Park Chan-wook non voleva diventare un regista. Da ragazzo voleva essere un critico d'arte. Poi però, come si dice, il cinema ha trovato lui: dopo aver visto i film di Kim Ki-young, che è stato il suo maestro, e sopratutto La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock, qualcosa è scattato dentro di lui, portandolo sulla via della settima arte. Guardando il suo ultimo lavoro, Decision to Leave, nelle sale italiane dal 2 febbraio, distribuito da Lucky Red, non sorprende che Park Chan-wook sia stato illuminato sulla via di Hitchcock.
Premiato al Festival di Cannes 2022 con la miglior regia, Decision to Leave è, anche, una magnifica lezione sulle potenzialità della macchina da presa. Superfici che si specchiano l'una nell'altra, inquadrature impossibili, carrelli elegantissimi alternati a riprese fatte con macchina a mano. Al cuore di tale sfoggio di tecnica e abilità c'è però un personaggio, quello della protagonista femminile. Song Seo-rae (interpretata da Tang Wei) è il vero enigma del film.
Non è la prima volta che il regista si perde in un personaggio così: da bravo amante del cinema di Alfred Hitchcock, i film di Park Chan-wook sono pieni di "femmes fatales", o "dark ladies". Un archetipo presente da sempre nelle culture di tutto il mondo, a cui appartengono le nostre Circe e Medea, passando per Morgana e Carmen. Come Ulisse con le sirene, il regista non può resistere al loro canto e le ha rese spesso il motore delle proprie storie.
Song Seo-rae non fa eccezione: sospettata di aver ucciso il marito, finisce per far innamorare di sé il detective che conduce le indagini, Jang Hae-joon (Park Hae-il). Il loro rapporto è complesso: come si fa ad amare davvero se si nasconde la verità? Eppure l'investigatore non riesce a non sentirsi attratto da quella donna. La storia di Decision to Leave è venuta in mente al regista ascoltando una canzone: The Mist, una ballad molto in voga nelle radio coreane nel 1972. E in effetti questo è uno dei suoi film più malinconici, proprio come un brano che parla d'amore perduto. Non tutte le donne del cinema di Park Chan-wook sono però così. Alcune hanno in mente soltanto la vendetta. Scopriamo chi ha preceduto l'enigmatica Song Seo-rae.
1. Lady Vendetta: Lee Geum-ja
Lady Vendetta (2005) è il terzo capitolo della trilogia della vendetta di Park Chan-wook. Cominciata con Mr. Vendetta (2002) e proseguita con Old Boy (2003), si conclude con la storia di Lee Geum-ja (Lee Young-ae), studentessa che, a 20 anni, si è vista portare via ogni sogno e ambizione finendo in galera, accusata di aver rapito e ucciso un bambino di sei anni. Passati 13 anni in prigione, diventa una fervente cristiana e, una volta finito di scontare la pena, si prepara a trovare il vero responsabile. Qualcuno di cui si fidava.
Questo personaggio è fondamentale nella filmografia di Park Chan-wook: le donne che l'hanno preceduta sono sempre ai margini della storia, spesso maltrattate e funzionali a costruire i personaggi maschili, i protagonisti. Con Lee Geum-ja cambia tutto: la vendetta qui è raccontata da un punto di vista femminile. Questo cambiamento è servito al regista stesso: in alcune interviste ha dichiarato che i suoi film erano troppo pieni di violenza, rabbia e odio, tanto da influenzare la sua anima. Con Lee Geum-ja la vendetta diventa un atto di redenzione, perché compiuta da una persona che vuole salvarsi l'anima. Lady Vendetta è nato da questo desiderio: dal trasformare la rabbia in speranza.
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2. I'm a Cyborg, But That's OK: Cha Young-goon
Probabilmente il personaggio più strano nella cinematografia di Park Chan-wook. Che è tutto dire. Cha Young-goon (Im Soo-jung) è stata cresciuta dalla nonna materna, chiusa in un istituto psichiatrico per il credersi madre di topi e l'abitudine di rosicchiare radici. Il trauma della separazione è così forte per la ragazza, da portarla a credere di essere un cyborg in grado di comunicare con apparecchi elettronici indossando la dentiera della nonna. Quando Cha Young-goon si taglia le vene per infilarsi nel braccio dei cavi elettrici viene ricoverata in un manicomio. Proprio come la nonna. Qui smette di mangiare, perché pensa che il cibo possa rovinare i suoi circuiti.
Soltanto quando conosce Park Il-sun, ragazzo che ha paura di sparire e per questo ruba di tutto, riesce a tornare alla vita: lui le fa credere di aver installato dentro di lei un congegno che trasforma il cibo in energia e sboccia l'amore.
