Volto rilassato e sorridente, camicia floreale a maniche corte e la loquacità che lo contraddistingue per tradizione: Pedro Almodóvar si è presentato così, venerdì pomeriggio, alla masterclass organizzata alla Mostra del Cinema di Venezia 2019, dopo aver ricevuto il Leone d'Oro alla carriera della settantaseiesima edizione del Festival. Alla soglia dei settant'anni (li festeggerà il prossimo 25 settembre) e sull'onda del successo mondiale tributato alla sua ultima fatica, il personalissimo ed autobiografico Dolor y gloria, Almodόvar è partito dalle domande di Piera Detassis per raccontare al pubblico e alla stampa alcuni aspetti del proprio lavoro, senza rinunciare neppure a una succulenta nota polemica legata proprio alla Mostra di Venezia...
Pedro Almodóvar e la legge del desiderio
Partiamo da uno dei temi centrali del suo cinema, il desiderio, presente anche in Dolor y gloria.
Il desiderio è fondamentale, e Dolor y gloria racconta anche l'origine del desiderio. C'è una scena in cui il protagonista, da bambino, avverte per la prima volta la pulsione del desiderio, qualcosa a cui ancora non sa dare un nome. In un'altra scena, invece, il personaggio interpretato da Antonio Banderas ritrova il grande amore della sua vita, un amore distrutto dalla droga: quando i due uomini all'improvviso si baciano, noi e loro ci rendiamo conto che la loro passione è ancora viva.
A proposito di desideri, quando ha esaudito il suo primo desiderio in campo professionale?
La mia prima macchina da presa è stata una Super 8 acquistata nel 1971 con il mio primo stipendio; all'epoca lavoravo come impiegato per una ditta telefonica. Mi ero trasferito a Madrid per fare il regista, ma l'unica scuola di cinema era stata chiusa da Francisco Franco, per cui quella Super 8 è stata la mia unica scuola: ho cominciato a sperimentare, almeno fino a quando non ho potuto girare con mezzi più sofisticati. Il cinema può essere studiato nelle scuole, ma si impara esclusivamente facendolo. È importante scoprire il proprio linguaggio: se volete fare cinema non aspettate un diploma, ma guardate dentro di voi e, se avete storie da raccontare, fatelo! E poi guardate anche intorno a voi, l'importante è essere sempre sinceri.
In qualità di regista, quali sono stati i suoi principali riferimenti?
Da piccolo vivevo in un piccolo paese dell'Estremadura in cui la mia famiglia si era trasferita, proprio come in Dolor y gloria, e l'unica occasione per vedere i film era il cinema estivo in piazza: venivano proiettati tanti spaghetti western, che all'epoca andavano per la maggiore, ma anche film di Luis Buñuel, Michelangelo Antonioni, Orson Welles. Poi a dieci anni ho iniziato a frequentare una scuola a Cáceres, una città più grande: lì ho avuto l'occasione di vedere anche film contemporanei e di avvicinarmi al cinema americano. A quell'epoca mi sono innamorato del Technicolor, che per una questione chimica rendeva i colori vibranti e irreali: questa esagerazione del colore era perfetta per i miei personaggi.
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Le donne, il gazpacho e la censura
Come mai già nei suoi primi film troviamo protagoniste femminili così forti e agguerrite?
I miei personaggi esprimono spesso il cosiddetto female empowerment. In Che ho fatto io per meritare questo?, solo una donna avrebbe potuto usare una coscia spolpata di prosciutto come un'arma, per poi cucinarla in modo da farla sparire; fra l'altro il prosciutto è un elemento-cardine della cucina spagnola. In Donne sull'orlo di una crisi di nervi, invece, avviene una sfida fra i personaggi di Julieta Serrano e Carmen Maura: Julieta Serrano, impazzita per amore, è armata di due pistole, ma Carmen Maura ha un bicchiere pieno di gazpacho, e quel gazpacho si rivelerà un'arma più potente delle pistole.
François Truffaut affermava che ogni film dovrebbe insegnare qualcosa, e infatti in Baci rubati viene spiegato come spalmare la marmellata senza rompere le fette biscottate. Ricordandomi di Truffaut, ho inserito una scena in cui Carmen Maura illustra la ricetta del gazpacho, una ricetta che avevo chiesto alle mie sorelle. In America non sapevano cosa fosse il gazpacho, e dopo l'uscita del film, nei menù di molti ristoranti americani ho visto riportata la stessa ricetta del gazpacho di Carmen Maura!
A questo proposito, oltre alla ricetta del gazpacho cos'altro ha insegnato attraverso i suoi film?
Ho molto pudore al riguardo, non riesco a pensare di poter dare lezioni a qualcuno. Però nei miei film i personaggi si trovano spesso in situazioni assurde e deliranti, ma mantengono una grande libertà e non si fanno influenzare dai pregiudizi, a prescindere dalla propria classe sociale. Hanno una grande autonomia morale.
Si ricorda la soddisfazione delle sue prime esperienze ai grandi festival internazionali?
Me la ricordo bene, ma non vedo quello che ho fatto come una sfida, non valuto la vita in termini di vittoria e di sconfitta. Però la mia partecipazione al Festival di Venezia 1983, con L'indiscreto fascino del peccato, è stata la mia prima vittoria contro la censura, rappresentata dal direttore della Mostra, Gian Luigi Rondi. Rondi, che apparteneva a Democrazia Cristiana, mi accusò di aver fatto un film anticlericale e non voleva prenderlo a Venezia; la questione però arrivò fino alla stampa, e per il clamore causato fu impossibile non programmare la pellicola. Quello fu il mio battesimo come regista internazionale, ma anche la mia prima grande battaglia contro l'intolleranza democristiana.
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L'evoluzione del cinema di Almodóvar
Quali motivazioni la spingono ad adottare determinati stili di regia?
Fare cinema significa combinare insieme varie discipline. Le scelte di regia dipendono da cosa vuoi raccontare: a volte perfino la semplicità di un primo piano può racchiudere l'essenza di un film. Io mi muovo sulla base dell'intuizione: in Julieta e in Dolor y gloria mi sono avvicinato ancora più del solito agli attori con la macchina da presa, mentre ho ridotto gli aspetti barocchi dei miei primi film.
Pensa che il suo cinema in qualche modo sia cambiato nel corso del tempo?
Sì, i miei film sono cambiati perché riflettono la mia vita e quella del mio paese: negli anni Ottanta in Spagna la democrazia era arrivata da poco, quindi nei miei film di quell'epoca si respira un grande senso di libertà. Il fiore del mio segreto ha segnato invece una svolta per il mio cinema, un cambiamento proseguito con i film successivi e culminato con La mala educación: queste opere raccontano chi sono e come sono cambiato. Con Julieta e Dolor y gloria il mio stile è diventato molto più austero.
Come mai l'arte pittorica riveste tanta importanza nei suoi film?
L'arte definisce i miei personaggi e me stesso. In Dolor y gloria Antonio Banderas ha molti quadri appesi alle pareti, e i quadri mostrano la sua 'gloria': sono dipinti costosi, ma anche la sua unica compagnia in un'esistenza di solitudine, tanto che il protagonista non vuole separarsene. Del resto i quadri, il cinema e i libri sono la migliore compagnia quando si tratta di riempire il vuoto.
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