Il 28enne Simone Bozzelli ci presenta Patagonia (qui la nostra recensione), storia dell'eccentrico rapporto ai confini tra amicizia e amore che lega gli outsider Yuri e Agostino. Il film, uscito il 14 settembre con Vision Distribution, è l'opera prima di un cineasta giovanissimo, ma già molto attivo nel mondo del corto e del videoclip. Sua è la regia del chiacchierato video dei Maneskin I Wanna Be Your Slave, ma stavolta Bozzelli ha messo il suo stile già riconoscibile al servizio di una storia vera e propria nata dalle sue esperienze.
"Le mie idee partono sempre da persone e mondi che conosciuto" spiega il regista. "Questa storia, in particolare, nasce da un'esperienza che ho avuto e che mi faceva piacere raccontare. La canzone che sentite nel film, Patagonia, è stata molto importante in quel contesto, ma ho utilizzato luoghi che conoscevo dell'Abruzzo, da dove provengo. La Patagonia, invece, è un luogo ideale in cui non si va mai, ho scelto di non informarmi per niente proprio perché volevo fosse un luogo desiderato e idealizzato. Il film è invece ambientato in gran parte nel mondo dei rave, contesto che ho frequentato e visto che non se ne parla molto, o se ne parla solo facendo riferimento alle droghe, mi piaceva raccontarne l'aspetto più libero ed emozionale. Il rave va a infrangere una proprietà privata proprio come fa Agostino nei confronti di Yuri".
Alla ricerca del realismo
Gran parte di Patagonia si svolge nel camper di Agostino che diventa la nuova casa di Yuri. Scelta dovuta a esigenze narrative, per creare la vicinanza tra i due giovani, ma che ha portato con sé numerose difficoltà tecniche. "Fin dai miei corti ho sempre cercato di scrivere storie con pochi mezzi, visto che non avevo tanti soldi a disposizione, e immaginavo la storia in un unico ambiente" ricorda Simone Bozzelli. "Questi limiti poi sono diventati il mio stile, la mia confort zone. I tecnici mi hanno messo in guardia sulla scelta di girare mezzo film in camper, ma io non volevo girare in un teatro di posa per non rovinare l'intimità tra i due protagonisti. Inoltre volevo attori non professionisti. Augusto Mario Bussi viene dal contesto rave e non ha mai recitato. Andrea Fuorto l'abbiamo trovato tramite casting director, all'inizio non lo volevo perché lo avevo visto mentre interpretava un naziskin, ma dopo aver visto il selftape ho capito che non volevo nessun altro per il ruolo di Yuri".
Per la scelta delle location, Simone Bozzelli ha fatto ritorno alle origini scegliendo di girare nei territori ben poco cinematografici dell'Abruzzo. Originario di Silvi Marina, il regista ha dato al suo protagonista Yuri, il cognome Rapagnetta, tipico nome abruzzese che è anche il vero cognome di Gabriele D'Annunzio: "Ho scelto di girare nella mia terra perché mi interessava il concetto di desertificazione e aridità in contrapposizione con la sete d'amore che ha Yuri. A ispirarmi è stato, inoltre, il film di Bruno Dumont, Twentynine Palms, ma un altro mio punto di riferimento è Fabrice Du Welz".
Dai Maneskin alla Patagonia
Patagonia è una storia di outsider, di personaggi che vivono nell'ombra, ai margini della società. Simone Bozzelli rivendica questa attenzione nei confronti delle cose piccole, oscure e invisibili come il fulcro della sua poetica e cita il filosofo Agamben spiegando che "il contemporaneo è neutralizzare le luci e guardare nell'ombra. Sento che una storia è giusta quando non è sotto la luce. La cosa che più mi interessa raccontare sono le piccole molestie morali del quotidiano, le tante piccole violenze. Anche il videoclip dei Maneskin, I wanna be your slave, l'ho girato proprio perché parlava di quel tema".
E le assonanze tra il video dei Maneskin e il cinema sono più di quanto si possa prevedere, come sottolinea lo stesso regista: "Dal punto di vista tecnico i Maneskin volevano girare in pellicola. Non l'avevo mai fatto, ma ho accettato e ho capito che ciò che conta non è il risultato, ma il processo. Il limite fisico, tecnico ed economico ti costringe a scegliere e ti fa concentrare molto di più. Dal punto di vista tematico mi ha fatto esplorare quello che non avrei mai fatto in un film". L'ultimo pensiero di Bozzelli è per il suo insegnante del Centro Sperimentale, Gianni Amelio. Il regista confessa: "Ho paura del suo giudizio. Con lui ho fatto il primo corto. Mi aveva detto che se lo avessi girato come era stato scritto mi avrebbe bocciato, ma io sono andato avanti lo stesso. Alla fine gli è piaciuto".