Con il suo fascino british e uno sguardo magnetico Pierce Brosnan ha accompagnato la moglie Keely Shaye Smith a Bologna, per presentare il documentario Poisoning Paradise al Biografilm Festival 2017.
L'attore, che per molti anni abbiamo ammirato nei panni dell'affascinante James Bond, ha impiegato le sue energie nell'impegno civile, partendo da una causa vicina alla sua casa e alla sua famiglia. Kaua'i è una zona delle bellissime isole dell'Oceano Pacifico dove Brosnan vive con moglie e figli da circa quindici anni, e sta pagando le conseguenze di esperimenti chimici portati avanti da spregiudicate multinazionali che prevedono l'utilizzo di pesticidi e sostanze nocive per le persone e per l'ambiente, rendendo l'aria inquinata e letale. Questo documentario di denuncia è il primo lavoro che unisce professionalmente i coniugi Brosnan, compagni di vita da oltre venti anni e sempre innamorati come il primo giorno.
Colpisce infatti vederli mano nella mano durante l'intervista, con una tenerezza e una complicità che si percepisce mentre parlano delle loro passioni e dei progetti che hanno in mente per provare a cambiare il mondo. Non si possono ignorare le azioni egoiste e devastanti che stanno rovinando l'integrità delle risorse naturali che incidono direttamente sulla salute dell'uomo. L'attore di origine irlandese, sempre sulla cresta dell'onda, è stato accolto con molto calore dalla città emiliana, accompagnando il Vodka Martini agitato, non mescolato con un buon piatto di tortellini.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarlo per parlare di questo interessante progetto che lo vede coinvolto come produttore esecutivo, ma anche dei suoi ricordi dal teatro al cinema e dei progetti futuri, come l'atteso Mamma Mia 2, annunciato ufficialmente pochi giorni fa sul web.
Leggi anche: Mamma Mia: Here we go Again, in arrivo nel 2018 il sequel con Meryl Streep
Il lato oscuro delle Hawaii
Lei è il produttore esecutivo di questo documentario, come è stato coinvolto nel progetto?
Sono molto fiero di questo progetto, il mio ruolo è stato per lo più quello di preparare litri di tè e ordinare la pizza all'alba per la troupe. Si tratta di una storia che mi sta a cuore, viviamo in questa isola ormai da 15 anni dove abbiamo deciso di far crescere i nostri figli. Keely si dedica al giardino e io alla pittura e speriamo di stare lì ancora molti anni. Lei ha lavorato molto come giornalista per realizzare questo documentario, svolgendo ricerche approfondite e sono fiero di aver dato il mio contributo.
Questo è un film che si basa su una profonda documentazione, ascolta il parere di scienziati e cita fatti. Qual è il margine di speranza che ha potuto percepire nel mondo scientifico?
Mia moglie ha ascoltato scienziati di fama mondiale che hanno realizzato degli studi senza precedenti in questi ultimi anni, seguendo la crescita di alcuni bambini di quelle zone. I loro studi hanno reso note le conseguenze pericolose di questi agenti chimici, pesticidi e sostanze già bandite in Europa e in Svizzera, paese che le produce per l'esportazione nei luoghi dove sono ancora consentite. Spero che queste loro scoperte e i risultati raccolti possano portare dei miglioramenti nella comunità.
Quando è iniziato l'impegno civile su questi argomenti?
Mia moglie mi ha aperto gli occhi e ho cominciato a condividere la sua visione del mondo. Ognuno di noi ha la necessità di proteggere la Terra e la nostra missione è trovare delle cause che ci stiano a cuore, perchè di solito restiamo amareggiati da quanto accade ma poi arriva il momento di agire perchè la Terra è di tutti noi ed è importante preservarla.
Leggi anche: James Bond: (00)7 cose che (forse) non sapete sulla spia più popolare del cinema
Film e serie tv in cantiere
Come attore invece cosa cerca al momento?
