Si può considerare il cinema come la mia religione, perché è uno dei maggiori stimoli che ho per vivere. Il cinema ha quello stesso aspetto di devozione e di idolatria: in questo senso, è interamente religioso.
A un estremo, il camp scatenato e la gioiosa trasgressione di Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio; all'altro, la sommessa riflessione autobiografica velata di malinconia di Dolor y gloria. Nel mezzo, una delle carriere più importanti e variegate del cinema europeo: un percorso composto dai ventuno film realizzati da Pedro Almodóvar nell'arco di quarant'anni esatti. Film spesso diversissimi fra loro, talvolta collocabili addirittura su poli opposti, eppure tutti contraddistinti da una cifra stilistica che, con il tempo, si è definita in maniera sempre più precisa, pur senza smettere di evolversi e di addentrarsi in nuovi territori.
Nato il 25 settembre 1949 a Calzada de Calatrava, un piccolo comune castigliano nella provincia di Ciudad Real, e cresciuto nell'Estremadura per poi fuggire, raggiunta la maggiore età, nella ben più movimentata Madrid, Pedro Almodóvar ha riversato nel suo cinema numerosi frammenti della propria vita, rivisitati attraverso uno straordinario senso della narrazione e della messa in scena. E il regista spagnolo, che oggi compie settant'anni, continua ad essere celebrato fra i grandi maestri della nostra epoca: la sua ultima fatica, Dolor y gloria, ha ricevuto una strepitosa accoglienza dopo la sua presentazione allo scorso Festival di Cannes, mentre a fine agosto Almodóvar si è visto consegnare il Leone d'Oro alla carriera alla Mostra di Venezia.
Di volta in volta accogliente o provocatorio, dominato dall'intelletto o dagli impulsi, perfino all'interno dello stesso film, Pedro Almodóvar è un conglomerato di contrasti e di contraddizioni, da cui sono scaturite però delle indimenticabili pagine di cinema. Quelle pagine che, per il suo settantesimo compleanno, torniamo ora a sfogliare, per soffermarci su alcuni degli elementi-chiave della sua produzione: quelle "magnifiche ossessioni" che Almodóvar ha condiviso con noi per tanti anni, e che per fortuna non ha mai abbandonato...
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L'indiscreto fascino del peccato: fra libertà e trasgressione
Pedro Almodóvar non ha mai adottato un approccio militante o politico, perlomeno in senso stretto; eppure nei suoi film, specialmente quelli risalenti al primo decennio di attività, è impossibile non cogliere echi e sfumature della società dell'epoca. La Spagna degli anni Ottanta, dipinta da Almodóvar dal suo debutto da regista fino alla consacrazione di Donne sull'orlo di una crisi di nervi, è un paese reduce da quarant'anni di franchismo e impaziente di sperimentare l'improvvisa libertà del suo nuovo corso storico. E questa libertà Almodóvar la abbraccia in tutto e per tutto: in pellicole come Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio, Labirinto di passioni, L'indiscreto fascino del peccato e Che ho fatto io per meritare questo? si respirano un beffardo senso di anarchia e una spiccata voglia di trasgressione.
Prostitute e cantanti punk, sbandati e tossicodipendenti, casalinghe ribelli e suore immerse nel peccato: il cinema di Pedro Almodóvar è popolato di antieroi, di outsider in cerca di riscatto, descritti con uno sguardo privo di moralismi, ma animato al contrario da un'incondizionata empatia. E al carattere fieramente libero dei suoi personaggi corrisponde la sorprendente libertà formale dei suoi film di 'gioventù', svincolati dalle convenzioni dei generi e pervase invece da un'ironia che è uno dei tratti fondamentali del postmodernismo; un'ironia destinata a toccare vette assolute nel massimo esito del regista nel campo della commedia, il celeberrimo Donne sull'orlo di una crisi di nervi.
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Labirinti di passioni: erotismo, omosessualità e sfumature di noir
L'indole trasgressiva dei primi lavori di Almodóvar è stata declinata, ovviamente, anche in una dimensione erotica, con la spigliata libertà sessuale esibita dai suoi protagonisti nella cornice della Movida madrilena o in contesti ben più atipici: basti pensare a Sexilia, la popstar ninfomane di Cecilia Roth in Labirinto di passioni, alle parafilie del torero Diego Montes in Matador o agli incipit 'bollenti' di Che ho fatto io per meritare questo? e La legge del desiderio. Il desiderio, del resto, è la forza irresistibile a cui si abbandonano molti personaggi almodóvariani; e se nella fase iniziale della sua carriera il sesso è anche un atto politico, a partire dagli anni Novanta incontriamo il 'violento' romanticismo di Legami!, la torrida sensualità di Carne tremula, la scoperta dell'impulso sessuale in Dolor y gloria e un ventaglio di ulteriori sfumature di erotismo.
