Abbiamo sempre pensato a Parsifal come al cavaliere della Tavola Rotonda che riesce a recuperare il Sacro Graal. Ma nella recensione di Parsifal, il film di Marco Filiberti in uscita il 23 settembre al cinema, vi parleremo di qualcosa di molto complesso. Parsifal vuole essere una sorta di opera d'arte totale, un progetto ambizioso per Marco Filiberti, reduce da film come Il Compleanno e Poco più di un anno fa - Diario di un pornodivo, e fondatore de Le Vie del Teatro, contenitore didattico e produttivo che dal 2013 opera in Val d'Orcia, in Toscana. Parsifal nasce da una profonda necessità spirituale. Il cast del film è costituito dagli attori della Compagnia degli Eterni Stranieri: Matteo Munari, Diletta Masetti, Giovanni De Giorgi, Luca Tanganelli, Elena Crucianelli, Zoe Zolferino e lo stesso Marco Filiberti, che ha preparato i suoi attori al film con lungo lavoro tecnico, artistico e spirituale.
Tutto ha inizio in un porto del Nord
Palamède e Cador sono due marinai. Sono a bordo del Dedalus, la loro nave. Si trovano fermi in un porto di una città del nord, in un mondo che sembra aver perduto ogni desiderio, ogni sensazione, ogni emozione. Un mondo alla deriva. L'arrivo di Parsifal, un ragazzo sconosciuto che sembra non appartenere ad alcun posto nel mondo, li fa scendere a terra. Qui incontrano Elsa e Senta, due ragazze conosciute in un bordello. E c'è anche Kundy, che quel bordello lo gestisce, e ammalia uomini e donne. Parsifal, lasciato il porto, prosegue il suo viaggio verso un luogo in rovina, forse un luogo sacro, o un luogo di potere. Incontra un uomo, Amfortas, che è ferito all'inguine. È straziato dal dolore e tormentato da visioni. Parsifal così si dirige verso il luogo dove quella ferita ha avuto origine, il bordello di Kundry.
Un'opere cinematografica
Un'opera cinematografica di Marco Filiberti. Così ci viene definita Parsifal. E la definizione vuole sottintendere la natura contaminata di Parsifal. Che è insieme film, opera teatrale filmata, opera musicale. La musica, una musica classica imponente - Wagner, R. Strauss, Bartók, Čajkovskij - che a volte è troppo presente e sovrasta l'azione, è comunque una colonna sonora, e il recitar cantando testi di prosa metrica di cui si parla non è un vero canto, ma una recitazione di testi in versi, più vicina a un'impostazione teatrale che cinematografica. La cifra di Parsifal ci sembra essere quella di una commistione tra cinema e teatro. Non è teatro filmato, che solitamente è caratterizzato da una regia più statica. Parsifal è un dramma teatrale che vuole farsi cinema - o provare a farlo - attraverso una ricerca di qualità nella regia, nella fotografia e nelle scenografie.
Scenografie, fotografia e costumi di alto livello
A colpire, sin dalle prime scene, sono le scenografie, di Laura Borgognoni. A impressionare è soprattutto il primo dei set che vediamo, il porto del nord con la nave Dedalus ormeggiata. Si tratta di una scenografia molto suggestiva, che non nasconde la sua natura teatrale, evoca la realtà senza volerla replicare. In quegli sfondi grezzi, materici, fatti di cemento e mattoni, in quegli spazi ampi e vuoti ci è sembrato di rivedere quella messinscena essenziale che Derek Jarman aveva creato per il suo Edoardo II, tratto dalla tragedia di Marlowe. Funziona anche il set del bordello, che sembra uscito dall'età del jazz e da un racconto di Francis Scott Fitzgerald. Sono degni di nota anche la fotografia di Marco Toscano e i costumi di Daniele Gelsi.
