Napoli, 1987. Anna è una principessa che vive in un castello moderno insieme a una madre/matrigna occhialuta e diffidente. Visto il suo status, che la rende diversa (almeno nell'idea della madre) dagli altri abitanti di Chiaiano, quartiere periferico di Napoli, ad Anna viene impedito di mescolarsi ai mariuoli del vicinato, ma la smania di crescere in fretta e la sua innata curiosità la porteranno a entrare in contatto con il misterioso figuro nascosto in un capanno nel campo retrostante la palazzina in cui vive. Mentre Anna bigia le lezioni di pianoforte in attesa di lasciare per sempre la sua casa, che sta per essere abbattuta per lasciare posto a una sopraelevata, i vicini seguono con trepidazione le gesta del Napoli Calcio, lanciato verso il primo scudetto grazie alle prodezze di Maradona.
Stanco della narrazione "gomorresca" della sua città, il regista Nicola Prosatore esordisce nel lungometraggio confezionando un omaggio alla Napoli della sua adolescenza che attinge al linguaggio della fiaba. Il risultato è una pellicola semplice, ma vivace e ricca di sfumature che racconta con sincerità il coming of age di un'adolescente divisa tra la voglia di crescere e il legame con la madre, come svela la recensione di Piano Piano.
C'era una volta Napoli
Per raccontare la Napoli dei suoi ricordi, Nicola Prosatore si fa aiutare dagli sceneggiatori Francesco Agostini e Davide Serino e dalla compagna di vita Antonia Truppo la quale, oltre a co-firmare lo script, si cuce addosso il ruolo di Susi, una madre presente fino a risultare invadente, che proietta sulla figlia le sue spirazioni mancate e cerca di proteggerla dall'ambiente esterno. Perché, pur scegliendo di lasciare la Napoli criminale sullo sfondo del racconto, la camorra è presente anche in Piano piano. I ragazzini del quartiere sgomitano per attirare l'attenzione del boss del quartiere, Don Gennaro (un Lello Arena in grande spolvero) e assicurarsi qualche lavoretto che permetta loro di guadagnare soldi e reputazione, e c'è perfino un pregiudicato nascosto in un capanno.
Piano piano racconta una storia piccola, una fiaba (nel senso più esteso del termine) costruita attraverso le unità aristoteliche di luogo, tempo e azione. Non si esce dal cortile della palazzina in cui vive la protagonista, tutte le scene in interno si svolgono in casa di Anna mentre il cortile rappresenta l'unico esterno possibile. Napoli c'è, ma non si vede mai. Eppure il quotidiano di Anna, della madre Susi, del giovane Peppino (Giuseppe Pirozzi), che ha il compito di occuparsi e nutrire il mariuolo nascosto nel capanno, e degli altri abitanti del condominio, assume valenze universali sotto lo sguardo estatico di Nicola Prosatore, la cui visione ammanta l'ordinario di straordinario. Per far ciò il regista usa le armi a propria disposizione adottando uno stile visivo molto marcato che sfrutta l'uso del colore, i tagli e il montaggio in chiave espressiva, a cui si aggiunge l'efficace colonna sonora di Francesco Cerasi (edita da Edizioni Curci, da oggi disponibile in digitale).
Combattere il gomorrismo a colpi di televideo
I colori acidi fotografano esterni avvolti nel sole del Mezzogiorno negli interni dominano la penombra, i toni del rosso e marrone. All'uso di panoramiche a volo di uccello che ci introducono nella storia - il "C'era una volta" delle fiabe - si alternano arditi stacchi di montaggio, il tutto supportato da un lavoro coraggioso e originale sul suono. L'intento di Nicola Prosatore è quello di rievocare la Napoli sgarrupata degli anni '80 attraverso immagini, sonorità, costumi e accessori. Mentre nel cortile trionfano canottiere della salute e tute di acetato, i capelli cotonati di Susi la distinguono tra le sciatte comari in grembiule.
Un po' ricostruita, un po' rievocata - a Self Control di Raf si aggiungono le didascalie in stile Televideo - Napoli fa da sfondo a un romanzo di formazione piuttosto classico nell'evoluzione narrativa che si concentra su un'adolescente ordinaria. L'eccezionalità di Anna, interpretata da una giovanissima Dominique Donnarumma, sta unicamente nel tono con cui vengono raccontate le sue esperienze tutto sommato comuni. I conflitti con la madre, le prime cotte, la scoperta del sesso, la curiosità nei confronti del mondo degli adulti sono qualcosa di già visto e rivisto. Ma in Piano piano questo piccolo mondo intriso di nostalgia si dipana con sicurezza e partecipazione tali da farci chiudere un occhio anche sulla scarsa originalità dei temi e su qualche incongruenza narrativa.
Conclusioni
Un esordio felice per Nicola Prosatore, come sottolinea la nostra recensione di Piano piano. Per il suo primo lungometraggio il regista confeziona un coming of age semplice, ma intenso. Un inno alla Napoli della sua adolescenza nel 1987, tra le gioie dello scudetto e i piccoli drammi quotidiani della periferia rosa dalla miseria e tiranneggiata dalla camorra, che usa il linguaggio della fiaba per ammantare di straordinario una piccola storia ordinaria.
Perché ci piace
- L'opera prima di Nicola Prosatore è una storia semplice, ma intensa.
- La narrazione è vivace e scorrevole.
- Convincenti le interpretazioni del cast, in particolare della caotica madre di Antonia Truppo.
- Notevole il lavoro sul piano tecnico e l'attenzione ai dettagli per la ricostruzione di un'epoca.
Cosa non va
- Seppur piacevole, la storia è poco originale.
- Qualche incongruenza sul piano narrativo.