Ma in Pedro Almodóvar, che dal cinema classico (in particolare quello americano) ha mutuato la fascinazione per i noir e per Alfred Hitchcock, ci sono molte occasioni in cui l'eros risulta strettamente correlato alla suspense e al pericolo: dal primo esperimento in tal senso, con l'anomalo thriller Matador, all'intreccio fra giallo e melò de Gli abbracci spezzati, fino ad approdare alle torbide pulsioni de La pelle che abito, opera ai confini con il genere horror. Ma il connubio fra eros e noir è valido soprattutto per i film in cui predomina l'omosessualità al maschile: La legge del desiderio e La mala educación, pellicole in cui l'attrazione gay contiene un potenziale di minaccia, incarnato dagli hommes fatales di Antonio Banderas e Gael García Bernal.
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Le pelli che abito: anime e corpi in trasformazione
In un cinema così sfrontatamente carnale, in cui le passioni esplodono sullo schermo con forza dirompente, il corpo non può che costituire l'oggetto del desiderio per eccellenza, il fulcro attorno a cui ruotano ardori e gelosie dei personaggi di Almodóvar. Ma non si tratta solo di questo: gran parte della filmografia del regista è imperniata proprio sulla dicotomia fra l'aspetto sentimentale, riconducibile all'anima, e quello fisiologico e materico, il corpo appunto. Due elementi che, se messi a contatto, provocano un inesorabile corto circuito: la possessiva follia d'amore di Ricky in Legami!; la penetrazione del corpo inerme di Alicia da parte dell'infermiere Benigno Martín in Parla con lei; lo svenimento del giovanissimo Salvador Mallo di Dolor y gloria di fronte al corpo nudo di Eduardo.
Ma un altro leitmotiv dei film di Almodóvar è la natura transitoria e cangiante di alcuni di questi corpi: un perfetto corrispettivo, sul piano fisico, delle oscillazioni e della mutevolezza delle identità umane. Dalla Tina Quintero de La legge del desiderio alla Agrado di Tutto su mia madre, fino alla Vera de La pelle che abito (forse il vertice di questa indagine sul corpo e l'identità), nel cinema di Almodóvar non mancano personaggi transessuali e transgender, simbolo di una 'rinascita' che possa obliterare il passato. Senza dimenticare come, ne La mala educación, Gael García Bernal sia al tempo stesso uomo e donna, autore e protagonista, vittima e dark lady: un'identità frammentata ed ambigua, a cui corrisponde un corpo denudato, travestito in abiti femminili o reso feticcio cinematografico.
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Tutto sulle madri: le donne di Pedro
Volitive e intraprendenti, insoddisfatte e nevrotiche, tenere e spegiudicate, generose e traboccanti d'amore: le donne di Pedro Almodóvar esprimono una gamma pressoché inesauribile di atteggiamenti, emozioni e modi di essere. Dagli esordi a oggi, il cinema di Almodóvar si è associato ai volti e al talento di attrici come Carmen Maura, Cecilia Roth, Marisa Paredes, Victoria Abril e Penélope Cruz, per citare solo le più note. E fra le varie manifestazioni dell'universo femminile, a detenere un posto centrale nell'immaginario e nella poetica almodóvariani è senz'altro la figura materna. Quando nel 1999 si spegne sua madre, Francisca Caballero, Almodóvar è nel pieno del successo mondiale di Tutto su mia madre: un film considerato un punto di svolta nel suo itinerario artistico, uno dei migliori film di Pedro Almodovar, in cui il concetto di maternità si carica di innumerevoli valenze mediante il personaggio di Manuela, che il ruolo di madre se lo vede strappar via di colpo con la morte del figlio Esteban.
Della maternità, Almodóvar evidenzia in primo luogo la funzione salvifica: dopo aver perso Esteban, la Manuela di Cecilia Roth troverà altre persone su cui dirigere le proprie premure, a partire dalla giovane suora Rosa; in Tacchi a spillo, il risentimento di Rebeca verso la madre Becky non basta a spezzare il legame fra le due donne, a dispetto dei drammi in corso; in Parla con lei, Alicia si sveglierà dal coma - e ricomincerà a danzare - in seguito a una gravidanza; Volver fa della Raimunda di Penélope Cruz una radiosa "madre coraggio", e raddoppia la presenza del rapporto madre/figlia introducendo la figura di Irene; mentre la Julieta del film omonimo rievoca il suo passato nello strenuo tentativo di recuperare il ruolo materno. E infine c'è Dolor y gloria, in cui la Jacinta di Penélope Cruz, ma anche della veterana Julieta Serrano, incarna la più compiuta e commovente dichiarazione d'affetto rivolta da Pedro Almodóvar alla propria madre... e, di riflesso, a tutte le madri del mondo.