La tempesta sotto la quiete. Basterebbero quattro parole per riassumere il destino ricorrente di Benedict Cumberbatch. Con quel volto così enigmatico, per certi versi imperturbabile e glaciale, il talentuoso attore londinese ha spesso dato vita ad ossimori umani. All'apparenza distaccati, altezzosi, avvolti da un'aria di legittima superiorità, i suoi Doctor Strange, Sherlock, Alan Turing e Julian Assange hanno mostrato poco per volta i tumulti che ne scuotevano e disturbavano l'animo. Patrick Melrose non fa eccezione. Eccoci ancora una volta nella tempesta sotto la quiete. Eccoci davanti ad un uomo instabile, che alterna momenti di fredda assenza a raptus di irrefrenabile caos. Tratta dal ciclo di romanzi (quasi) autobiografici I Melrose di Edward St. Aubyn, la miniserie scritta da David Nicholls e trasmessa da Sky Atlantic ha nel suo assoluto protagonista la sua ragion d'essere. Un uomo che sopravvive a se stesso, nemico della sua stessa ombra, costretto a vivere nelle sue vene il fardello della dipendenza dalla droga e dagli eccessi.
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Nonostante un ritmo concitato e un registro brillante che deborda spesso sopra le righe, Patrick Melrose nasconde un cuore nero. Scandendo cinque momenti di vita emblematici, lo show racconta il trauma insuperabile di una persona segnata per sempre da un'infanzia balorda, senza mai condannare o tifare per Patrick. Un lavoro di scrittura audace e arduo, perché in perenne bilico tra grottesco e dramma. Un lavoro che ha impegnato il veterano David Nicholls in un certosino lavoro di adattamento, alla ricerca del giusto tono e del giusto tatto. L'autore, noto soprattutto per lo straziante romanzo One Day (da cui è tratto il celebre film con Anne Hathaway e Jim Sturgess), deve avere una passione per i momenti decisivi della vita.
Così come i due innamorati di One Day avevano nel 15 luglio di ogni anno il loro appuntamento fisso, Patrick Melrose non è un racconto lineare, ma una galleria fotografica che cattura cinque periodi assai significativi della balorda esistenza del suo protagonista. Ma come ci si approccia a un uomo così complesso in fase di scrittura? Come mai le serie tv hanno così tanto ascendente sugli spettatori? Abbiamo davvero assistito al sorpasso della serialità televisiva? Lo abbiamo chiesto a David Nicholls nel corso di un'intervista in occasione del Road to Fest, il festival delle serie tv milanese in programma dall'11 al 14 ottobre, in cui abbiamo scoperto anche i suoi gusti di spettatore e una sorprendente allergia alle storie che si trascinano peggio del signor Melrose.
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Sceneggiare il piccolo schermo
Spesso si parla di Golden Age delle serie tv, grazie a storie mature, azzardi narrativi, sperimentazioni visive e grandi attori arrivati dal cinema. Lei è d'accordo con questa definizione? E quali sono secondo lei le serie che hanno dato via a questa specie di rivoluzione?
Onestamente non amo la televisione quanto dovrei, soprattutto se penso al mio lavoro. Il problema è che adesso ci sono tantissime serie, anche molto belle, ma a volte vanno avanti per troppo tempo, hanno un calo, oppure hanno un finale deludente. Di solito sono po' cauto a dedicare tante ore della mia vita a una serie tv, perché ho il timore di rimanere con l'amaro in bocca alla fine. Però, ammetto di aver amato profondamente Breaking Bad, che credo sia uno dei prodotti meglio realizzati di sempre. Ho una grande passione anche per Il trono di spade e I Soprano, ma in generale preferisco le serie che non si trascinano per anni e anni. Infatti, a ben pensarci, anche Patrick Melrose è un racconto autosufficiente, che si esaurisce nell'arco di soli cinque episodi. Non potrebbe mai esserci un seguito.
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Lei ha iniziato a scrivere per la televisione ormai 18 anni fa. Come è cambiata la scrittura per la tv nel corso degli anni?
