favino fa muovere il suo Craxi da una volontà indefinita, ma adamantina, nel rivendicare la propria libertà di rifiutare il proprio paese, il passato, i compagni di quel carro armato di carta che fu il PSI dei garofani.
Un leone che ha perso il dominio sul branco, allietato dal nipotino, dagli sbandati, dai ricordi di ciò che era, dalla convinzione di sapere ben più degli altri quale sarà la sua sorte, quanto ormai sia slegata da un'Italia che disprezza ed insieme rimpiange.
La più grande interpretazione che Pierfrancesco Favino ci abbia donato. Senza se e senza ma, che lo pone (a livello di caratura attoriale) allo stesso livello dei grandi di oltre Manica od oltre Oceano.
Hammamet, la recensione: il Craxi crepuscolare e decadente di Amelio