Da Il filo nascosto a Magnolia: il cinema di Paul Thomas Anderson in 8 grandi sequenze

In occasione dell'uscita del capolavoro "Il filo nascosto", ripercorriamo insieme carriera e poetica del raffinato cineasta statunitense prendendo spunto da otto straordinarie sequenze tratte dai suoi film.

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Inutile girarci attorno: a quarantasette anni e con otto lungometraggi di finzione alle spalle, Paul Thomas Anderson è a tutti gli effetti un maestro del cinema contemporaneo. Uno dei pochissimi che si può essere certi fin d'ora sarà ricordato e studiato nei decenni a venire per la straordinaria capacità di coniugare abilità registiche fuori dal comune e una sbalorditiva densità di temi, suggestioni e atmosfere.
Fra i registi in attività, nessuno come lui può vantare una filmografia tanto varia quanto incredibilmente continua sul piano della qualità. A differenza di diversi talentuosi colleghi emersi nel panorama cinematografico degli ultimi due decenni, Anderson sino a questo momento ha sempre proposto opere di un livello assai elevato, spesso anche molto differenti fra loro per approcci stilistici e narrativi eppure accomunate dall'essere al tempo stesso profonde, spiazzanti, originali e complesse. Errare è umano e tanti grandi registi nella storia del cinema sono incappati in film meno riusciti o ispirati rispetto ai loro standard. Al cineasta losangelino, in ben ventidue anni di attività, non è ancora accaduto.

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Chi avrebbe potuto immaginare, dopo aver visto sul finire degli anni Novanta Boogie Nights e Magnolia, che Anderson sarebbe stato capace di realizzare film così straordinari e per molti aspetti distanti da quelli dei suoi esordi come Il petroliere, The Master, Vizio di forma e l'ultimo Il filo nascosto?
L'eclettismo, la capacità di rischiare continuamente reinventandosi e di mutare il proprio linguaggio espressivo a seconda delle esigenze narrative sono le principali caratteristiche di un vero grande autore. E, senza timore di poter essere smentiti, ci sentiamo di dire che in ciò Anderson è unico nell'ambito del cinema odierno.

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Il filo nascosto: Daniel Day-Lewis e Vicky Krieps in un momento del film
Il filo nascosto: Daniel Day-Lewis e Vicky Krieps in un momento del film

In occasione dell'uscita de Il filo nascosto, abbiamo deciso di omaggiare questo fuoriclasse della macchina da presa (il cineasta californiano è anche sempre autore unico delle sceneggiature, cosa ormai piuttosto rara) selezionando otto sequenze che ci permettessero di andare gradualmente alla scoperta della sua peculiare poetica. Otto sequenze tratte da altrettanti film, presentate in ordine cronologico per dare conto dell'evoluzione di temi e linguaggi. In tale contesto, per il proprio carattere esplicitamente sperimentale e ludico (Anderson non ha voluto neppure inserire il proprio nome come regista nei titoli di coda) abbiamo scelto di lasciare fuori Junun, l'affascinante documentario del 2015 girato in India che mostra lo sviluppo del significativo progetto musicale di Jonny Greenwood e Shye Ben Tzur.
Giunti a questo punto, non resta davvero che augurarvi buon viaggio nel cinema di Paul Thomas Anderson e buona visione.

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Sydney (1996)

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Quando ha girato Sydney Paul Thomas Anderson aveva solo venticinque anni. L'opera prima, presentata al Sundance (sviluppata proprio nel contesto di uno dei laboratori della kermesse di Robert Redford) e poi nella prestigiosa sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes, è lontana dalle notevoli ambizioni delle opere successive del regista originario della San Fernando Valley. Appare però chiaro fin da subito che ci si trova davanti a un giovane regista e sceneggiatore che ha tutte le carte in regola per diventare un autore importante.