Ho quattro film in cantiere. Sta per uscire un film con Jackie Chan intitolato The Foreigner, poi The King's Daughter, The Only Living Boy in New York con Jeff Bridges, e il prossimo mese sarò in Romania per girare con Jesse Eisenberg e spero di andare poi a Belfast per girare il film H-Block di Jim Sheridan all'interno delle carceri con Jamie Dornan e Cillian Murphy. Poi ho realizzato una serie tv americana per la AMC che si intitola The Son. E alla fine dell'anno ci sarà Mamma Mia 2 come avrete saputo. Che lo vogliate o no, dovrete sentirmi cantare ancora una volta, quindi rassegnatevi. Il lavoro non manca, sono fortunato in questo senso e la fortuna più grande è che continui a piacermi il lavoro che faccio.
Leggi anche: Pierce Brosnan ricorda Roger Moore: "Sono orgoglioso di averlo conosciuto"
"Con Mamma Mia 2 tornerò a cantare che vi piaccia o no!"
A proposito di "Mamma Mia 2" può dirci qualcosa di più? Cosa le è rimasto del primo film?
Fare Mamma Mia! è stato un divertimento criminale e adesso all'improvviso farlo per la seconda volta non immagino come sarà. Considerando che ho ricevuto un disco di platino per le canzoni che ho interpretato. Sono un po' terrorizzato di saltare di nuovo in quell'arena, ma è stata un'esperienza straordinaria con quel cast, Meryl Streep, Colin Firth, Amanda Seyfried, e la regista Phyllida Lloyd. Lo ricordo come un momento di energia pura e uno dei più salienti della mia carriera. Non vedo l'ora di indossare la tutina di spandex ancora una volta, anche se poi me ne pentirò amaramente.
Leggi anche: Meryl Streep, le 20 migliori performance della "Signora degli Oscar"
Il circo e il teatro prima del debutto sul grande schermo
Facendo ricerche nel suo passato sembra che lei abbia iniziato facendo il mangiafuoco al circo, è vero?
Sì, ho iniziato con il teatro di strada, ho messo insieme una compagnia teatrale e ho iniziato recitando in un teatro a Sud di Londra ed è stato lì che la recitazione è diventata il mio mestiere e sono rimasto colpito da questo mondo del teatro, con persone che avevano anche sofferto nella vita prima di arrivare sul palcoscenico. E un giorno ho incontrato un mangiafuoco, notando una grossa scatola scura con un signore che insegnava questa pratica. Un'attività piuttosto inquietante ma sono rimasto affascinato da queste ragazze senza reggiseno che provavano a farlo. Eravamo alla fine degli anni '60 e quindi ci ho provato anche io. E il circo è arrivato perchè a teatro c'erano laboratori con clown, acrobati e mangiafuoco che ci hanno invitato ad andare con loro. Se cercate I Muppets su internet mi trovate mentre mi cimento in questo ruolo bizzarro.
Come gestiva la sua vita per poter provare a fare l'attore?
La recitazione mi ha dato la vita, nel 1968-1969. Ho cominciato a frequentare questo ambiente e amavo molto anche il cinema. Erano anni molto vitali, seguivo il movimento delle pantere nere, c'era una forte interconnessione interraziale, era un ambiente affascinante che mi ha assorbito per circa tre anni tanto che avevo rifiutato una formazione come artista commerciale. Recitavo, seguivo Martha Graham, e di giorno facevo il lavapiatti per mantenermi, solo dopo ho scelto di frequentare l'Accademia di recitazione.
Il suo primo lavoro come attore quando è arrivato? E come è avvenuto il passaggio verso gli Stati Uniti?
La mia prima esibizione è stata in una Chiesa e io interpretavo Il Piccolo Principe, ero un ragazzino di 17 anni con un'aria molto innocente. Essendo irlandese la Chiesa faceva parte della mia vita e ci vedevo veramente un cerimoniale molto teatrale nelle funzioni religiose. Mi piaceva molto fare il chierichetto per esempio. Poi ho iniziato a lavorare come assistente di recitazione per sei mesi, continuando a fare il lavapiatti fino al primo ruolo grazie a Franco Zeffirelli. Fino a quel momento continuavo lavorare a teatro ma il mio sogno era il cinema, apparire su quel grande schermo mi dava un senso di libertà ed evasione, volevo diventare come Marlon Brando o Montgomery Clift. Sognavo Hollywood. Il mio biglietto per gli USA è stata una serie tv della ABC, Mai dire sì (Remington Steele).