Una recitazione prettamente teatrale
La recitazione degli attori (Matteo Munari, Diletta Masetti, Giovanni de Giorgi, Luca Tanganelli, Elena Crucianelli, Zoe Zolferino e lo stesso FIliberti), tutti bravissimi e gettatisi anima e corpo (letteralmente, visto che hanno fatto un lavoro non solo sulla recitazione ma anche sul corpo e le coreografie), è come detto, di stampo prettamente teatrale, molto effettata. Il testo in versi, o in prosa metrica come viene definita, unita alle scenografie che evocano volutamente una finzione, fanno sì che l'effetto sia in qualche modo straniante. Al cinema siamo abituati a vedere una rappresentazione della realtà più vicina ad essa di quella del teatro, per sua natura più simbolico.
Non riesce ad essere un racconto compiuto
Tutto questo, unito a una storia che viaggia nello spazio e nel tempo per sensazioni, analogie, ma senza creare attraverso il racconto il necessario collegamento tra i vari frammenti della storia, fa sì che Parsifal, a nostra modesta veduta, sia un'opera che non riesce mai completamente ad essere cinema - e forse non intende esserlo fino in fondo - e non riesce, soprattutto, ad essere un racconto compiuto. È chiaro che si tratta di un'opera alta, ricca di riferimenti che è difficile cogliere alla prima visione e che necessita la giusta riflessione dopo averla vista, ma è anche vero che le immagini di Marco Filiberti sono suggestive, potenti, ma anche dall'intelligibilità non immediata.
Sacro e profano
Sono immagini che alternano sacro e profano, santità e lascivia, purezza e peccato. Parsifal nasce da un afflato spirituale, e vuole essere un grido di dolore per un mondo che, secondo il regista, sta andando verso la sua fine. Un'eccessiva ricercatezza nel linguaggio, sia a livello di testo che a livello visivo, un'eccessiva ricerca di riferimenti, simboli, spunti, fa sì che il messaggio a cui l'autore tiene davvero non arrivi in maniera chiara, diretta, potente come dovrebbe. Le intenzioni di Filiberti sono sentite, sincere, eppure il film che ne viene fuori non ci sembra comunicare questa sincerità. Parsifal è un film molto ambizioso, che non nasconde di esserlo. Ma l'ambizione non riesce a trasformarsi in un'opera compiuta e completamente riuscita.
Quale pubblico?
Ci si chiede, soprattutto, a che pubblico possa rivolgersi un prodotto di questo tipo, e ce lo chiediamo senza alcuna malizia. In uno scenario che sta cambiando sotto i nostri occhi, dove quello che credevamo funzionasse (le commedie) oggi sembra funzionare meno, e dove sembrano definitivamente vincere i film evento, i kolossal alla Dune, in uno scenario dove gli spazi per i film in sala sembrano ulteriormente ridursi, è difficile capire che spazio possa esserci per un film come questo. Un film che vive su un testo che avrebbe probabilmente avuto il suo percorso naturale nei teatri, per un pubblico più predisposto a un certo linguaggio.
Conclusioni
Nella recensione di Parsifal vi abbiamo parlato di un'opera che non riesce mai completamente ad essere cinema, ad essere un racconto compiuto. È un'opera alta, ricca di riferimenti che è difficile cogliere alla prima visione e che necessita la giusta riflessione dopo averla vista, ma è anche vero che le immagini di Marco Filiberti sono suggestive, potenti, ma anche dall'intelligibilità non immediata.
Perché ci piace
- Le scenografie di Laura Borgognoni.
- La fotografia di Marco Toscano e i costumi di Daniele Gelsi.
- La prova degli attori, tutti calati anima e corpo nel ruolo dopo una lunga preparazione...
Cosa non va
- ...ma alle prese con un testo letterario, in versi, che non avvicina il pubblico.
- Le immagini, potenti, del film non sono di immediata intelligibilità.
- Troppi simboli e troppi riferimenti non riescono a farsi mai racconto compiuto.