Oh, questo è un argomento molto interessante. Adesso puoi essere molto più maturo, e trattare il pubblico in maniera decisamente più adulta. Devi sapere che in Gran Bretagna c'era una sorta di coprifuoco alle nove. Prima delle nove di sera non potevi parlare di determinate cose o mostrarne altre. Ora è tutto diverso. Ora puoi trattare il pubblico adulto da pubblico adulto. Si è perso il concetto della famiglia che si riunisce davanti alla tv. E poi direi che l'on demand ha cambiato il modo di scrivere: adesso puoi azzardare molto di più ed essere più scioccante. Certo è sbagliato essere scioccanti per forza, ma adesso puoi andare oltre molti confini ed essere molto più libero. Credo che sia anche una questione di budget. Prima, quando ho iniziato a scrivere per la tv, le risorse erano più misurate, così in fase di scrittura dovevi tener conto che la storia si sarebbe svolta sempre nello stesso set, con gli stessi pochi personaggi. Patrick Melrose è un esempio perfetto di come adesso si siano evolute le cose. Il nostro show cambia di continuo.
Cambiano le epoche, cambia la fotografia, cambiano il tono e lo stile del racconto. Va detto che anche il pubblico, di conseguenza, ha cambiato le sue aspettative quando è davanti al piccolo schermo. Lo spettatore, ora, vuole vivere un'esperienza molto più vicina a quella cinematografica in termini di qualità della messa in scena e di scrittura. Infatti, io scrivo anche per il cinema, e non noto alcuna differenza rispetto alla televisione. Sia chiaro, non sto dicendo che le vecchie serie tv fossero noiose, perché spesso queste limitazioni stimolavano molta creatività o agevolavano un impegno politico che forse oggi si è un po' smarrito. Adesso ci sono tante possibilità in più, il che agevola un tono epico nella narrazione. E non intendo epico in stile il Trono di Spade, ma epico come lo era il romanzo vittoriano, ovvero un racconto ricco di personaggi, di storie che si intrecciano e di temi diversi. Quando si riesce a mettere insieme tutto questo, si dà vita a qualcosa di magico.
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Il fascino degli antieroi
Walter White, Don Draper, Tony Soprano, Jaime Lannister. Ormai gli spettatori amano gli antieroi. Che cosa gli rende così affascinanti secondo lei?
È vero che ormai le più belle serie tv parlano di brutte persone. Però, da scrittore, ti dico che è molto più interessante scrivere di un cattivo che di un eroe. L'eroe è prevedibile e banale, mentre un antieroe ti intriga, perché non sai mai cosa aspettarti da lui. È difficile tenere il pubblico sulle spine davanti a un comportamento virtuoso. Il segreto sta nello scioccare settimanalmente lo spettatore attraverso queste persone spesso deprecabili. Questo non vuol dire che nel mondo dell'intrattenimento dobbiamo per forza esagerare con la pantomima del cattivo e dipingere personaggi che sono cattivi e basta. È meglio dipingere qualcosa in chiaroscuro, raccontare di persone che vogliono essere migliori di come sono. Penso a Walter White, che in realtà vorrebbe essere un bravo padre o a Tony Soprano, che magari vorrebbe finalmente uscire dai affari loschi. Allo stesso modo il nostro Patrick Melrose vuole fare pace col suo passato. Anche quando Patrick si comporta in maniera spregevole, lui ha un desiderio di redenzione. Sai, il puramente buono e il puramente cattivo non hanno tante sfumature da raccontare, invece quando inserisci un comportamento negativo con uno spiraglio di miglioramento, riesci davvero a intrattenere il pubblico.
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A proposito di antieroi, definirebbe Patrick Melrose un antieroe? E in che maniera questo personaggio riesce a conquistare l'empatia del pubblico?
Direi che Patrick è sia un antieroe che una vittima. Ed è chiaro che ci sia una connessione tra le due cose. È importante ricordare sempre al pubblico il perché delle sue azioni e dei suoi atteggiamenti. Per questo, in fase di scrittura, ci ho tenuto molto a ribadire uno schema di "causa e effetto". La sua esperienza colpisce molto perché molte persone potrebbero anche riconoscersi nel suo percorso di dipendenza e di trauma. Anche quando quest'uomo respingente si comporta in maniera snob o da manipolatore che si autocommisera, in lui batte forte il desiderio di sfuggire a questo mondo dove è quasi impossibile essere integerrimi. Forse gli antieroi non chiedono altro che essere compresi.