Dopo aver portato in laguna il suo precedente film Gabrielle, Patrice Chéreau torna dopo quattro anni alla Mostra del Cinema di Venezia con Persécution, dramma quotidiano di un uomo che non riesce a sentire l'amore di chi lo circonda, in primis quello della sua ragazza, che sente ogni giorno che passa più lontana. Ci proverà anche un uomo un po' folle e perdutamente innamorato di lui a scuoterlo, finendo col diventare solo una fastidiosa ossessione. Anche stavolta l'accoglienza per il film, in concorso, di Cheréau da parte della stampa accreditata non è delle migliori, con qualche volgare fischio volato al termine della sua proiezione. L'Italia si dimostra ancora una volta incapace di confrontarsi con un film parlato, avvolto dalle tenebre dei suoi protagonisti, a parere di chi scrive un'opera di rara bellezza che sa pennellare in maniera sublime i suoi personaggi e i loro tormenti. Ad accompagnare il film al Lido il regista e i due protagonisti maschili, Romain Duris e Jean-Hugues Anglade, mentre si collega telefonicamente solo per un breve saluto Charlotte Gainsbourg, impegnata in Australia sul set del suo nuovo film.
Patrice Chereau, come giudica il personaggio di Daniel, quest'uomo così tormentato da sfiorare la follia?
Patrice Chereau: Daniel potrebbe essere qualsiasi persona, perché è un personaggio normale nella sua follia, nella sua sofferenza, nella preferenza e nell'esigenza che ha del dolore. E' uno come noi, come me, una persona di cui conosco bene il dolore perché anch'io come lui ho sofferto nello stesso modo.Durante il film, Daniel dice di non poter amare senza paura. Da dove viene questa paura?
Patrice Chereau: La paura di di cui parla è una malattia, un'infelicità, un dolore di amare che possiamo condividere tutti. Quel pazzo dice cose molto sensate, è così vicino alla sua verità che sa dirle senza ostacoli.
Un tema ricorrente nella pellicola è quello della costruzione con il protagonista impegnato nella ristrutturazione di un appartamento. In che modo questo aspetto contribuisce a definire il carattere del protagonista?
Patrice Chereau: C'è una metafora evidente nei cantieri in cui lavora ed è un uomo in cantiere lui stesso, in costruzione. Alla fine del film mi dico che quest'uomo sta meglio. Nella scena della separazione tornano in superficie i suoi demoni, ma riescono finalmente a parlarsi e a separarsi senza dolore. In generale preferisco che una separazione sia più terribile, ma in questo caso ero sicuro che Daniel sarebbe stato meglio con questo allontanamento più sereno. Ho fatto tutto il film perché volevo che Daniel stesse meglio.C'è però anche un lato effimero, provvisorio della vita sotto forma di cantiere, come se non ci fosse nulla di certo e di definitivo.
Patrice Chereau: Mi riconosco in questo lato effimero. Daniel è una persona alla ricerca di una ragione di vita senza la certezza di trovarla. E' importante per lui trovare qualcosa che permetta di resistere giorno dopo giorno. L'idea del cantiere in costruzione non significa che non si costruisca qualcosa di definitivo, ma c'è anche un'idea di distruzione. La malattia di Daniel la ritroviamo anche nel fatto che reclama presenza, prove d'amore, quando poi la sua ragazza gli dà qualsiasi prova del suo amore. Lui però è una persona che vive l'assenza come qualcosa di definitivo, come fosse un lutto. Nella scena dell'incidente di moto mettiamo Daniel di fronte a una vera scomparsa per vedere come reagisce quando qualcuno che non conosce dopo poco muore di fronte a lui.
Il personaggio di Jean-Hugues Anglade è definito come il "lunatico". In cosa si differenza la sua follia da quella di daniel?
Patrice Chereau: Il suo personaggio non ha nome e non ne ha bisogno, perché ha una sua pazzia che è quella comune a tanta gente. Solo che in questo caso è immediatamente visibile: il suo errore è credere che il suo amore sia ricambiato senza neanche chiedere il parere della persona amata.Quanto tempo ha impegnato la scrittura?
Patrice Chereau: E' la quarta volta che lavoro con Anne-Louise Trividic, la co-sceneggiatrice di questo film alla quale ho dato carta bianca per i dialoghi, sempre molto interessanti, brillanti e volutamente lunghi. Mi rifiuto sempre di tagliare i dialoghi prima di girare perché non so mai qual è la parte di testo più interessante per gli attori. E' un film sulle persone che spesso parlano per non dire la verità. Parlare è certe volte un modo per nascondersi, per difendersi e trattenere un mistero. Un personaggio politico del periodo di Napoleone disse "Dio ha dato la parola all'uomo per nascondere il suo pensiero".
Cosa pensano gli attori dei propri personaggi?
Romain Duris: Di Daniel mi è piaciuta la sua lotta, l'energia che usa per non crollare. Mi ha attirato il bisogno che ha di vivere, di cavarsela, e tutte le contraddizioni che vive: il bisogno di dare amore agli altri senza capire quello che viene dato a lui. Ho amato di lui questo combattimento interno che lo rende febbrile. Non è mai una persona morta e ho cercato di restituire questo suo lato in progress, facendo sì che funzionasse pur essendo un personaggio incompleto.
Jean-Hugues Anglade: Sono affezionato al personaggio del lunatico che poteva essere visto come l'eroe del film. E' un uomo che ha probabilmente un passato ricco, che è stato ben integrato nella società, con un lavoro brillante. Quando inizia il film però lo vediamo precipitato nella precarietà. E' trascurato, guidato solo dall'amore totalizzante e sincero che prova per Daniel, qualcosa che può portarlo a uccidersi o a uccidere.