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La storia del rapporto tra John (John C. Reilly), un giovane squattrinato alla ricerca dei soldi per celebrare il funerale della madre e Sydney (Philip Baker Hall), un misterioso uomo che si propone di aiutarlo, è ben scritta, coinvolgente e anticipa diversi temi che ritroveremo nei successivi Boogie Nights e Magnolia (il disperato bisogno di una figura paterna di riferimento, la profonda necessità di redenzione, la ricerca dell'amore, l'inesorabile tendenza del passato a riemergere se non debitamente affrontato).
Per quanto lo stile anche per motivi di budget sia nel complesso essenziale, Anderson già inizia a mostrare la propria passione per le inquadrature lunghe in movimento a seguire i personaggi, di cui questo bel long take accompagnato dalla colonna sonora di Jon Brion è un ottimo esempio.

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Boogie Nights (1997)

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Dalle inquadrature lunghe o long takes, qui passiamo direttamente a un piano sequenza, vale a dire un'inquadratura lunga che copre un intero segmento narrativo. E non stiamo parlando di una sequenza come tante, visto che l'incipit di Boogie Nights viene generalmente considerato tra gli esempi più alti di piani sequenza nel cinema statunitense degli ultimi vent'anni.
Questa sequenza magistrale che si alimenta di movimenti di macchina sinuosi e fluidi ha una funzione narrativa ben precisa: in poco meno di tre minuti, infatti, introduce buona parte dei personaggi principali del film, di cui condivideremo aspirazioni, passioni, difficoltà e inquietudini.

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Significativamente, il primo stacco arriva dopo che viene inquadrato Eddie Adams/Dirk Diggler (Mark Wahlberg), il quale si scambia degli sguardi con Jack Horner (Burt Reynolds). Il rapporto tra l'aspirante pornoattore e il regista di film per adulti sarà uno dei fulcri dell'opera seconda di Anderson, un mirabile affresco corale sul mondo del porno losangelino a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, raccontato con malinconica ironia e sorprendente umanità.

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Magnolia (1999)

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Due anni dopo Boogie Nights arriva Magnolia, uno dei grandi capolavori del cinema nordamericano degli anni Novanta. Ancora una volta un film corale, in questo caso però ambientato nella Los Angeles contemporanea. In tre tesissime ore di narrazione Anderson rappresenta con inusitata forza espressiva un mondo in cui dominano forti emozioni, sofferenze indicibili e forse, alla fine, inaspettate redenzioni. Davvero numerosi sono i momenti memorabili di questo film che riflette sulla vita, la morte e l'amore con una grazia fuori dal comune: solo per citarne alcuni, quello in cui tutti i personaggi cantano uno dopo l'altro Wise Up di Aimee Mann, il confronto sul letto di morte tra Frank T.J. Mackie (Tom Cruise) e il padre Earl Partridge (Jason Robards), il momento in cui lo stesso Cruise entra in crisi durante l'intervista di una giornalista e poi sul palco del suo show maschilista, il finale che vede protagonisti gli innamorati Jim (John C. Reilly) e Claudia (Melora Walters). E poi, naturalmente, la pioggia delle rane.

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Dovendo concentrarci su una singola sequenza, però, scegliamo di proporvi l'immersivo prologo narrativo in cui vengono presentati tutti i personaggi del film, che segue il celebre incipit nel quale sono narrati tre incredibili episodi in cui il ruolo del caso è determinante. Qui siamo agli antipodi rispetto alla sequenza di apertura di Boogie Nights: al posto di un piano sequenza c'è una sequenza mozzafiato di sette minuti montata in maniera incalzante e dominata da movimenti di macchina continui e spesso frenetici. Il tutto al fine di rappresentare sul piano stilistico il tumulto delle esistenze dei vari personaggi. Non a caso, l'unico che ci viene inizialmente mostrato con macchina da presa rigorosamente fissa è insieme all'infermiere Phil (Philip Seymour Hoffman) il più equilibrato tra gli abitanti del mondo di Magnolia, il già citato poliziotto Jim.
L'impatto vigoroso che la sequenza ha sullo spettatore è dovuto anche alla ammaliante voce di Aimee Mann che canta One di Harry Nilsson: le parole della cantautrice - One is the loneliest number that you'll ever know/One is the loneliest number/That you'll ever do/One is the loneliest number much, much worse than two/One is a number divided by two - sottolineano in perfetta armonia con le immagini lo stato di profonda solitudine dei diversi personaggi.

