La specialità di Richard Curtis è l'amore e su questo non si discute. A dimostrarlo sono film che, da Quattro matrimoni e un funerale, Love Actually - l'amore davvero e Notting Hill hanno dimostrato l'effetto salutare di un happy end mai troppo sdolcinato.
In questo modo Curtis, sceneggiatore per vocazione e regista per necessità, si è trasformato in un moderno "bardo" del sentimento dimostrando che love is all around us e che è possibile vivere felici con un giovane Hugh Grant senza sposarlo mai. Un'attività capace, dopo avergli fatto archiviare gli affanni di una star di Hollywood innamorata di un semplice libraio, di condurlo verso una nuova avventura romantica a spasso nel tempo. Perché Tim, il protagonista del suo ultimo Questione di tempo, distribuito da Universal il 7 novembre, scopre di aver ereditato dagli uomini della famiglia la possibilità di tornare indietro per cambiare gli avvenimenti della sua vita. Un dono che, grazie alla fantasia dell'autore, lo aiuterà a costruire il fidanzamento perfetto con la dolce Mary, interpretata da Rachel McAdams, e a comprende l'importanza di rivivere infiniti piccoli momenti di appartenenza famigliare. Un film, dunque, sulle emozioni quotidiane che Curtis riesce a riproporre in una formula semplice eppure sempre efficace.
Signor Curtis, la sua ultima pellicola riprende uno dei sogni proibiti dell'uomo, ossia la possibilità di viaggiare nel tempo. Ma in questo caso al protagonista è data la possibilità di intervenire solo sulle vicende della propria esistenza. Questo pensare in "piccolo" è in parte effetto della crisi? Richard Curtis: In realtà volevo costruire un viaggio anti viaggio che non facesse da padrone all'interno della storia. Quindi doveva essere necessariamente qualche cosa di piccolo e gestibile. All'inizio pensavamo che ci avrebbe fatto spendere un mucchio di soldi per riproporre effetti speciali e salti temporali poi, però, mi sono reso conto di voler essere semplice e concentrato sulla quotidianità proprio come il mio protagonista. Da qui nasce la scelta di mostrare il tutto in modo normale, realistico, quasi austero.
Lei è conosciuto soprattutto per il suo lavoro di sceneggiature cui si devono commedie romantiche di successo come Quattro matrimoni e un funerale. Da qualche anno, però, si è posizionato dietro la macchina da presa, concentrandosi sulla realizzazione completa dei suoi film. Da cosa nasce questa scelta?In tutti i miei film c'è sempre stata una vena personale, qualche cosa che mi appartiene profondamente. Per questo motivo sono sempre stato uno sceneggiatore invadente, deciso a rimanere molto vicino alle mie storie. Questo vuol dire essere presente sul set, seguire attentamente il casting e la maggior parte dell'editing. Potete capire quanto per i registi sia stato difficile avermi sempre tra i piedi. Alcuni di loro hanno anche tentato di colpirmi alle spalle con un coltello di plastica. A parte gli scherzi, ho cominciato a pensare che questa intromissione non fosse giusta, quindi mi sono messo dietro la macchina da presa. E sto ancora imparando.
Come è cambiato il romanticismo da Quattro matrimoni e un funerale a Questione di tempo?
Per quanto mi riguarda, io sono convinto di realizzare dei film divertenti sull'amore. Essere catalogato come autore romantico può essere anche pericoloso, perché molti di loro si occupano dell'argomento senza esserne realmente interessati. E per me è esattamente il contrario. Ad esempio, amo pellicole come Lost in Translation - L'amore tradotto, 500 giorni insieme e Se mi lasci ti cancello perché in queste storie si avverte un legame personale con la vicenda e i suoi protagonisti. Allo stesso modo, quando ho scritto Quattro matrimoni e un funerale, mi sono reso conto di sentirmi fortemente legato e interessato alla tematica dell'amore e dell'amicizia. Oggi, invece, con Questione di tempo, ho sperimentato l'affetto famigliare e la sua importanza nella nostra esistenza.
Questa è la sorpresa del film. Ad un certo punto mi sono reso conto che la storia d'amore poteva rappresentare solo il 50% della storia. Quando ho cominciato a scrivere il film avevo perso tre membri della mia famiglia, tra cui mia madre. Prima della sua morte, però, ho trascorso molto tempo con lei ascoltandola e trascrivendo tutti i dettagli della sua vita, anche i più insignificanti in apparenza. Il fatto è che volevo solo sentirla parlare, vederla muoversi e ascoltare il suo pensiero. Da quel momento ho capito che nella nostra vita non contano gli accadimenti eccezionali, quelli che definiscono una sola giornata. Ben più importanti sono i momenti normali che, passo dopo passo, costruiscono il senso di una intera esistenza. Per questo, se potessi tornare indietro, sceglierei come il mio Tim la famiglia tornando ancora ragazzo a cena con i miei.
Nonostante la realtà si affanni a mostrare il contrario, lei sceglie di raccontare storie idilliache di persone che, quasi controcorrente, accettano il rischio di amare. Da dove nasce il suo ottimismo romantico?
Credo che sia naturale per me. Forse lo faccio perché è l'unica cosa che posso fare. Solitamente si dice che la cosa peggiore, la più brutta che possa capitare è sempre quella più vera. Io non sono assolutamente d'accordo visto che la realtà ha molti più sfaccettature di quanto possiamo immaginare. Ad esempio, se vediamo una coppia litigare, non è detto che ci troviamo per forza di fronte ad un matrimonio in crisi. Questa è solo una parte momentanea della realtà e l'unione può continuare ad essere solida. L'altro giorno, ad esempio, stavo facendo una passeggiata al mare e ho visto molte coppie, famiglie e ragazzi giovani trascorrere serenamente del tempo insieme. Questo vuol dire che la felicità accade più spesso di quanto siamo propensi credere. Da parte mia, poi, il fatto di aver avuto un infanzia felice mi porta a scrivere di realtà più piacevoli. Il buffo è che le mie storie vengono etichettate come utopistiche, romantiche e illusorie, mentre uno scrittore di thriller e serial killer è considerato immediatamente realista. Però, se riflettiamo bene, quegli eventi drammatici sono molto meno probabili e plausibili di una quotidianità serena.
Grazie al suo lavoro, iniziato con il lavoro di Mr Bean, è riuscito ad esportare l'umorismo britannico. Ma gli inglesi sono veramente come li descrive lei?
Ovviamente non tutti sono così. Considerate che quando faccio il mio casting non perdo mai di vista le caratteristiche dei personaggi. Questo mi porta a scegliere con attenzione. Per Quattro matrimoni e un funerale, ad esempio, abbiamo trovato Hugh Grant dopo aver visionato settanta attori. Il segreto, però, credo sia rappresentato dal mio non essere inglese d'origine e non sentirmi tale. I miei genitori sono Australiani e siamo arrivati in Inghilterra quando avevo dieci anni. Solitamente, per mettere in evidenza alcune caratteristiche peculiari, ci vuole uno sguardo esterno innamorato. Ed è proprio quello che faccio io, mettendo nei miie personaggi gli elementi caratteriali che più mi hanno conquistato dal mio arrivo.