Uno dei titoli che hanno più catalizzato l'attenzione degli spettatori negli ultimi giorni è sicuramente Peter Pan & Wendy, adattamento Disney in forma live-action dell'omonimo cartoon del 1953, a sua volta libera trasposizione del romanzo/opera teatrale di J.M. Barrie. Un film accolto in generale più che discretamente da pubblico e critica, anche per via dell'approccio consolidato del regista David Lowery, non nuovo a versioni in carne e ossa di racconti della casa di Topolino.
Mentre tutti possono schiacciare play sul telecomando per avviare la riproduzione su Disney+, noi abbiamo deciso di accompagnarvi alla (ri)scoperta della prima incarnazione sul grande schermo di questa classica storia amata da grandi e piccini, che il prossimo anno compirà la bellezza di 100 anni tondi tondi. Il Peter Pan qui oggetto di analisi risale infatti addirittura al 1924, ma nonostante il quasi secolo di vita la visione è in grado ancor oggi di regalare soddisfazioni ed emozioni a quel pubblico che vi si avvicinerà senza pregiudizi. E per di più è stato fonte di ispirazione per lo stesso Walt Disney, che lo ha spinto poi a creare il suddetto lavoro d'animazione.
Una storia conosciuta?
Il racconto segue le classiche linee guida che tutti ormai conosciamo: Peter che si introduce di notte nella camera di Wendy e dei suoi fratellini alla ricerca dell'ombra perduta, il viaggio in volo verso l'Isola che non c'è e l'eterna lotta contro Capitan Uncino e la sua banda di pirati. Ma fin dai primi secondi comprendiamo come nei cento minuti che ci attendono vi sia un'originalità rara, una personalità sicuramente figlia del relativo contesto storico e cinematografico, con una Settima Arte sempre pronta a inventare e a rinnovarsi per ingannare tramite l'ingegno gli ipotetici limiti tecnici nella gestione degli effetti speciali, nonché con l'intento di coinvolgere direttamente il pubblico in prima persona, come vi espleteremo da qui a poco.
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Nessun limite alla fantasia
Il primo personaggio a entrare in scena è...un cane. Ma non un cane qualsiasi: Nana infatti è interpretato da un attore umano che cammina a quattro zampe, con indosso un bizzarro costume da "miglior amico dell'uomo". Questi si occupa dei bambini come se fosse la loro babysitter, rimboccando le coperte e dandogli le medicine da un cucchiaio. Scelte stranianti, quasi involontariamente horror e apparentemente grottesche visto con gli occhi di oggi, ma che possiedono indubbiamente un loro peculiare fascino e si adombrano anche di inaspettata tenerezza in un paio di sequenze. Le dinamiche familiari seguono logiche da commedia, con gli intertitoli e le espressioni degli interpreti adulti che giocano su toni beffardi e sornioni, all'insegna di un desco domestico quieto e divertito, pronto a essere scosso da un evento imprevisto. Non appena cala la notte ecco infatti introdursi il protagonista, quel Peter Pan che ha un'altra particolarità: a vestirne i panni è infatti una donna, ovvero Betty Bronson. Una soluzione di casting che si rivela incredibilmente riuscita, non soltanto nel donare alla figura di Peter un aspetto piacevolmente androgino ma anche di renderne le movenze sempre più aggraziate e sinuose, quasi in una sorta di ballo con il quale si muove per lo schermo, saltando e volando da un luogo all'altro con un aplomb peculiare.
Tanto cuore
Quando l'azione si trasferisce nel cuore dell'avventura, ovvero l'Isola che non c'è, ecco il via a soluzioni visionarie: dalle sirene che sono spiaggiate in gran numero sulla costa alla magia utilizzata da Peter e dai Bambini Perduti per costruire dal nulla una casa dove ospitare i nuovi arrivati, fino all'entrata in scena di Capitan Uncino - un magnifico Ernest Torrence - e il suo background con la nemesi del coccodrillo, al solito determinante ai fini degli eventi. Ma è soprattutto in una scena che Peter Pan si rivela ad oggi un unicum, capace di risvegliare in chi guardia quelle fantasticherie da bambino e spingere a immedesimarsi nella storia e nei protagonisti in maniera totale, tramite un approccio interattivo. In uno dei passaggi ipoteticamente più drammatici, con Trilli in fin di vita dopo aver bevuto del veleno, Peter si rivolge alla camera e chiede allo spettatore di credere con tutto se stesso nelle fate e di applaudire insieme a lui nella speranza di salvare la sua compagna di mille imprese. Un coinvolgimento inaspettato che fa comprendere ancora una volta tutta la magia del cinema.
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God Bless America
Certo nei cento minuti di visione non mancano alcune ingenuità che potrebbero parzialmente far storcere il naso, soprattutto quando la vicenda si tinge di note gratuitamente patriottiche che sottolineano la produzione statunitense alla base. Riferimenti continui ai gentiluomini americani, un accenno dell'inno nelle didascalie nonché la comparsa della bandiera a stelle e strisce che sostituisce quella dei pirati nel concitato finale possono sia far sorridere che irritare nel loro eccesso inutile e forzato, anche soprattutto ricordando come l'autore J.M. Barrie fosse britannico e nell'opera originaria certi spunti fossero ovviamente del tutto assenti. In ogni caso tolte queste lievi note stonate ci troviamo dinanzi ad un'opera di qualità assoluta, ancora oggi in grado di sorprendere a quasi un secolo dalla sua uscita. Data perduta per decenni, è stata rimasterizzata in DVD nel 1999 e conservata nella National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti: anche questo un segnale dell'importanza di una pellicola che vi consigliamo di riscoprire senza remora alcuna.