Di bellezza e di suggestioni, di miti e di vizi, mentre l'umana commedia scivola verso un rigoroso lisergico che si tramuta in quelle immagini che pulsano e profumano d'estate. In mezzo, Napoli. Con le sue incongruenze, le sue meraviglie, le sue menzogne. Così, la fotografia di Paolo Sorrentino non poteva non iniziare e finire dalla sua città. Una Napoli che si spoglia, mostrando tutta la sua magnificenza. Decumano dopo decumano, a metà tra il mare e il cielo. Al centro, le leggende che diventano cinema, infatuate e impacchettate da Sorrentino per quel film dal titolo che vibra, incanta e risuona: Parthenope. Nel farlo, il regista de La grande bellezza, delinea quella che sarà "un'epica del femminile senza eroismi", ma spinta dalla passione, dalla libertà e dai volti dell'amore. Ecco, a proposito di volti, il regista torna a Napoli portando con sé quello che potremmo raccontare come il definitivo volto del nuovo cinema italiano: Celeste Dalla Porta.
Perché ci vuole genio, ci vuole coraggio e ci vuole forse incoscienza per affidare ad un'esordiente la complessità di una sceneggiatura che guarda prima vicino e poi lontano una Napoli che "ammalia, incanta, urla, ride e poi sa farti male". Stesso paradigma, struggente e rivelatorio, applicato alla Parthenope di Celeste Dalla Porta. Classe 1997, nata la vigilia di Natale, che avrebbe fatto l'attrice era chiaro fin dal suo primo laboratorio teatrale, portato avanti a 12 anni. E dopo? Studio, studio, studio. Prima a Milano (sì, è milanese), poi a Parigi e infine a Roma, al Centro Sperimentale. Paolo Sorrentino, che traccia "la perfetta estate di Capri, avvolta nella spensieratezza", farà di Celeste la summa di un "repertorio dei sentimenti". La Parthenope che dà il titolo al film, infatti, rappresenta il ritorno del regista in un luogo impossibile da afferrare, e riassunto nell'ammaliante e imponderabile interpretazione di Celeste Dalla Porta. Folgorante come un'apparizione, catartico come un miracolo ateo.
Il segreto di Napoli
Del resto, come dice Liberato, "a Napoli tutto è un segreto". E di segreti, guarda caso, parla Parthenope. Il segreto dell'amore, il segreto della giovinezza, per una spensieratezza interrotta che la poetica di Sorrentino, da sempre, prova a raccontare. Lo faceva ne L'uomo in più, lo faceva grazie a Jep Gambardella nell'irraggiungibile Roma de La grande bellezza, per quello scrittore incapace di lasciar andare un vecchio amore giovanile. Lo stesso identico e impetuoso sentimento di Parthenope: gagliarda, spregiudicata, sorniona, inaspettata. Come il primo amore, quello che non si può scordare. E lo fa ancora e inesorabilmente in Parthenope, confondendoci e stregandoci, mischiando verità e leggenda. Parthenope, che nasce nel mare, divenendo l'incarnazione di uno dei tanti miti popolari napoletani. Perché, a guardar bene, Celeste Dalla Porta altro non è che una sirena, alla ricerca dell'amore e della conoscenza, distendendosi al sole, cantando verso Ulisse. Parthenope, mito greco e mito pagano, in quella terra dove tutto è sacro e tutto è sacrificabile. Il riassunto della bellezza rivista da Paolo Sorrentino, che non lascia mai andare gli occhi tristi e abbaglianti di un'attrice già completa.
Celeste Dalla Porta, "epica femminile senza eroismi"
Sorrentino, che per la prima volta affronta un'opera con una protagonista femminile (avendoci però regalato figure grandiose, come Sabrina Ferilli ne La grande bellezza, Teresa Saponangelo in È stata la mano di Dio o Olivia Magnani ne Le conseguenze dell'amore), non la lascia la centralità di Parthenope, legando a lei la storia, quasi improvvisata secondo l'umore che cambia, tra l'ironia e la sensualità. Mai artificiale, mai scostante, eppure eterea e magica (a proposito di sirene), Celeste Dalla Porta incarna quindi lo spirito di Paolo Sorrentino, facendosi malinconia e ardore, in un metro interpretativo dall'eleganza composta e misurata. Per come sorride, per come tiene tra le dita una sigaretta che non si spegne mai. Un'eleganza sbruffona, in grado di dare spessore alla fragilità e al tormento, come una frase ad effetto ed un pensiero inespresso. Sorrentino ne fa un'immediata diva popolare, portando il film ad un livello emotivo che troverà nel finale il suo definitivo compimento.
Per questo, se "l'altrove non è altro che l'altrove", il regista sceglie appunto un'epica femminile capace di essere sia "memorabile che ordinaria". Abbiamo parlato e scritto tante volte di quanto il nostro cinema sia alle prese con un netto cambiamento generazionale, dato da attrici e attori di estrema intelligenza e preparazione. Un'eterna rivoluzione che, tra l'esportabilità e la fiducia dei grandi autori, si sta finalmente compiendo, segnando un cambiamento per anni atteso. Chissà, forse il nostro è un endorsement precoce e sfrenato, ma qui si parla di Napoli, di Sorrentino, di bellezze, di miracoli e di talenti. Permetteteci di giocare sulle iperbole; permetteteci di ripensare alla nostra estate più bella, passata cercando lo sguardo di una sirena. Permetteteci di elogiare un'attrice esordiente, dal valore ancora puro e ancora scevro da ogni sovrastruttura. Insomma, se non esageriamo adesso, quando?