David Ballerini ha presentato a Viareggio il suo film incentrato sulla figura del martire irlandese Bobby Sands. Con lui in conferenza stampa, il produttore Bruno Restuccia.
Buongiorno. Assistendo al suo film Il silenzio dell'allodola si notano moltissime analogie fra come viene dipinta la posizione dell'Inghilterra in Irlanda e la dittatura nazista, soprattutto il fatto che i secondini del carcere portino camicie nere o come la scritta che appare nei sogni del protagonista, che rimanda al motto all'ingresso del campo di concentramento di Auschwitz. Ci può parlare di questo aspetto? David Ballerini: Si, ovviamente abbiamo usato molte analogie fra il nazismo e l'oppressione britannica in Irlanda, anche se paradossalmente il colore della camicia dei secondini è un dato storico, portavano veramente camicie nere. Tutto questo risponde ad una scelta precisa, cioè al fatto che non volevo fare un film propriamente storico. Questo perché data anche la mia giovane età (è nato nel 1973: N.D.R.) la storia di Bobby Sands l'ho scoperta sui libri. Inoltre secondo me solo gli irlandesi potrebbero avere il diritto di fare un film di taglio documentaristico su questo personaggio.
Il film è girato interamente all'interno della prigione, senza mai esaminare quello che succede al di fuori di quelle mura. Perché questa scelta? David Ballerini: La storia di Bobby Sands in verità è la storia di un uomo che è voluto diventare un mito, un martire morto per dichiarare la propria verità. Per questo ho posto tutta la vicenda al di fuori del mero contesto storico. Ovviamente ho lasciato dei parallelismi fra la sceneggiatura del film e la vicenda reale, perché anche il contesto storico ha la sua importanza, ma quello che volevo era andare oltre la "Storia" per dimostrare che esistono e sempre esisteranno corsi e ricorsi storici.
Molti spettatori sono rimasti molto colpiti dalla violenza presente nel film, qualcuno tanto da doversi allontanare dalla sala. Qual è la vostra opinione sul punto? Bruno Restuccia: Il problema della vicenda non è tanto il fascismo interno, quanto l'indifferenza di chi sta fuori, di chi pensa che le violenze naziste siano normali o magari non credibili. Bisogna pensare infatti che questo film è stato girato un anno e mezzo prima dei fatti di Abu Grahib, quando nessuno pensava che potessero succedere di nuovo torture del genere. Per quanto riguarda il film comunque la violenza non è mai esplicita, anzi casomai è "a levare", non si vede ma è solamente evocata. Oltre a questo una cosa da apprezzare è che David non ha girato il film come un videoclip, con scene ad effetto solo per scioccare, ma quando posava la macchina da presa in un luogo, questo aveva un suo significato preciso.
David Ballerini: Questo film non è stato girato per far passare un messaggio ideologico, ma casomai uno emotivo nei confronti dell'indifferenza. E' nato per prendere lo spettatore per il colletto e scuoterlo. Non voleva comunque fare della pornografia della violenza, ma anzi non la esibisce con facilità.
Ho molto apprezzato l'aspetto quasi "teatrale" di questo film. Quali sono state le sue scelte registiche in tal senso? David Ballerini: Nego che questo sia un film d'autore, un film solo introspettivo. E' infatti un film comunque molto movimentato, con scene con molta azione e che rispetta il suo genere, cioè quello carcerario. Per quanto riguarda la teatralità, non penso che questo film sia teatrale. Questo aggettivo richiama spesso infatti alcuni difetti presenti in un film, come una recitazione sopra le righe. Una certa impressione di "teatralità" può essere forse data dal fatto che il film è girato tutto in interni e soprattutto dall'uso che ho fatto di una prospettiva centrale.
Esistono già molti film ispirati al trattamento riservato agli attivisti irlandesi nei carceri inglesi, penso a Nel nome del padre. Ci sono punti di contatto con la sua pellicola? David Ballerini: Nel nome del padre ha affrontato una storia simile, ma i due film sono molto diversi. Questo perché il film di Jim Sheridan è un film di stampo marcatamente hollywoodiano, quindi che fa spesso fa dei forti compromessi. Il nostro è un film più duro, sia nei contenuti che per lo stile, ha il senso dello spettacolo ma rifiuta questi compromessi; non troverete mai una romantica avvocatessa.