Era il 2006, quando nelle sale uscì quello che tragicamente si rivelò poi l'ultimo film del compianto Satoshi Kon, uno degli autori giapponesi più seminali e importanti della sua generazione. Quel titolo pensato per estendere tanto nella forma quanto nei contenuti la poetica narrativa e concettuale del regista, senza essere in alcun modo testamentario, paradossalmente tradiva già sedici anni fa una certa nostalgia vitale per Kon, nonché una generosa dose d'intimità nel ripercorre scelte e desideri dello stesso filmmaker, ovviamente romanzati e adattati al contesto del racconto.
L'autore non conosceva ancora il suo triste destino e mai avrebbe creduto di scomparire di lì a 4 anni, ma in quel momento Paprika - Sognando un sogno era quella spezia aggiunta di cui aveva bisogno per dare aroma e sapore cinematografico a una preziosa riflessione sul potere dei sogni, ragionando in concomitanza su quello curativo e lenitivo del cinema tra psicanalisi, fede e scienza. Film pregiato e complesso, Paprika è da qualche giorno disponibile in abbonamento su Netflix, ottima occasione per tornare a parlare dei valori stilistici e tematici di cui si fregia l'opera che ispirò in larga parte anche Christopher Nolan per il suo Inception.
La parata della follia
Artisticamente parlando, Satoshi Kon è sempre stato attratto dalla commistione tra realtà e fantasia, delineando tra le due confini spesso fragili e facilmente abbattibili, così da creare degli universi futuristici e immaginifici senza soluzione di continuità tra verità e finzione. La grande capacità di Kon risiedeva anche nel saper tratteggiare character deisgn e ambientazioni con profondo realismo espressivo e architettonico, nutrendo di conseguenza quel senso di ibridazione tra concreto e fantastico con gusto cibreo, insieme ingegnoso e delicato. Il regista era anche uomo di profonda cultura, moderno e di aperte visioni, soprattutto sensibile ad arte, letteratura e filosofia. Potendo riempire Paprika con tutto se stesso, tra psicologia e ispirazioni, Kon partì da concetti platonici come quello dell'Uno per poi spostarsi sul potere liberatorio "delle bestie più semplici" tramandato ai posteri dal Sun Wukong di Viaggio in Occidente, guardando insieme alle teorie di Freud e Jung ma anche a grandi classici della fantascienza come Blade Runner di Ridley Scott, citando tutto - o quasi - espressamente, a dimostrazione della sua riconoscenza, con passione e generosità.
Da Platone recupera la rilettura dualistica dell'arché (principio unificatore della realtà) di Parmenide, mettendo in scena una parata della follia generata appunto dalla fusione di molteplici sogni in uno, per altro creato dalla volontà di un singolo essere - il Presidente - intenzionato a "salvaguardare la sacralità del sogno" dalla pericolosa evoluzione scientifica e tecnologica, contrapponendo pragmatismo e utilità sociale a spiritualismo e religiosità. Le riflessioni in contrasto proseguono anche in diegesi nella dualità della protagonista, Chiba Atsuko, psicoterapista a suo modo autoritaria e controllata che nel mondo del sogno diventa Paprika, emblema di libertà e mutamento asservito a uno scopo, quasi fosse personificazione del subconscio della dottoressa, raffigurazione onirica dell'attivazione dei neuroni specchio in fase d'analisi.
Non è un caso che il braccio destro del cattivo, Osanai, soffra di una profonda crisi psicotico-schizofrenica insensibile a terapia ed empatia, assediato da istinti predatori ("vuoi vedere la mia collezione di farfalle?", sembra gridare il suo Io) e fantasie sessuali, ma anche distrutto da invidia e risentimento. In questo senso, per Kon una società migliore è una società dove la psicanalisi attecchisca ovunque e in modo capillare, non solo per ottimizzare confronti e relazioni ma per guarire l'individuo da rimorsi, paure e vergogne che nel sogno destabilizzano l'animo per poi distruggere lentamente il fisico anche nella realtà. E infatti è quello che succede in Paprika, riportando il discorso alla tematica primaria del cinema dell'autore.
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La cura cinematografica
È quando lega il fondamento del cinema a quello della psicanalisi che il regista scende sul personale, amplificando in scopo e portata gli obiettivi di Paprika. È tutto correlato al mondo del sogno, ovviamente, che per Satoshi Kon - per bocca della protagonista - "non differisce da Internet, essendo entrambi luoghi in cui si esprimono desideri repressi". Nel merito, l'autore identifica se stesso nelle vesti del Detective Toshimi Konakawa, pensandolo come percorso alternativo al cinema, quello che sarebbe potuto essere se il sogno della settima arte fosse venuto meno. Tematica talmente centrale e personale che la magnifica scena d'apertura del film è dedicata proprio al Detective e alla sua seduta con Paprika, seppure in fase embrionale, ancora di scoperta e setting del problema. È in particolare questa storyline ad aver colpito e ispirato Christopher Nolan, la concezione di un subconscio attivo, teatralizzato e cinematografico interamente compartimentato e visitabile, con zone di luce e ombra. Il corridoio d'hotel che si destabilizza, l'ascensore in grado di viaggiare nei piani del sogno, l'idea stessa di trasformare diverse strutture oniriche in generi differenti: è tutto in Inception ma recuperato e rivisitato per adattarsi a sensibilità nolaniane, che infatti divergono da Kon soprattutto nell'interesse psicologico e intimo alla base del costrutto.
In Paprika - Sognando un sogno, il cinema è semplicemente cura, senza alcun gioco cervellotico a sostenere l'impianto narrativo del lungometraggio. Il regista ci dice che senza cinema avrebbe ucciso una parte di sé, eliminando qualcosa di profondo e intangibile, reprimendo di conseguenza il suo più grande desiderio. Fosse accaduto, la repressione avrebbe condotto a un trauma, una ferita del subconscio incapace di guarire senza il giusto aiuto, per l'appunto di carattere terapeutico. Tutto dentro di lui, a occhi chiusi, avrebbe parlato di cinema come infatti accade a Konakawa, che sogna direttamente per generi e in senso tecnico, quando fuori dall'asse di ripresa o in un panfocus non richiesto. Un passione fantasma talmente infiaccabile che conduce il Detective a intraprendere la via delle forze dell'ordine proprio a causa del suo amore per thriller e polizieschi, comunque guidato dalla misteriosa forza cinematografica anche se lontano dalla cinepresa. Quando nel finale Konakawa comprende l'importanza del cinema nella sua esistenza, questa immaginifica ed eventuale estensione del subconscio di Satoshi Kon viene nuovamente inglobata dalla realtà dei fatti, lasciando emergere ancora una volta quella commistione tanto cara all'autore e mostrando il percorso effettivamente avvenuto attraverso i poster dell'intera filmografia del cineasta.
La beffa sta nel fatto di esporre nella scena finale di Paprika la sua straordinaria carriera, inconsapevole di chiudere un ciclo e ignaro di aver firmato uno dei testamenti cinematografici più mirabolanti del ventunesimo secolo, sempre con quella grazia e riconoscenza che lo hanno contraddistinto fino alla morte, quando scrisse: "Pieno di gratitudine per tutto ciò che di buono c'è nel mondo, poso la mia penna. Con permesso". Paprika ci ricorda di vivere sempre i nostri sogni e seguire ardentemente la via del cuore, nonostante tutto e nonostante il mondo, insaporendo la nostra esistenza con "quella spezia in più" che per Kon, in definitiva, è sempre stata il cinema.