Giustamente, e per dovere di cronaca, su queste pagine vi abbiamo raccontato cos'è PAPMusic - Animation for Fashion. Abbiamo scelto di raccontarlo solo tramite la voce della regista, LeiKiè, e delle due voci che hanno doppiato il film, Rudy Zerbi e Luca Ward, senza però dare un giudizio, senza recensirlo (e qui trovate il resoconto dell'incontro).
Com'è sempre ovvio, anche nelle operazioni più infelici, è infatti poi il pubblico a decretare il successo di un film, non di certo noi che facciamo critica (al massimo il pubblico si può orientare, senza imposizioni). Ma se il cinema è il centro del nostro giornale, allora è doveroso da parte nostra tornare sul progetto (per allargarci poi ad un discorso più ampio), analizzandolo però dal punto di vista degli incassi. Al centro, solo e soltanto i freddi numeri. Più in generale, spiegando perché PAPMusic (o Pap Music, come volete voi) è solo uno dei tanti esempi di quanto il nostro cinema sia molto poco attento a scegliere cosa produrre, e cosa distribuire.
Gli incassi di PAPMusic
Prima di tutto, i dati. Uscito il 26 settembre, l'animato PAPmusic - Animation for Fashion ha incassato circa 10 mila euro. Nei primi giorni di programmazione ha sfiorato i 7mila. Ad oggi, mentre scriviamo, il film di LeiKiè è in programma in appena tre sale. Un incasso risibile, praticamente inesistente. Certo, non è la prima volta che un film viene ignorato dal pubblico (ahinoi), ma il tonfo è doppio se consideriamo il percorso fatto dal film. Anche qui, nessun accanimento, ma dichiarate note produttive: voci importanti nel cast; un'idea ambiziosa (essendo l'animazione un genere sottovalutato dalle produzioni nostrane, ed essendo anche quello più visto in sala: vedi alla voce Inside Out 2); una passerella sul red carpet di Venezia 81 (come evento molto collaterale e molto parallelo, ma anche qui, non è la prima volta che accade) e un budget (come ha fatto notare Dagospia, tra i primi) di circa 4 milioni. Un budget importante, considerando anche il budget medio per un film animato in Italia. Insomma, le premesse per un possibile caso (anche positivo, perché no) c'erano tutte. Nel 2021, tra l'altro, ha ricevuto regolarmente, rispondendo al bando, un tax credit (credito d'imposta) per 1.5 milioni, ricevendo poi nel 2023 anche il contributo selettivo di circa 200 mila euro. Non una grossa somma (il minimo, come riporta un articolo de Il post), rispetto al budget generale.
Un cinema italiano di porcellana
Chiaramente, visto il momento storico, il flop di PAPMusic ha attirato l'attenzione degli addetti ai lavori, della critica e, addirittura, di Striscia la Notizia, con un servizio dell'inviato Pinuccio che ha rimarcato le sovvenzioni ricevute. Il servizio di Striscia, poi, si conclude con una domanda: ma è possibile dare soldi a film che non incassano? Il punto, al netto del titolo in questione, è proprio questo. Dove finisce l'arte e inizia l'industria? Come si può davvero prevedere il successo o l'insuccesso di un'opera, prima di essere effettivamente prodotta? Come si possono evitare sprechi (e da quando è stata introdotta la Legge nel 2016 ce ne sono stati fin troppi), rodando al meglio il sistema verso un equilibrio maggiore? In fondo, se abbiamo lodato performance meritevoli e non scontate come quella di Vermiglio (qui il nostro approfondimento), a tutti gli effetti parte attiva del discorso, la situazione odierna, tra incassi in emorragia e la discussa Legge Cinema, ci porta a soffermarci anche su quei casi che, in qualche modo lecitamente, fanno domandare quale sia la direzione intrapresa dalle nostre produzioni.
Un pensiero generale, in quanto adesso più che mai (certo, la produzione di PAPMusic potrebbe far scuola, anche se la lista di flop sonanti è marcatamente lunga) bisogna essere incredibilmente attenti a cosa si sceglie di distribuire al cinema. L'industria, attenzionata da un nuovo decreto che andrebbe a chiudere le maglie dei finanziamenti, tagliando o minacciando le produzioni più piccole e indipendenti, è in una sorta di stasi, in un limbo di porcellana. Così, un flop, che può derivare da innumerevoli fattori (un film mal riuscito potrebbe andare bene in sala, come un capolavoro potrebbe invece essere ignorato), oggi viene chiaramente sfruttato dall'opinione pubblica, e utilizzato come pretesto per legittimare appunto una stretta. Una stretta indotta pure dalla sproporzionata quantità di film che escono in sala, senza che le sale abbiano la capacità di assorbirli (e su questo pochi dubbi). Una stretta forse obbligata, ma comunque poco equilibrata, e che minaccia soprattutto quelle opere più piccole (come Vermiglio!) che rischierebbero di non poter più contare sui fondamentali finanziamenti statali.
Nelle ultime settimane, infatti, sono molte le voci che si sono alzate contro la nuova Legge Cinema. Da Nanni Moretti a Sorrentino, da Muccino fino a Daniele Luchetti. Registi, attori e attrici che, come poche volte prima, hanno fatto muro, rimarcando quanto il testo sia iniquo, penalizzante verso i nuovi autori e le nuove autrici, tarpando talenti e nuove visioni. E di conseguenza dimezzando il lavoro. Va infatti ricordato che il cinema non è solo red carpet e abiti griffati, ma anche artigianalità e maestranza. Se è sacrosanto arginare sprechi e migliorare il sostegno pubblico, allora bisogna assolutamente ripartire da ciò che si sceglie, a monte, di produrre e distribuire senza venire meno alla propria identità e alla propria visione artistica. Perché poi, come detto, è sempre il pubblico che decide cosa vedere, e cosa no.