All'80esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia Paradise is burning vinse nella sezione Orizzonti il premio per la miglior regia la debuttante (in solitaria) Mika Gustafson, autrice svedese già dietro la camera per un film collettivo e due cortometraggi. Una pellicola piccola che ad un'occhiata superficiale potrebbe essere una semplice variazione sul tema di un classico coming of age dagli echi sociali.
Non fraintendeteci, dentro il titolo c'è indubbiamente questa struttura filmica, ma c'è anche tanto altro. Da elementi legati alla condizione dell'abbandono, il rapporto (spesso ribaltato rispetto alle aspettative) tra adulti e bambini e il richiamo a quella dimensione magica che può essere il periodo estivo o il periodo dell'infanzia o quello dell'innamoramento o, ancora, quello di un idillio tra tre sorelle. Tre sorelle come quelle protagoniste della pellicola.
Descrivendo il loro rapporto e la loro crescita in un arco breve, ma preciso, la regista rivela probabilmente il vero focus tematico che le interessa, ovvero il rapporto con la fine in senso lato e di come è difficile rapportarcisi, ma anche come potrebbe salvifico farlo, perché spesso chi non vuole accettare che qualcosa finisca non accetta di passare oltre e quindi neanche di crescere sul serio. Un film ricco, sorprendente, in un certo senso incredibilmente ottimista e che gioca molto con il ribaltamento delle aspettative. A partire dal titolo.
Il paradiso è la sorellanza
Il paradiso a livello immaginativo è un non luogo, quindi non ha, al netto di rappresentazione varie ed eventuali, una connotazione fisica precisa, tanto meno geografica. Il paradiso lo si può trovare su di un'isola deserta nel mezzo dei Caraibi, ma anche in un quartiere in Svezia, uno di quelli popolari, in piena periferia e neanche troppo curato.
Paradiso che nel caso di Paradise is Burning fa rima con sorellanza, quella unisce Laura (Bianca Delbravo), Mira (Dilvin Asaad) e Steffi (Safira Mossberg), rispettivamente di sedici, dodici e di sette anni. Un tesoro prezioso, un rapporto animalesco, sanguigno, quasi non addomesticabile, anzi, meglio se lasciato allo stato brado. Uno stato in cui vertono le tre, abbandonate a se stesse da una madre scomparsa da mesi (da Natale per la precisione) e padre ignoto e innominato, forse meglio così. Condizione nella quale l'unica legge che conta è quella del branco e i rituali da rispettare sono quelli della crescita, meglio se condivisi con le sorelle acquisite.
La scuola è appena finita e davanti alle tre si parano tre mesi di anarchia e vita selvaggia, ma una telefonata in una serata come tante altre sconvolge il loro paradiso. Il mondo esterno, sotto forma di un assistente sociale esige di parlare con la madre delle ragazze a causa di numero e reiterate assenze a scuola. Una miccia che incendia i piani nella testa di Laura, quella che porta sulle spalle la responsabilità delle altre, e la porterà a cercare un modo per continuare a vivere in cattività. A qualunque costo.
"Paradise is burning", ma non è per forza un male
Dallo spunto drammatico, quasi neorealista, Paradise Is Burning, incentivato da una regia che riesce ad ottimizzare in senso diegetico l'uso dei luoghi, ricorre subito ad una dimensione esistenziale diversa, magica, lavorando per simboli che presentano costantemente allo spettatore il dualismo tra la natura selvaggia e il modo con cui vivono le sorelle. Non solo per quanto riguarda una vita esteriore fatta di furti al supermercato, risse in cortile e violazione della proprietà privata, ma soprattutto esistenziale. Il fuoco che le muove e che le unisce brucia di una fiamma sacra e primordiale.
Laura, tra le tre e nonostante tutte e tre abbiano ognuna un proprio arco approfondito e credibile, è quella che veicola la storia, perché quella che porta il peso della consapevolezza della fine di questo idillio. Una consapevolezza che la rende improvvisamente più piccola rispetto alla sua apparenza(o forse la riporta alle debolezze della sua età), persa nei suoi pensieri che di volta in volta abitano le case degli altri, in cui si infila ad ogni pié sospinto, prendendone possesso. Attività in cui viene accompagnata da una donna, interpretata da Ida Engvoll.
Nel rapporto tra le due, troviamo un altro focus importante di Paradise is Burning, perché emblema di un rapporto tra giovani e adulti in cui i ruoli sono invertiti. Non c'è un adulto, uomo o donna che sia, in grado di tracciare una strada, fare da guida reale verso il futuro, specie in un momento di transito eccezionale come quello durante il quale è ambientata la storia. Il segreto è accettare la fine, la mutazione e il cambiamento. L'unico modo per ingannare la fine è accettarla, perché solo così può essere elaborata. Una soluzione che forse appartiene ai più giovani o almeno lo speriamo.
Conclusioni
Paradise is Burning è uno di quegli esordi inattesi, che gioca sulla disattesa delle aspettative, a partire dal titolo, in cui si unisce l'immaginario del paradiso e quello dell'inferno. Mika Gustafson è un film su una sorellanza selvaggia e anarchica, ritraendola come uno status idilliaco e utilizzando i mezzi del coming of age per smontare i classici rapporti giovani - adulti e soffermarsi sulla necessità dell'accettazione della fine. Unico modo per crescere, trasformarsi e non farsi rapire dal suo ricatto.
Perché ci piace
- La prova delle tre protagoniste.
- Il modo in cui viene catturata la periferia svedese.
- Una scrittura intima, sofisticata e a tratti sorprendente.
Cosa non va
- Alcuni ingranaggi sono prevedibili.