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Ubriaco d'amore (2002)

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In molti, dopo Boogie Nights e Magnolia, lo consideravano un regista di talento ma fin troppo incline alla pomposità e alla magniloquenza, incapace di muoversi lungo le coordinate di una storia semplice che non esibisse incroci di molteplici linee narrative. La risposta di Paul Thomas Anderson non tarda ad arrivare con Ubriaco d'amore, una storia piccola piccola della durata di appena 90 minuti inclusi i titoli di coda, che racconta le surreali disavventure di Barry (Adam Sandler), un uomo goffo e disadattato la cui vita cambia radicalmente grazie all'incontro con Lena (Emily Watson), una donna graziosa e angelica.

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Straordinario inno alla forza redentrice dell'amore, il film del 2002 è una delle love story cinematografiche più originali e inventive degli anni Duemila. Anche qui, come al solito quando si ha a che fare con un lavoro di Anderson, per proporvi una sequenza abbiamo solo l'imbarazzo della scelta. Potremmo mostrarvi la sequenza dello scatto d'ira di Barry durante la cena con le sorelle arpie e invadenti, quella del primo bacio tra Barry e Lena sulla soglia della porta dell'appartamento di lei o ancora quelle degli accesi duetti fra Barry e il materassaio Dean Trumbell (Philip Seymour Hoffman).
Optiamo invece per questa breve e deliziosa scena dell'incontro tra Barry e Lena alle Hawaii sulle note di He Needs Me cantata da Shelley Duvall (ripresa da Popeye - Braccio di Ferro di Robert Altman), che si conclude con un bacio tra i protagonisti mostrati in silhouette e ben rappresenta la alquanto bizzarra atmosfera del film.

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Il petroliere (2007)

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Se Magnolia è uno dei grandi capolavori del cinema statunitense degli anni Novanta, Il petroliere ricopre lo stesso ruolo nel contesto del primo decennio degli anni Duemila. Ed è con questo film che Anderson inizia ad essere riconosciuto pressoché unanimemente dalla critica di tutto il mondo come uno dei più importanti registi in attività a livello internazionale. Le voci di coloro che lo apostrofavano come un semplice emulo di Robert Altman sono destinate a disperdersi definitivamente.
Ambientato a cavallo tra il XIX e il XX secolo, Il petroliere propone uno sguardo impietoso, privo di banali edulcorazioni, sull'avidità, l'egoismo e l'ipocrisia che albergano nell'animo umano, riflettendo al contempo con lucidità e disincanto su alcuni aspetti nodali della cultura americana legati al capitalismo e alla religione.

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Tra le altre cose, il film rappresenta un fondamentale momento di passaggio nella filmografia del nostro regista, il quale d'ora in avanti si concentrerà su uno stile più rigoroso e misurato e su un tipo di narrazione tendente all'ellissi e al non detto.
Ne Il petroliere l'incedere fluido e lento della macchina da presa alla ricerca delle linee orizzontali o verticali di movimenti umani, trivelle, tubature o cinghie, si sposa perfettamente con la straordinaria musica per orchestra composta da Jonny Greenwood. Questa lunga e tesa sequenza dell'incendio dell'impianto di perforazione è un pezzo di bravura da togliere il fiato.

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The Master (2012)

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Con The Master l'evoluzione stilistica e narrativa del cinema di Paul Thomas Anderson cui abbiamo accennato poc'anzi inizia a materializzarsi con particolare evidenza. Il film racconta le vicende del tormentato e mentalmente instabile Freddie Quell (Joaquin Phoenix), il quale tornato dalla seconda guerra mondiale fatica a integrarsi nella società. In questo momento di profonda crisi personale, l'uomo trova un inatteso punto di riferimento in Lancaster Dodd (Philip Seymour Hoffman), il carismatico fondatore di un movimento denominato "The Cause" che si prefigge di liberare gli uomini dagli istinti animali mediante improbabili metodi spacciati per scientifici.