Forse uno dei film meno conosciuti del regista coreano, è una metafora che fa la gioia di qualsiasi psicologo: il rapporto malsano con il cibo passato dalla nonna alla nipote, la non accettazione del proprio corpo e della propria identità: sono tanti i temi raccontati grazie a questa ragazza che pensa di prendere il controllo della propria vita smettendo di mangiare.
3. Thirst: Tae-ju
Negli anni 2000 i vampiri sono tornati di prepotenza al cinema. Non poteva mancare quindi anche la variazione di Park Chan-wook sull'argomento. Ispirato al romanzo di Émile Zola Teresa Raquin, Thirst è la storia di un prete cattolico, Sang-hyun (Song Kang-ho), che fa il volontario in ospedale. L'uomo si offre come cavia per trovare una cura a un virus e si trasforma in un vampiro.
Attratto da Tae-ju (Kim Ok-bin), moglie di un amico, inizialmente il neo vampiro cerca di non pensare a lei, ma quando vede che è ricambiato cede alla passione. Tae-ju inizialmente è spaventata dalla sua condizione, ma poi gli chiede di uccidere il marito, che la picchia. Spaventato all'idea di rimanere eternamente solo, trasforma anche lei. La donna però da mostro si scopre di una ferocia inaudita: non prova rimorso per le sue vittime, come invece fa lui. Non sveliamo il finale, ma è uno dei più belli di tutto il cinema di Park Chan-wook.
Tae-ju è una figura complessa: una delle tante mogli dei film del regista coreano che provano risentimento per i propri mariti, al punto di volerli morti. L'istituzione del matrimonio è una gabbia per molte donne che ha raccontato: una violenza che a volte, come in questo caso, non le rende migliori dei propri aguzzini, in un ciclo che va spezzato se si vuole avere speranza per il futuro.
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4. Stoker: India ed Evelyn Stoker
Il primo, e al momento unico, film in lingua inglese con attori occidentali di Park Chan-wook è forse anche il suo meno riuscito, ma non per questo meno interessante. Stoker, scritto dall'attore Wentworth Miller (sì, il Michael Scofield della serie Prison Break) con lo pseudonimo di Ted Foulke, è la storia di India Stoker (Mia Wasikowska), ragazza considerata strana, introversa e senza amici, a cui viene data la notizia, proprio il giorno del suo 18esimo compleanno, della morte del padre.
India è sconvolta, a maggior ragione che sua madre Evelyn (Nicole Kidman) è instabile. Le due non hanno un buon rapporto. All'improvviso arriva in casa Charlie (Matthew Goode), fratello del padre di cui non conosceva l'esistenza.
Torbidi segreti, incesto, fascinazione per l'omicidio: la famiglia Stoker le ha davvero tutte. Le famiglie felici saranno pure tutte uguali, ma India ed Evelyn Stoker fanno davvero paura. Anche perché il male qui non viene da fuori, o da un elemento sovrannaturale: sono proprio loro ad amare il sangue. Un'intricata variazione sul tema "parenti serpenti".
5. Mademoiselle: Izumi Hideko e Sook-hee
Presentato anche questo al Festival di Cannes, nel 2016, Mademoiselle è la pellicola più sensuale della filmografia di Park Chan-wook. La protagonista è Hideko (Kim Min-hee), orfana di entrambi i genitori, che ha ereditato un grande patrimonio. Rimasta a vivere con lo zio, la ragazza entra nel mirino del conte Fujiwara (Ha Jung-woo), truffatore che vuole sposarla, prendere i suoi beni e poi farla rinchiudere in manicomio. Il sedicente conte fa assumere come domestica, dallo zio di Hideko, Sook-hee (Kim Tae-ri), per circuire la ragazza. L'uomo non aveva però previsto che le due si innamorassero, mandando in fumo i suoi piani.
Raffinatissimo, Mademoiselle mette in scena la relazione, anche sessuale, tra le due protagoniste senza mai diventare volgare: le due ragazze, scoprendo la propria sessualità, diventano più consapevoli e forti. Non legate a un marito padrone, possono prendere in mano il proprio destino, facendosi beffe di chi pensa di poterle controllare.
Ambientato nella Corea del Sud degli anni '30 è ispirato al romanzo Ladra, di Sarah Waters, che si svolge invece nella Londra di fine dell''800. Nonostante sia ambientato nel passato, è uno dei film del regista con le protagoniste più emancipate e moderne che abbia mai raccontato. Ancora una volta c'è il tema della liberazione delle donne attraverso il corpo e la sessualità. Da recuperare assolutamente.
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