Leggi anche: Bernardo Bertolucci: cinema e politica tra Marlon Brando e Godard
Da quel momento quindi la sua vita è cambiata per sempre?
Mai dire sì prevedeva 22 episodi per stagione, si trattava di ripetere ogni giorno la stessa modalità di lavoro. Ho studiato molto ma mi sono anche divertito, sperando sempre che il cinema bussasse alla porta prima o poi.
Essere James Bond
E il cinema è arrivato con James Bond? Può raccontarci questa esperienza?
Ho lasciato l'Irlanda il 12 Agosto 1964 e molti anni dopo ho scoperto che quel giorno Ian Fleming moriva, quindi non ho mai dimenticato quella data. I miei genitori mi portarono a vedere Agente 007, missione Goldfinger e non avrei mai immaginato che un giorno avrei incarnato io stesso James Bond. Mai dire sì mi ha dato accesso agli Stati Uniti, ma poi è stata cancellata nel 1986 e, anche se l'offerta per il ruolo di Bond già era arrivata in quel periodo non avevo potuto accettare subito per vincoli contrattuali, per cui era stato preso Timothy Dalton. Poi un giorno mi hanno richiamato e mi volevano per Goldeneye. Ero terrorizzato, è stata un'esperienza spaventosa ma anche esilarante. C'era una eco particolare tra Goldeneye e Goldfinger, quindi sentivo che era il momento giusto. Dovevo capire però come interpretare James Bond visti i miei predecessori. Quando interpreti Bond una volta lo sei per sempre, non è un ruolo da cui uno riesce a liberarsi e va celebrato per tutta la vita. Riconosco un grande merito a Daniel Craig che ha fatto un ottimo lavoro re-inventando il ruolo. Onore al merito anche a Roger Moore che ha dovuto affrontare una sfida importante come erede di Sean Connery, un attore e un uomo straordinario che manca moltissimo a tutti noi.
Leggi anche: James Bond: I 10 migliori nemici della superspia britannica
Ha lavorato con grandi registi come Roman Polanski. Come è stato realizzare L'uomo nell'ombra?
Roman Polanski è sicuramente uno dei miei eroi cinematografici. Il film Il Coltello nell'Acqua è un film che mi ha colpito moltissimo. Per me lui è un regista che ha sempre esercitato una certa fascinazione e quella volta mi ha proposto di interpretare il Primo Ministro Britannico. Ci siamo incontrati a Parigi per un pranzo insieme e io gli ho detto che avevo letto il romanzo da cui era tratto il film e lui mi ha risposto che non dovevo fare altro. Gli ho chiesto se questo Primo Ministro fosse Tony Blair e lui mi ha assicurato di no e questo mi ha confuso. Però ho studiato Tony Blair comunque e mi sono ispirato a lui per la gestualità e la mimica facciale e sono partito. Polanski è sempre attento ai movimenti della macchina da presa e ogni dettaglio, la precisione è la cosa che gli sta più a cuore. Lavorare con lui è stato un dono.
Ha qualche rimpianto guardando retrospettivamente la sua carriera e il ruolo di James Bond le offre ancora qualcosa oggi?
Sono un attore di 64 anni e ho avuto una vita stupenda. La recitazione mi ha insegnato molte cose, mi ha permesso di vivere avventure molto diverse, di stringere amicizie in tutto il mondo e ho la fortuna di fare oggi questo mestiere con la stessa passione che avevo a 24 anni quando ho iniziato. Il ruolo di James Bond ha sicuramente dato una spinta alla mia carriera e mi ha permesso di fondare la mia casa di produzione Irish DreamTime, con cui vorrei produrre film e documentari educativi perchè credo molto nella trasmissione alle nuove generazioni. Quando si affronta la seconda fase della vita bisogna restituire quello che si è avuto e io ho avuto molto. Per il resto spero di poter allestire una mia mostra a Parigi a fine anno con le mie opere, e scrivere un film su questa mia vita caleidoscopica.