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Il rapporto tra Quell e Dodd, su cui l'intero film è incentrato, inizia a svilupparsi in profondità a partire dalla meravigliosa sequenza di 15 minuti in cui il secondo sottopone il primo a quello che definisce un "procedimento informale", vale a dire una pratica estenuante in cui si chiede all'interlocutore di rispondere a delle insistenti domande, in alcuni passaggi persino senza sbattere le palpebre. Come potrete vedere, la sequenza è composta quasi esclusivamente da primi piani e campi e controcampi, tutti girati con macchina fissa. Questo al fine di porre al massimo grado l'accento sugli scambi dialogici tra i due protagonisti, esaltando al contempo le maiuscole interpretazioni di Phoenix e Hoffman. Gli unici lievi movimenti di macchina sono presenti in un paio di occasioni, nei momenti in cui Quell ricorda ad occhi chiusi gli incontri con la giovane Doris di cui è a suo modo innamorato. Una grande lezione di regia minimalista al completo servizio delle esigenze narrative.

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Vizio di forma (2014)

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Primo adattamento cinematografico di un romanzo di Thomas Pynchon, la cui narrativa densa e labirintica sembrava fino a quel momento inadattabile sul grande schermo, Vizio di forma è un variopinto, vitale e commovente racconto onirico che riflette sulla fine della cultura hippie statunitense degli anni Sessanta.
Siamo nel 1970 a Los Angeles e il film narra le eccentriche vicende dell'investigatore privato Larry 'Doc' Sportello (Joaquin Phoenix) alle prese con un'indagine che, mano a mano che la storia procede, assume connotati sempre più enigmatici.

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Il profondo senso di malinconica che caratterizza l'opera nel suo complesso è ottimamente rappresentato da questa suggestiva e poetica sequenza in cui Doc ricorda un intenso momento passato in compagnia dell'amata Shasta (Katherine Waterston), avvenuto poco prima che la loro relazione giungesse al termine. La breve corsa sotto la pioggia alla ricerca di un improbabile luogo dove comprare della droga sulle note di Journey Through the Past di Neil Young, ripresa con un suggestivo movimento di macchina in avanti e indietro, è fra le immagini indelebili di quello che è a tutti gli effetti uno dei capolavori cinematografici degli ultimi anni.

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Il filo nascosto (2017)

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Giungiamo alla fine di questo nostro viaggio con l'ultima straordinaria opera di Paul Thomas Anderson, nei cinema italiani da giovedì scorso. Il filo nascosto è un'opera d'arte sublime e imponente incentrata sulla intensa e dolente storia d'amore tra il geniale e patologicamente ossessivo stilista Reynolds Woodcock (Daniel Day-Lewis) e la ex cameriera Alma (Vicky Krieps), figura complessa e problematica divenuta sua musa.
Ambientato nella Londra degli anni Cinquanta, il lungometraggio del quarantasettenne cineasta losangelino è una gioia per gli occhi dello spettatore, un lavoro sopraffino in cui ogni inquadratura è un vero e proprio capolavoro di finezza formale. In un tale contesto, non è semplice isolare una sequenza in particolare, ma la scena a nostro avviso più potente e toccante è quella dell'aspro confronto tra Reynolds e Alma durante la cena a sorpresa da lei appositamente organizzata per lui.

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Il filo nascosto: Vicky Krieps in una scena del film
Il filo nascosto: Vicky Krieps in una scena del film

Essendo il film uscito in sala da pochi giorni, non è disponibile un video da mostrarvi e in ogni caso eviteremo di andare nello specifico per non rischiare di rovinarvi la sorpresa. Basti dire che in modo simile a quanto visto in precedenza per la sequenza di The Master del "procedimento informale", qui Anderson lascia alle intensissime interpretazioni di Daniel Day-Lewis e Vicky Kripes tutto lo spazio di cui hanno bisogno. Facendo ricorso a primi piani e inquadrature ravvicinate dalla notevole bellezza estetica, i due personaggi vengono messi letteralmente a nudo, anche grazie a dei dialoghi raffinati e penetranti capaci di smuovere nel profondo le emozioni dello spettatore. Una scena madre magistrale, questa, dopo la quale la relazione tra i protagonisti prenderà una direzione inaspettata e conturbante.

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